Social cooking & home restaurant: il gusto di inventarsi un lavoro


È universalmente conosciuto come social cooking ma è stato anche definito “peer to peer eating”. Una tendenza che arriva dagli Stati Uniti intorno al 2013, inizialmente vissuta solo come condivisione del pasto, atto sociale per eccellenza, nel giro di pochi anni si è imposta come vero e proprio business. Per stare alla definizione di La Cucina Italiana «un'occasione che permette a chi è rimasto senza lavoro ed è bravo ai fornelli di poter cogliere una nuova occasione per farsi conoscere e per arrivare più tranquillamente alla fine del mese». La condivisione infatti si è fatta social e attraverso siti e applicazioni ha visto nascere tantissime piattaforme, ognuna con una sua peculiarità.

Le piattaforme di social eating in Italia

  1. Una delle più note è Gnammo, che conta più di 200 mila utenti e 13 mila eventi creati in tutta Italia. La startup, incubata presso l'I3P del Politecnico di Torino, è stata fondata da Cristiano Rigon (amministratore delegato), Walter Dabbicco e Gian Luca Ranno. Chiunque, semplice appassionato o più esperto, può organizzare, o partecipare, a eventi culinari in casa, condividendo i posti a tavola con gli altri membri della community. Offre diverse opzioni: il social eating a casa di sconosciuti, lo special dinner per scoprire città e mete turistiche attraverso la tavola e il social restaurant ossia l’esperienza di conoscere persone nuove mangiando al ristorante.
  2. Le Cesarine è l’esperienza di social eating con cuoche esperte selezionata alla fase finale di Future Food, call for Innovation di Digital Magics. Il network – coordinato a livello nazionale da uno staff dedicato – unisce appassionati di cucina disponibili a ospitare eventi gastronomici in casa propria. L’obiettivo è far conoscere i migliori cuochi casalinghi d’Italia certi che le ricette autentiche siano scritte nei quadernetti tramandati di generazione in generazione. Le Cesarine sono disposte anche ad andare a cucinare a casa dei clienti.
  3. So Lunch è una piattaforma pensata per fare la pausa pranzo a casa dei vicini. Un deciso stop alla "schiscetta", modo milanese di definire il pasto preparato a casa la sera e portato al lavoro in recipienti di plastica, spesso consumata in fretta davanti al computer. Ma anche un no al pellegrinaggio nei locali vicini all’ufficio ormai conosciuti a menadito. So Lunch offre l’opportunità di gustare un pranzo "di casa" anche quando si è lontani da casa e di conoscere anche persone nuove. La startup offre i suoi servizi a Milano ed è stata fondata da Elena Seccia, Luisa Galbiati e Roberto Marmo.
  4. People Cooks unisce invece alla componente virtuale anche quella di mutuo sostegno. La piattaforma si rivolge esplicitamente a studenti o lavoratori fuorisede, turisti e persone che vogliono spendere poco. C’è un tetto per il costo del pasto: mai più di sei euro. Inoltre, lo spirito dell’iniziativa è diventare una valida soluzione di aiuto e solidarietà.
  5. VizEat è un’app che consente di scegliere una destinazione, sfogliare tra gli eventi in corso e prenotare un tour gastronomico, una cena o un corso di cucina. Inoltre, l’applicazione permette di fare nuove conoscenze incontrando le persone del luogo, scambiare ricette e condividere esperienze culinarie. Gli utenti pagano la cifra stabilita dal proprietario di casa direttamente sul sito che applica al prezzo una commissione del 15% a carico degli ospiti e invia l’incasso all’host via PayPal il giorno successivo all’evento. Si possono provare esperienze culinarie in più di cento Paesi.

Il social eating è un settore di mercato all’interno della sharing economy. Si differenzia dal nascente settore dell’home restaurant perché è un’attività da parte di chi offre il pasto con carattere saltuario.

