Volete inventarvi un lavoro? Leggete la storia di Jacopo De Carli, il calzolaio 2.0
È il 19 dicembre 2018, e una folla di ragazzi dorme tutta la notte, sotto zero, in via Statuto 18 a Milano. La notizia finisce su tutti i giornali. Il motivo di questo camping alternativo? I ragazzi sono in attesa dell’apertura del negozio Nike per la vendite delle sneakers Off-White x Nike Air Force 1 “Black” & “Volt”, le tanto attese scarpe “colorways” acquistabili al prezzo di 170 euro. Ed è proprio il mondo di quelle che una volta erano semplicemente scarpe da ginnastica a fare da contesto alla storia di Jacopo De Carli, calzolaio 2.0 che proprio della manutenzione di questo tipo di calzatura si occupa. «Sono stato quello che si può tranquillamente definire un dropout. Vengo da Pavia, ho 26 anni e mi appresto a spostare il mio laboratorio in piazza Diaz, a fianco al Duomo di Milano dopo che un fondo ha investito nella mia azienda». Ma come si diventa artigiani di scarpe considerate da sempre usa e getta? Per scoprirlo siamo andati a incontrarlo nel suo laboratorio, la DCJ in via Bernardo Davanzati 33, a Milano, tra Dergano e Bovisa.
Come si diventa calzolaio 2.0?
Dipende da qual è il punto di partenza. (ride)
In che senso?
Sono di Pavia, non volevo studiare e lavoravo in un’officina meccanica. Ero un normale operaio e facevo il fresatore a controllo numerico. Un’esperienza che mi ha insegnato a lavorare ma che non mi piaceva. Non si poteva parlare perché dovevamo solo produrre in catena di montaggio. Ho fatto due o tre depressioni, così ho deciso che avrei cambiato vita. A me di studiare non è mai interessato, mi hanno cacciato da tutte le scuole private che ho fatto, ho solo la terza media.
E le scarpe cosa c’entrano?
Ho sempre avuto il pallino delle scarpe di lusso. Non le sneakers, ma marche come Louboutin o Zanotti, calzature che costano anche mille euro. Chiariamoci: sono figlio di una famiglia borghese, prendevo 1.200 euro di paghetta e vivevo in provincia. Dalle mie parti avere la scarpa di grido è un must. In casa volevano che facessi l’architetto o il geometra perché mio papà ha un’azienda di imbianchini. A me non è mai interessato. Così ho cominciato a guardarmi intorno per trovare qualcosa che c'entrasse con la mia passione per le scarpe.
E hai trovato un corso…
Sì, mi sono buttato a fare un serale di calzoleria organizzato da Confartigianato a Bergamo. Quando nel 2015 mi hanno lasciato a casa dalla fabbrica ho deciso di spostarmi a Milano e ho trovato la possibilità di fare lo stagista presso un calzolaio che si occupava di scarpe da donna, di marchi come Jimmy Choo, Prada o Gucci. Lì è cominciato tutto. Ho imparato le tecniche di base e i modi di trattare i diversi materiali.
Come arriva però l’idea di dedicarsi alle sneakers?
Molto gradualmente. All’inizio, dopo pochi mesi che ero a bottega, mi sono accorto che in negozio non arrivavano solo scarpe ma anche borse. Solo che nessuno le gestiva. Non c’era il know how per trattarle. Così ho proposto al mio capo di provarci io. Siccome si parla di oggetti che costano una fortuna, per convincerlo ho dovuto promettere che nel caso avessi creato danni li avrei ripagati di tasca mia. Una bugia, non avrei mai potuto sostenere quei costi. Ma non avevo alternative. La prima borsa che ho restaurato era una Hermes Birkin arancione. Era rovinata dal sole. Un lavoro difficile perché bisognava lavorare sulle sfumature. Grazie all’esperienza con le vernici acquisita con mio papà ho fatto un lavoro perfetto. Da quel momento ho cominciato a occuparmi di queste cose e mi sono specializzato. Le sneakers sono arrivate per caso. Un ragazzo mi ha chiesto se potevo pulirgliele. Il risultato è stato talmente buono che sono stato inserito in tutte le chat e i gruppi di questo mondo assurdo delle scarpe da ginnastica, di cui non sapevo nulla.
Che tipo di interventi fai sulle scarpe?
