Marco Leonardi: “Il problema dei salari in Italia è che manca il lavoro di qualità”
«Il problema dei salari in Italia è che mancano lavori di qualità». A dirlo è Marco Leonardi, Professore Ordinario di Economia Politica all’Università Statale di Milano ed ex capo Dipartimento della Programmazione Economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio, quando l’esecutivo era guidato da Mario Draghi.
Leonardi, che ha alle spalle una lunga esperienza come consigliere economico (in precedenti Governi è stato consigliere dell’ex Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni), pone come oggetto di analisi in particolare un grafico elaborato sulla base dei dati OCSE, che mostra come in Italia, tra il 1990 e il 2020, i salari siano diminuiti del 2,9%.
«I salari sono bassi perché la produttività italiana è bassa», afferma Leonardi. Il grafico elaborato su dati OCSE «è diventato famoso per due aspetti. Prima di tutto, l’Italia è l’unico Paese della classifica a registrare un dato negativo, mentre i salari sono cresciuti in tutti gli altri Paesi OCSE. In realtà, però, bisogna tenere presente che scegliere il 2020 non è stata la migliore delle decisioni, perché ha inciso l’impatto della pandemia. Ma soprattutto in Italia c’è stato un aumento dell’occupazione dipendente con molti contratti part-time, a termine e atipici. Si tratta del modo in cui sono entrati nel mondo del lavoro giovani, donne e immigrati. Dunque il dato negativo del grafico è un effetto di composizione. Un fenomeno molto importante in economia».
In Italia c’è stato un aumento dell’occupazione dipendente con molti contratti part-time, a termine e atipici. Ma se guardiamo solo ai lavoratori a tempo pieno, la fotografia cambia.
La fotografia cambia se consideriamo solo i lavoratori a tempo pieno. Se si fa un confronto tra Paesi, spiega il Professore, i dati sono migliori «perché c’è una crescita, anche non eccezionale, dell’ordine del 6% in termini reali, ma comunque positiva. E ha senso fare questa scomposizione perché non riguarda solo le posizioni apicali, ma tutte le “professioni normali”, per esempio chi opera negli enti pubblici o lavora come netturbino o operaio. In questo caso i salari sono cresciuti e non siamo gli ultimi della classifica».
Ma resta il tema della precarietà. «Negli ultimi anni è stato approvato il Decreto Dignità per porre un limite ai contratti a termine, ma ha avuto un effetto opposto. E ora viene citato molto il modello spagnolo, però occorre guardare bene ai dati e al contesto», dice Leonardi.
La riforma del lavoro spagnola prevede, tra le varie cose, due forme di contratto formativo per i più giovani e una sola forma di contratto a termine, caratterizzato da più stringenti e circoscritte causalità. Al di fuori di queste situazioni, il contratto a tempo determinato non può essere impiegato: la tipologia di contratto prevalente deve essere quella a tempo indeterminato. Con la possibilità del cosiddetto fijo discontinuo, ovvero il contratto fisso discontinuo, che si può impiegare per lavori stagionali o intermittenti. Tra una prestazione e l’altra, è lo Stato che integra il salario mancante.
In Spagna, spiega Leonardi, «il problema principale era rappresentato dai contratti a termine, poiché ce ne erano in numero spropositato. Alla luce di ciò, si può dire che la Legge ha funzionato, ma grazie al fatto che molti lavoratori ora sono a spese dello Stato. E adesso hanno sì un contratto a tempo indeterminato, però è spesso discontinuo. Il resto del tempo, quando l’individuo non lavora, lo Stato paga la disoccupazione».
Il problema sono i part-time verticali, perché spesso sono falsi. Un modo per pagare meno e far lavorare di più di quanto previsto dal contratto.
In Italia, però, la maggiore criticità è costituita dai part-time verticali, «perché spesso sono falsi. Un modo per pagare meno e far lavorare di più di quanto previsto dal contratto. Questo problema va risolto con più controlli. Successivamente ci si può occupare del tempo determinato, che rappresenta una criticità prima di tutto nella Pubblica Amministrazione. Ma ricordiamoci che oggi le stabilizzazioni sono in rapida crescita».
Quello italiano resta comunque un mercato in cui scarseggiano quelli che Leonardi definisce “lavori di qualità”. «Un lavoro di qualità è tale semplicemente quando è ben pagato», dice. «Il problema in Italia è che mancano i salari alti. E non credo che influisca la tassazione, perché in Germania e in Francia è simile. Ma la situazione è diversa: in Italia ci sono meno dirigenti e vengono pagati meno».
I numeri dicono che il livello medio dei salari nei settori privati nel nostro Paese è inferiore del 10% rispetto alla Francia e del 20% se confrontato con la Germania. Cosa si può fare?
«Dipende da cosa producono le aziende», risponde Leonardi. «Se si hanno imprese troppo piccole o produzioni tradizionali, abbiamo relativamente pochi lavori di qualità. Per decine di anni abbiamo provato invano ad aumentare le dimensioni delle nostre aziende. In Italia abbiamo imprese più piccole e produzioni non abbastanza tecnologiche. Però ci sono nicchie molto buone, soprattutto nella manifattura».
È su questi modelli positivi che dovremmo puntare per aumentare la produttività e, di conseguenza, anche i salari.