La scuola del futuro: Più autonomia, più lingue e niente esami di Stato
Più autonomia, maggiore flessibilità decisionale, un uso mirato della tecnologia e uno studio più intelligente delle lingue. Sono questi i pilastri della scuola del futuro secondo Nadia Cattaneo, preside del pluripremiato Istituto tecnico economico “Ernico Tosi” di Busto Arsizio, Varese, quella che è considerata la scuola migliore d’Italia. Nella struttura diretta da Cattaneo, si studiano sei lingue, le gite sono state sostituite dagli scambi culturali con l’estero e in alcune sezioni ci si diploma in quattro e non cinque anni.
Se si chiede alla preside qual è oggi il problema principale della scuola italiana, lei risponde: «La mancata piena realizzazione dell’autonomia scolastica, così com’era prevista dal decreto 275 del 1999». La piena possibilità di sperimentare e innovare, secondo Cattaneo, è rimasta ancora solo sulla carta. Non tanto sul fronte della didattica, quanto su quello organizzativo. La scansione dell’orario e la gestione delle classi sono ancora quelli tradizionali. E ogni innovazione è difficile da incastrare in una «impalcatura che è rimasta quella antica», dice. Un esempio: «È un’impresa staccare un docente dalle classi per metterlo a lavorare su un progetto. Non è passata l’idea di un organico funzionale alle attività delle scuole».
Nadia Cattaneo non esclude la collaborazione tra scuola e imprese, e tra scuola e territorio. Anzi. «L’interazione con l’esterno è vitale per una scuola», dice. «Se vediamo la scuola come una monade chiusa, abbiamo fallito. Non la rinnoviamo più». Quindi sì all’alternanza scuola-lavoro: «Il rapporto che la scuola sviluppa con il mondo del lavoro può diventare uno stimolo anche per la scuola per ragionare più per competenze, senza ovviamente eliminare le conoscenze». E sì anche alla collaborazione con i genitori e anche alle loro critiche, «se costruttive ovviamente».
L’interazione con l’esterno è vitale per una scuola. Se vediamo la scuola come una monade chiusa, abbiamo fallito. Non la rinnoviamo più
La scuola così non perde il polso del mondo esterno. La preside, a questo proposito, propone di andare ben oltre i libri di testo. «Soprattutto nell’epoca del digitale, il libro di testo non è qualcosa di sacro, ma uno dei tanti strumenti per poi costruire percorsi specifici», spiega Cattaneo. E anche l’apprendimento delle lingue ha bisogno di uno scossone: «La scuola dovrebbe creare situazioni per l’apprendimento e l’insegnamento delle lingue che siano meno metalinguistiche e più legate all’uso della lingua. Che non vuol dire non studiare la grammatica, ma questo dovrebbe essere il punto di arrivo e non sempre e solo il punto di partenza. Scambi culturali e tirocini di lavoro all’estero sono un esempio. Oltre che le lezioni di materie in una lingua diversa dalla nostra».
E poi l’immancabile tecnologia, che non significa solo portare qualche computer o lavagna interattiva tra i banchi: «L’innovazione non si esaurisce solo nell’introduzione di strumenti tecnologici. Serve la formazione dei docenti, la ridefinizione del ruolo del docente in classe come figura di guida e non semplice trasmettitore, ma occorre lavorare anche sulla gestione degli strumenti digitali». Smartphone in classe sì o no? «Smartphone in classe sì, ma regolati. Dobbiamo insegnare ai ragazzi che smartphone e tablet non sono solo strumenti per chattare o divertirsi, ma anche strumenti per lavorare o studiare».
Quest’anno, all’istituto Tosi, hanno concluso le scuole superiori gli studenti della sperimentazione quadriennale, che hanno raggiunto il diploma in quattro anziché cinque anni. «L’esperienza è stata assolutamente positiva. Tanti hanno già superato i test universitari, alcuni si sono iscritti all’estero, altri stanno entrando nel mondo del lavoro, e ci arrivano un anno prima», spiega Cattaneo. «Hanno un anno a disposizione in più, in cui potrebbero prendersi anche un anno sabbatico con la possibilità di fare altre esperienze e scegliere magari con più consapevolezza il loro progetto di vita dopo l’esame di maturità». A proposito, dice la preside, «l’esame di maturità lo toglierei del tutto. È diventato più un rito molto costoso che altro e non serve alle università per valutare i ragazzi».