Slash Worker, chi sono i freelance che fanno lavori diversi
Giornalista e istruttore di yoga. Social media manager e organizzatore di festival. Architetto e guida turistica certificata. Binomi senza contraddizione nel mondo degli slash worker, persone che hanno fatto della flessibilità e dell’autonomia la propria cifra occupazionale. Un universo nato sulla scia del lavoro da freelance che, a livello europeo, nel periodo 2011-2015, è aumentato di oltre il 13% a fronte di una crescita generale degli occupati del 2%. A fotografare questa categoria ci ha pensato un report Acta, Associazione italiana dei freelance, come parte del progetto europeo I-Wire che ha coinvolto otto paesi membri.
A livello quantitativo, in Italia, secondo i dati Istat relativi al 2017, ci sono 5,3 milioni di lavoratori autonomi e rappresentano il 23% degli occupati: 8 punti percentuali in più rispetto alla media Ue del 15%. Di questi, secondo Eurostat, circa 3,5 si definiscono freelance, ossia persone che guadagnano con attività autonome attraverso la prestazione del proprio servizio a committenti esterni. Dati che non tengono però conto della stratificazione degli impegni lavorativi che, per passione o necessità, i freelance assumono per sbarcare il lunario.
Altamente scolarizzato, il freelance italiano è molto spesso laureato (76,5%) se non addirittura un dottorando (20,2%) e ha scelto questa strada in modo consapevole.
Ecco allora che le 900 interviste redatte da Acta gettano luce sul profilo del freelance tipo italiano, sfatando anche qualche falso mito sulla precarietà.
Altamente scolarizzato, il freelance italiano è molto spesso laureato (76,5%) se non addirittura un dottorando (20,2%) e ha scelto questa strada in modo consapevole: solo l'11,5% giudica con un voto inferiore a 6 su una scala da 1 a 10 il grado di soddisfazione verso la propria condizione. Un dato che si lega a quella percentuale fra l'11 e il 14% in cui rientrano i casi delle finte partite Iva (spesso concentrati nei settori sei subcontractor per la pubblica amministrazione). La spinta all'autonomia in materia di lavoro accomuna, poi, tanto i freelance che lavorano in modo continuativo quanto quelli che vanno incontro a qualche pausa fra un incarico e l'altro. Ed è così forte che nel rapporto di Acta si legge chiaramente come emerga “un nuovo tipo di freelance, guidato dall’aspirazione alla libertà e al controllo del proprio lavoro in tutte le sue dimensioni, dalla professionalità alla qualità, dalla formazione al tempo che si vuole dedicare ad esso, dagli orari alla scelta dei luoghi, e che non rinuncerebbe a questa autonomia per accrescere reddito e sicurezza”.
L’80% dei freelance italiani può essere definito uno slash worker, sia a causa dell’evoluzione del mondo del lavoro, sia per la crisi che ha colpito soprattutto i giovani.
Piuttosto che cedere, quindi, il freelance italiano è portato a fare più lavori per sostenersi: l'80% può essere definito uno slash worker. Ciò è dovuto sia all'evoluzione del mondo del lavoro che pone meno barriere fra una professione e l'altra, sia alla crisi che ha colpito soprattutto i giovani. Un fenomeno che, secondo Acta, può rappresentare un piano inclinato verso la perdita di qualità e specializzazione o verso il deterioramento delle competenze. Certo, non per tutti è così e, nonostante le difficoltà, lo slash worker è prima di tutto chi affianca al lavoro "ufficiale" quello che prima era solo un hobby e ora è un'altra fonte di reddito.
Il reddito, d'altronde, è il punto dolente. Anche a fronte di più professioni in parallelo, circa il 75% degli intervistati dichiara 30mila euro lordi all'anno e il 23% di questi afferma di trovarsi sotto la soglia dei 10mila euro lordi l'anno. Una ristrettezza a cui si somma il pagamento delle tasse e il fisco, nonostante i regimi agevolati al 5 e 15% rimane ancora un macigno (a volte anche psicologico e morale piuttosto che materiale). La soluzione potrebbe essere quella di un welfare amico, ma anche qui i freelance non se la passano bene: meno del 10% degli intervistati ritiene di sentirsi protetto in vista della pensione, in caso di malattia, maternità e infortunio e solo il 20% paga assicurazioni volontarie per malattia e infortuni e versa contributi per una pensione integrativa.