Con le borse mi sono specializzato nei lavaggi e nel restauro. E quell’esperienza l’ho poi riportata sulle scarpe insieme alle nozioni di calzoleria. Ma prima ho dovuto imparare tutto sul mercato delle sneakers. Ho girato tantissimo per negozi specializzati, facendo domande e assorbendo tutto il possibile. Oggi le lavo, le pulisco, le igienizzo, le restauro e le modifico. Dipende da cosa chiede il cliente. Il servizio base lo faccio pagare 50 euro, ma per un restauro si arriva fino a 150 euro.
La scarpa da ginnastica è sempre stata intesa come usa e getta. Perché mai qualcuno dovrebbe pagarti per rimetterne a posto un paio piuttosto che comprarle nuove?
Perché oggi quello delle sneakers è un mercato simile a quello dei Rolex. Nike, come tutti gli altri marchi, esce con delle collezioni limitate. Più è bassa la tiratura e più quella scarpa avrà valore. Un mondo che anch'io ho scoperto solo finendoci dentro. Così se compri una scarpa a 170 euro di cui esistono solo 100 modelli nel mondo, dopo un anno quella stessa scarpa varrà 5mila euro. Ecco perché ci sono le file fuori dai negozi e così tanti clienti sono interessati al mio lavoro. L’usura di una scarpa si misura in una scala da 1 a 10. Dieci è nuova, mentre 1 è da buttare. Io riesco a riportare una scarpa usurata 3 ad una condizione da 8 – 8,5. E questo fa una grande differenza economica per il proprietario.
Tu però vendi anche un prodotto per la pulizia delle scarpe…
Sì, che è anche il motivo per cui mi sono messo in proprio. Quando il mio nome è cominciato a circolare tra gli amanti delle sneakers sono stato invitato ad una fiera. Ma avrei dovuto avere qualcosa da vendere. Così ho pensato che avrei potuto mettere un’etichetta al solvente che miscelavo in laboratorio per pulire le scarpe. L’ho chiamato con le mie iniziali, DCJ. Alla fiera mi sono presentato con delle scarpe bianche e ho chiesto alle persone di pestarmi i piedi. Una volta sporchissime, le ho riportate immacolate con il mio prodotto. Avevo 40 bombolette e mi sono arrivate 400 richieste. A quel punto sono andato in conflitto con il mio datore di lavoro e mi sono aperto questo laboratorio in Bovisa investendo 15mila euro per i macchinari, tutti usati. Sono gl stessi che si usano nella calzoleria tradizionale. Per i soldi ho fatto un prestito in banca. Il laboratorio è a costo zero, sono ospite da amici. Questo è lo sgabuzzino del loro show room che era inutilizzato. Quindi al di là delle bollette, cui partecipo, non ho costi vivi. Oggi mi arrivano scarpe da tutto il mondo. Ho lavorate per persone del calibro del designer Heron Preston e Alessandro Cattelan.
La tua offerta non si limita a prendersi cura delle scarpe delle persone. Hai anche prodotti tuoi e un rapporto sempre più stretto con le case produttrici…
Sì, questo grazie al mio collaboratore Gregorio. Lui si occupa di innovazione in senso stretto: stampante 3D, laser, tecniche di tintura. Abbiamo cominciato a proporre prodotti nostri al cento per cento. Cambiamo il colore alle scarpe con una tecnologia particolare, produciamo mascherine in diversi materiali da applicare alle scarpe e modifichiamo e mixiamo modelli diversi. Recentemente Nike ci ha mandato un modello che non vende per provare a immaginare un evoluzione con più appeal.
A breve traslocherai il tuo laboratorio…
Sì, un fondo londinese ha investito nell’azienda rilevando il 50% delle quote. Apriremo in piazza Diaz.
Non è la prima volta che investitori ti cercano. Perché questa volta hai accettato?
La loro porposta era davvero vantaggiosa. È raro che qualcuno ti lasci più del 15-20% delle quote. E poi conoscevo questo ragazzo perché faceva parte delle community in cui sono stato coinvolto all'inizio. Un ragazzo italiano che è andato a fondare una start up a Londra e poi è tornato in Italia per investire gli utili in altri progetti. Con altri tre amici ha creato il fondo Lumen Venture. Hanno investito su di me e su altre due realtà giovani: Alta Cucina e The Basket.
Cosa hai in mente per il futuro?
L’idea è quella di formare qualcuno per fare quello che faccio io oggi. In modo che io possa cominciare a fare scarpe su misura, che è il mio grande sogno.