Gli effetti del riscaldamento globale sul lavoro: 80 milioni di posti di lavoro in meno
Il riscaldamento globale non fa male solo al pianeta, ma anche al lavoro. Secondo l’ultimo rapporto “Lavorare in un pianeta più caldo: l’impatto dello stress da calore sulla produttività e sul lavoro dignitoso”, realizzato dall’Organizzazione internazionale del lavoro dell’Onu (Ilo), mostra come i cambiamenti climatici si tradurranno in uno stress termico che causerà una perdita economica di 2.400 miliardi di dollari e di 80 milioni di posti di lavoro nel mondo entro il 2030.
Queste proiezioni si basano su un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi e suggeriscono che entro il 2030 il 2,2% delle ore totali lavorate a livello mondiale andrebbe perso a causa delle alte temperature. Le ricadute, però, saranno ripartite in maniera diseguale tra i Paesi. Le regioni che perderanno il maggior numero di ore di lavoro saranno l’Asia del Sud e l’Africa dell’Ovest con una perdita entro il 2030 di circa 43,9 milioni di posti di lavoro. Le perdite economiche associate allo stress termico si uniranno quindi agli svantaggi economici già esistenti in questi Paesi, in particolare agli elevati tassi di lavoratori poveri, all’agricoltura di sussistenza e all’assenza di protezione sociale.
L’intensità degli aumenti di temperatura può variare però anche all’interno dei Paesi e l’impatto può essere particolarmente alto nelle città. Il fenomeno delle isole di calore urbano si riferisce alle aree urbane che sono significativamente più calde rispetto alle zone rurali circostanti a causa dell’assorbimento del calore solare da parte di edifici e strade.
Queste proiezioni si basano su un aumento della temperatura globale di 1,5 gradi e suggeriscono che entro il 2030 il 2,2% delle ore totali lavorate a livello mondiale andrebbe perso a causa delle alte temperature
Per di più, i Paesi che dovrebbero subire perdite significative di produttività del lavoro a causa dello stress da calore tendono ad avere anche alti livelli di informalità e copertura inadeguata di sicurezza sociale. In alcuni Paesi africani con perdite di produttività legate allo stress da calore superiori al 3%, l’economia informale rappresenta fino al 90% dell’occupazione totale e meno di un quarto della popolazione non è protetta da alcuna forma di sicurezza sociale. Nel complesso, le proiezioni suggeriscono che il 2,3 per cento del numero totale di ore di lavoro in Africa andrà perso a causa dello stress da calore: l’equivalente di oltre 14 milioni di posti di lavoro a tempo pieno.
Questa perdita di produttività metterà ulteriore pressione su un numero crescente di lavoratori che sono già minacciati da altri effetti negativi dei cambiamenti climatici, come il cambiamento delle stagioni delle piogge, i disastri naturali, la siccità e la perdita di biodiversità. Senza dimenticare le questioni di giustizia sociale globale, visto che l’Africa ha contribuito a meno dell’1 per cento delle emissioni di gas serra responsabili degli attuali cambiamenti climatici.
Il 2,3 per cento del numero totale di ore di lavoro in Africa andrà perso a causa dello stress da calore, anche se il continente ha contribuito a meno dell’1 per cento delle emissioni responsabili del riscaldamento globale
Quanto ai settori più colpiti, il comparto più interessato dal riscaldamento globale è quello dell’agricoltura che nel mondo occupa 940 milioni di persone: lo stress termico potrebbe causare la perdita del 60% delle ore di lavoro tra i contadini e i lavoratori della filiera agricola. Anche il settore delle costruzioni subirà un forte impatto dal riscaldamento globale con la perdita del 19% delle ore di lavoro.
Tuttavia, lo stress da calore può diventare un problema anche per i lavoratori industriali in ambienti chiusi, se i livelli di temperatura all’interno di fabbriche non sono regolati correttamente. Alcune professioni del settore dei servizi sono inoltre influenzate dall’aumento dei livelli di calore, come i lavori nella raccolta dei rifiuti, i lavori di riparazione di emergenza, i trasporti, il turismo e lo sport. E anche il turismo, ovviamente.
Sulla base di queste stime l’Onu chiede dunque agli Stati nuovi sforzi per sviluppare, finanziare e attuare politiche nazionali per combattere i rischi di stress termico e proteggere i lavoratori. L’eccessivo calore sul lavoro è un rischio per la salute dei lavoratori e può causare colpi di calore che possono essere fatali. Servono quindi, dicono dall’Ilo, infrastrutture adeguate e migliori sistemi di allerta precoce durante le ondate di calore, oltre che una migliore applicazione delle norme internazionali sulla sicurezza e la salute sul lavoro.