La Scuola di Fallimento che insegna a ripartire dai propri errori
Non esiste una definizione univoca di “fallimento”, ognuno lo vive in modo diverso e gli attribuisce un significato individuale. Per qualcuno fallire significa, ad esempio, essere bocciato a un esame o perdere il lavoro, per altri la fine di una relazione o la bancarotta di un’azienda. L’unica certezza è che tutti, in un modo o nell’altro, prima o poi, falliamo.
Il fallimento ha più facce. C’è chi lo esalta, considerandolo uno step fondamentale e quasi auspicabile per la crescita della persona. Si tratta della “failosophy”, cioè l’arte di fallire con successo, o della filosofia di vita giapponese “shippai”, che indica un “fallimento positivo o costruttivo”. C’è chi invece lo condanna, ritenendolo inaccettabile e vergognoso, qualcosa da nascondere.
Quella di Francesca Corrado, fondatrice della Scuola di Fallimento, è una posizione intermedia. Sostiene che il fallimento sia «il punto finale di una serie di errori spesso sistematici che non vengono corretti». L’obiettivo di questa scuola è imparare ad accettare la delusione che può derivare da un errore, cercando di guardare al progetto intero e non al singolo risultato.
A un certo punto ho fallito. Avevo perso soldi, relazioni e ruoli. Ma non le mie capacità, che sono quelle che mi hanno permesso di ripartire.
Sbagliare, a volte, significa cambiare strada e vedere le cose da una prospettiva diversa, non necessariamente negativa. «È grazie ai miei errori che ho fondato la scuola», dice Francesca Corrado. «Prima ero una ricercatrice all’Università di Modena, mi occupavo di benessere e pari opportunità e avevo avviato una start up di formazione e consulenza. A un certo punto ho fallito. Avevo perso soldi, relazioni e ruoli. Ma non le mie capacità, che sono quelle che mi hanno permesso di ripartire».
Da qui la decisione di aprire la Scuola di Fallimento, con percorsi dedicati alle scuole, ai professionisti e alle aziende. «È una scuola di pensiero. Dedichiamo tempo allo studio e al ragionamento per aiutare le persone ad assumere una prospettiva diversa. Vogliamo evidenziare l’importanza di fare buoni errori. Sbagliando, infatti, non si impara, a meno che non ci si fermi ad analizzare gli sbagli», aggiunge.
Il passaggio fondamentale risiede nella comprensione degli errori. «È importante capire il processo che abbiamo fatto e che ci ha portato a compiere quella scelta, per poi non farlo più in futuro», dice Corrado. Analizzare gli sbagli permette di capirli, sdrammatizzarli e condividerli. Questo non impedirà di fare nuovi errori, ma permetterà di farne di migliori. Fallendo è possibile conoscere meglio sé stessi e le proprie capacità, saper gestire i sogni che, nel corso del tempo e anche grazie agli errori, possono modificarsi.
La teoria ci dice di focalizzarci sui punti di forza, io però lavoro sui limiti. È capendo quali sono che possiamo iniziare con una nuova consapevolezza.
Nella scuola si impara che fine e inizio spesso possono coincidere. Il fallimento può concludere qualcosa che non andava più bene e avviare qualcos’altro di migliore, può essere un percorso alternativo, che mai si sarebbe valutato, pronto a offrire nuove opportunità. «La teoria ci dice di focalizzarci sui punti di forza, io però lavoro sui limiti. È capendo quali sono che possiamo iniziare con una nuova consapevolezza», sostiene Corrado.
I bambini vivono l’errore in modo diverso, lo accettano e lo capiscono. Poi entrano in un contesto sociale in cui l’adulto dice “ora sei grande smetti di sbagliare” e la loro percezione cambia.
La Scuola di Fallimento è per tutti anche se, secondo l’esperta, la considerazione dell’errore dipende anche dal genere e dall’età. «Le donne hanno più paura di sbagliare e tendono ad andare in over-thinking perché sono più abituate alla perfezione. Non è una questione biologica, dipende dall’educazione. Gli adolescenti hanno la tendenza ad agire in modo più emotivo e a vedere in ogni piccola sconfitta una tragedia». I bambini vivono l’errore in modo diverso, lo accettano e lo capiscono. Poi «entrano in un contesto sociale in cui l’adulto dice “ora sei grande smetti di sbagliare” e la loro percezione cambia».
Spesso il peso delle aspettative proprie e altrui diventa troppo soffocante e ci si dimentica che la vita non è una gara, né una sfida continua. Ci sono storie note di fallimenti che infondono speranza – come quella di J.K. Rowling o di Einstein – e, al contrario, esistono episodi di persone che di fronte a un fallimento non sono riuscire a ripartire. Certo è che la costanza e la caparbietà sono qualità imprescindibili per raggiungere i propri obiettivi e che di fronte a un fallimento, se affrontato in modo positivo, si sviluppano tenacia e autocontrollo. È vero però che queste capacità non bastano per scrivere un best seller o diventare uno dei fisici più noti al mondo. Al contempo, saper accettare di essere umani e ripartire dai propri errori è un punto fondamentale per poter trasformare gli sbagli in soddisfazioni future.
La verità è che fallire è come andare a scuola, innamorarsi, imparare a guidare. È parte della vita, un passaggio obbligato, che tutti vivono e che quindi è bene imparare ad affrontare nel migliore dei modi. Guardandolo nella prospettiva di un miglioramento personale, non deve incidere negativamente né sull’autostima né sui desideri futuri, anzi. In alcuni casi può anche rivelarsi una benedizione perché offre la possibilità di intraprendere nuove vie.