Il futuro della sharing economy (ma avrà un futuro?)


Ad aprile Airbnb ha chiesto prestiti per due miliardi di dollari: si trova infatti nella complicata situazione di dover garantire le cancellazioni fatte da moltissimi suoi clienti, ma di dover allo stesso tempo tutelare in qualche modo gli host di Airbnb che si sono trovati con le prenotazioni cancellate (tra le altre cose, l’azienda ha istituito per loro un fondo di salvataggio da 250 milioni di dollari).

[legacy-picture caption=”Brian Chesky, AD di Airbnb” image=”36f7f414-6bc9-46db-b34b-5717ae0409ed” align=”right”]

L'emergenza Covid 19 ha colpito duramente il colosso degli affitti temporanei. L’amministratore delegato della compagnia californiana, Brian Chesky, ha annunciato un taglio del 25% della forza lavoro. Verranno licenziati 1.900 dei 7.500 dipendenti del gruppo. La company di San Francisco giustifica la decisione stimando una perdita del 50% dei guadagni nel 2020, confrontati con quelli del 2019 e con il crollo nel solo mese di aprile del 90% delle prenotazioni. Nel comunicare la notizia ai lavoratori, Chesky ha specificato che l’azienda deve prendere atto che il cambiamento del settore turistico sarà drastico e non temporaneo, per cui Airbnb dovrà ristrutturarsi e adeguarsi. L’idea è quella di ridurre gli investimenti in Hotel e Lux e di tagliare nel settore pubblicitario e del marketing, tornando a puntare sulle connessioni umane delle persone che mettono a disposizione i propri alloggi.

Una crisi di modello che il colosso degli affitti peer to peer condivide con Uber. Ci sono stime che parlano, per marzo e negli Stati Uniti, di spese sull’app scese dell’83%. Il gigante del noleggio auto con conducente ha annunciato di aver deciso di ridurre la propria forza lavoro di circa il 14%, licenzierà complessivamente 3.700 dipendenti sui 26.900 totali, soprattutto nel settore dell’assistenza clienti. Dara Khosrowshahi, l’amministratore delegato dell’app, in una email ai dipendenti, ha anche specificato che non si escludono ulteriori «difficili aggiustamenti» da stabilire nelle prossime settimane.

[legacy-picture caption=”Le proteste degli autisti Uber negli Usa” image=”5ed0c399-aa53-47c3-be3a-1392a4ed982c” align=”left”]

A febbraio Uber aveva fatto sapere di aspettarsi, per quest’anno, entrate per oltre 16 miliardi di dollari. Qualche giorno fa ha invece detto di non essere in grado, data la situazione, di fare nuove previsioni per il 2020.

Ma come dice il detto non c'è due senza tre. WeWork, l’azienda statunitense che affitta spazi per il co-working in tutto il mondo, è in gravissime difficoltà. Già prima del Coronavirus aveva avuto problemi che l'avevano portata al licenziamento di oltre 2.000 persone. Ora si trova a operare in un mercato in cui il co-working è stato soppiantato dallo smart working e dove la disoccupazione sta galoppando a tassi molto, molto preoccupanti.

La situazione in cui si trovano Airbnb, Uber e WeWork è diventata il simbolo di un refrain: la sharing economy è in crisi. Ma è davvero così?

[legacy-picture caption=”Una sede di WeWork” image=”421c7a7a-2778-4896-a48a-390c97941aee” align=”right”]

«Per rispondere credo che per prima cosa dovremmo chiederci cosa sia la sharing economy», spiega Marta Mainieri, autrice di “Collaboriamo!” (Hoepli 2013), il primo libro pubblicato in Italia sulla sharing economy e fondatrice di Collaboriamo.org, piattaforma che offre servizi per l’economia collaborativa oltre che curatrice di Sharitaly, il primo evento interamente dedicato alla sharing economy in Italia.

«Perché se parliamo di economia collaborativa questi colossi sono solo una delle tante forme, e certamente non le più aderenti ad un certo modo di vedere il fenomeno. Per essere chiari esiste una forma di sharing che ha più a che fare con l'erogazione di servizi, che è più che altro un modello organizzativo, ed è quella di queste grandi piattaforme internazionali. Queste certamente sono andate in crisi, come tante altre imprese e interi settori. Poi c'è invece una forma di sharing che nasce dal basso, dalle comunità, e punta a rispondere a dei bisogni».

[legacy-picture caption=”Marta Mainieri, fondatrice di collaboriamo.org” image=”4c612e53-60d1-4d8f-b69b-1d323b80bece” align=”left”]

Per Manieri questa seconda versione è tutt'altro che in crisi. «Anzi direi che ha dimostrato tutta la sua efficienza ed è uscita dall'emergenza Covid19 più forte di prima», aggiunge Mainieri. «È un fatto che ci siamo tutti resi conto che la collaborazione è vincente. Il Coronavirus ci ha insegnato che collaborando si è più forti. In tutte le pratiche di assistenza, welfare e mutuo aiuto, quello che ha funzionato è stata proprio la collaborazione tra pari. Penso alle social street, al volontariato e tutte quelle pratiche di vicinato basate sulla relazione».

Gli esempi sono tanti. «Basti guardare a un portale come Milano Aiuta. Il modello è stato mettere in comune professionalità, competenze e idee. Il motore è un bisogno che mobilità le comunità. Ecco come si spiega la crisi dei colossi rispetto al successo dei piccoli. La differenza non sta nelle dimensioni ma la community alla base. Laddove c'è comunità c'è stata grande resilienza», sottolinea Mainieri.

La vera economia collaborativa direi che ha dimostrato tutta la sua efficienza ed è uscita dall'emergenza Covid19 più forte di prima. Laddove c'è comunità c'è stata grande resilienza.

Marta Mainieri

Un esempio di questa economia collaborativa sostenuta da una base di clienti affezionati è Come Home. «Una piattaforma che organizzava eventi a domicilio. Naturalmente con l'emergenza sanitaria questo non è stato più possibile. In men che non si dica hanno lanciato online Stay Home, e hanno spostato tutti gli eventi sul digitale che hanno funzionato benissimo».

Le vere criticità della sharing economy sono la mancanza di investimenti e il bisogno di competenze digitali

Marta Mainieri

«La vera difficoltà che vive la sharing economy non è la crisi dovuta al virus», aggiunge Mainieri, «la verità è che in primo luogo mancano investimenti coraggiosi che credano in questo modello. Tantissime pratiche si estinguono perché non ci sono i soldi per scalare e crescere. Manca una finanza che decida di credere nelle possibilità, anche remunerative, del sociale».

Infine «c'è il grande tema del digitale», conclude Mainieri, «muoversi solo sul territorio oggi non basta. Il digitale, e la crisi lo dimostra, è sostanziale per pensare di poter avere successo. Servono competenze e know how specifici».

Di |2024-07-15T10:05:58+01:00Luglio 17th, 2020|Economia e Mercati, futuro del lavoro, MF|0 Commenti