Come prendersi cura del benessere psicologico (e della felicità) sul posto di lavoro
Le inaspettate dimissioni della premier neozelandese Jacinda Ardern hanno incrementato la discussione sul burnout in ambito lavorativo. Ardern ha spiegato: «Lascio perché un ruolo così privilegiato comporta responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta a guidare e anche quando non lo sei. So quanto impegno richiede questo lavoro e so che non ho più abbastanza energie per rendergli giustizia».
Il burnout però non è un fenomeno recente. Il termine, che letteralmente significa “bruciato”, è stato studiato a partire dalla metà degli anni Settanta dalla psichiatra americana Christina Maslach.
«Corrisponde a una sindrome di esaurimento, è uno stress correlato al lavoro che, nel tempo, diventa cronico», spiega la psicologa del lavoro e della comunicazione Silvia Gazzotti.
Il burnout si articola in tre fasi principali. «La prima corrisponde a una sorta di esaurimento emotivo. La seconda, chiamata depersonalizzazione, coincide con la sensazione che ci sia io o qualcun altro in quel ruolo lavorativo è la stessa cosa. Ce n’è poi una terza che riguarda una riduzione della realizzazione personale», precisa Gazzotti.
Il burnout è stato spesso associato in primo luogo alle professioni di cura ad alto contatto con il paziente. Nel tempo poi il concetto «si è esteso a più ambiti perché anche altre professioni possono subire una cronicizzazione dello stress».
In seguito alla pandemia, i casi di burnout sono aumentati esponenzialmente. E, secondo il Global Culture Report, si verificano in particolare tra i leader che, dopo l’avvento del Covid-19, hanno subito un aumento di oneri e stress. L’organizzazione del lavoro ha infatti un grande impatto. «Nell’azienda può esserci un clima di supporto o un clima che, al contrario, porta all’esaurimento della persona», afferma la dottoressa Gazzotti.
La retribuzione emotiva
Uno studio condotto da Ipsos, in collaborazione con la piattaforma di psicologia online TherapyChat, sullo stato emotivo degli italiani nel periodo post-pandemico, ha evidenziato che il 46% dei lavoratori sostiene che il proprio benessere psicologico sia molto influenzato dalla condizione lavorativa.
TherapyChat ha delineato anche alcuni bisogni di cambiamento che caratterizzeranno il mondo del lavoro nel 2023. In primo luogo, si consoliderà la tendenza a rivalutare le esigenze personali lavorative.
È un fenomeno già in atto, molti sono infatti coloro che cambiano impiego, accettando mansioni più in linea con le proprie priorità, alla ricerca di un sano equilibrio tra vita privata e lavoro.
Lo smart working ha dimostrato che è possibile avere una vita fuori dal lavoro, a patto che si tracci il confine tra vita privata e lavoro. «Molte aziende però stanno tornando indietro. Sarebbe importante mantenere una flessibilità rispetto alle esigenze dei lavoratori perché tutti quanti, seppur con alcune difficoltà, hanno trovato il beneficio di poter gestire la quotidianità in casa lavorando in sedi distaccate», sostiene Gazzotti.
I lavoratori percepiscono e percepiranno come sempre più importante quella che viene definita «retribuzione emotiva», cioè che la propria azienda si interessa alla salute mentale e fisica dei dipendenti.
La pandemia ha evidenziato come per i lavoratori sia sempre più importante dare un significato al lavoro. Quindi, non solo lavorare perché si deve, ma anche per dare un senso alla vita.
Silvia Gazzotti, psicologa del lavoro e della comunicazione
In base ai dati del Dipartimento Data Science & Research di The Adecco Group, il volume delle ricerche della parola “welfare aziendale” da parte degli utenti su Google è aumentato del 150% nel 2022 rispetto al 2019. Le ricerche di “equilibrio tra vita e lavoro” sono aumentate del 50% nel 2022 rispetto al 2019. In particolare, tra fine 2021 e 2022 si è registrato un aumento del 150%.
«La pandemia ha evidenziato come per i lavoratori sia sempre più importante dare un significato al lavoro», spiega la psicologa. «Quindi, non solo lavorare perché si deve, ma anche per dare un senso alla vita. È un fenomeno in crescita che ha portato alle grandi dimissioni e al quiet quitting, cioè lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto senza fare straordinari».
Il punto sta, secondo la specialista, nell’aiutare le imprese a capire l’importanza di tutto questo. «Ci sono segnali che ricordano ai datori di lavoro l’importanza di un investimento sulle risorse umane. Un lavoratore che sta bene lavora di più e meglio», aggiunge.
Saper gestire lo stress
L’ambiente in cui si è immersi contribuisce ad aumentare la felicità della persona. Nel Global Culture Report si afferma che avere una comunità forte nelle aziende comporta un «99% di probabilità che i dipendenti si sentano parte di quella organizzazione». E questo ha anche un impatto positivo sul burnout, sulla permanenza in carica e sull’inclusione.
Secondo il report di TherapyChat, «gli spazi, la tecnologia e la gestione delle risorse umane diventeranno sempre più collaborativi e trasparenti». In questo contesto acquisteranno maggiore importanza le soft skill. «A parità di competenze tecniche e pratiche, saper gestire lo stress e rispondere in modo attivo alle problematiche lavorative diventano fattori fondamentali per riuscire a gestire il proprio ruolo e le risposte del mercato», sostiene Silvia Gazzotti.
Le aziende, secondo il rapporto, impareranno a intervenire «in modo preventivo per evitare situazioni di burnout, così come l’attenzione al benessere emotivo e il supporto psicologico professionale agli stati di ansia o depressione saranno una priorità». Le imprese cambieranno dunque prospettiva.
Una buona notizia, soprattutto se si tiene in considerazione che il 23% dei dipendenti preferirebbe essere disoccupato piuttosto che infelice sul lavoro.