Gaetano Campolo, cuoco professionista e ideatore del format Franchising Home Restaurant Hotel

Un'opportunità lavorativa reale

Un fatturato stimato di ben 7,2 milioni di euro solo nel 2014, con 37.000 eventi organizzati che hanno coinvolto 7000 cuochi in tutta Italia: questa la sintesi dei dati più recenti che fotografano il fenomeno contenuti nell’indagine realizzata dal Centro Studi Turistici di Firenze per conto di Confesercenti. Dai dati è emerso che nel 2014 sono stati più di 7000 i cuochi social attivi, con un trend in crescita nel 2015.
«Il cuoco social ha un’eta media di 41 anni. Sono più le donne a intraprendere le attività legate al social eating (56,6%) ma si rivela un discreto interesse anche da parte degli uomini (29,4%)», ha spiegato la dott.ssa Ilaria Nuccio, ricercatrice di CST Firenze che ha curato l’indagine, «In molti casi, tuttavia, gli Home Restaurant vengono gestiti da coppie o da altri soggetti del mondo dell’associazionismo. Il 53,8% dei cuochi è presente su almeno uno dei principali social e il 14,9% svolge attività extra correlate al settore del food». Il fenomeno appare sviluppato su tutto il territorio nazionale con particolare diffusione in Lombardia (22,4%), Lazio(16,9%) e Piemonte (13,5%). Milano è la città in cui risiede la maggior parte dei cuochi social pari all’8,4% del totale: è qui che si trova il Ma’ Hidden Kitchen Supper Club, uno dei più noti home restaurant in Italia. A Roma invece si concentra l’8,2% dell’offerta e la realtà di riferimento è Ceneromane.com. Infine Torino con il 5,6% è la terza città social eating in Italia, sede di Gnammo piattaforma che ha contribuito a diffondere il fenomeno in tutto il territorio nazionale. Dall’analisi è emerso il primato della Lombardia, con una quota di circa 1,9 milioni di euro di fatturato, pari a circa un quarto del fatturato totale. Introiti oltre il milione di euro si registrano anche nel Lazio (1,4 milioni) ed in Piemonte (1,1 mln). Tra le regioni del Mezzogiorno, è sempre la Puglia a conseguire i risultati migliori, con 649.000 euro di fatturato medio annuo. «Sono oltre 37mila gli eventi social eating realizzati nel 2014, ai quali hanno partecipato circa 300mila persone», ha concluso Ilaria Nuccio, «La spesa media stimata è di 23,70 euro pro-capite con un incasso per evento di circa 194 euro. Sulla base dei valori emersi dall’indagine, si stima che l’universo degli home restaurant in Italia abbia generato introiti pari a 7,2 milioni di euro».

Dal social eating all'home restaurant

«Il social eating è un settore di mercato all’interno della sharing economy che prevede la preparazione a pagamento di pasti come pranzi o cene nel proprio domicilio con persone sconosciute e incontrate tramite una piattaforma software online», spiega Gaetano Campolo, cuoco professionista e ideatore del format Franchising Home Restaurant Hotel, «Si differenzia dal nascente settore dell’home restaurant o “ristorante casalingo” perché il social eating è un’attività da parte di chi offre il pasto con carattere saltuario. La seconda invece è una vera e propria attività imprenditoriale». Ed è questo uno dei salti che il mangiare sociale ha vissuto nella sua professionalizzazione. In effetti il discrimine sta nella soglia di guadagno: il social eating non prevede remunerazione ma contributo spese, mentre diventa home restaurant quando si supera il limite di 5mila euro di guadagno annuo. «Home Restaurant Hotel è un vantaggio anche per chi, magari in difficoltà con il lavoro, può reinventarsi come albergatore o ristoratore, mettendo a disposizione la casa o la propria esperienza», spiega Campolo, «Gli Home Restaurant di Firenze, il primo l’ho aperto nel giugno 2015 mettendo a disposizione la suite di un appartamento nel cuore del capoluogo toscano, e quelli di Reggio Calabria stanno raccogliendo enorme consenso tra i gusti degli italiani e dei turisti di tutto il mondo, che vengono a visitare i nostri luoghi con il desiderio di confrontarsi soprattutto con la nostra cultura culinaria, conosciuta come la più unica e ricca al mondo». Nel 2018 il format prevede 2 milioni di incassi e da gennaio ha visto già 50 mila visitatori unici in più rispetto al 2017.

Ma è davvero uno sbocco lavorativo?

Per quanto riguarda Franchising Home Restaurant Hotel il fatturato mensile realizzabile da un affiliato può raggiungere gli 8mila euro realizzando fino a 60 coperti settimanali per un costo. In genere il costo per coperto è di 40 euro e l'incasso per evento di 194 euro. I costi? Ogni piattaforma ha regole diverse. C'è chi come Gnammo trattiene in 10% di commissione e chi invece, come Franchising Home Restaurant Hotel, fa pagare una quota di iscrizione (in questo caso di 1500 euro).

Come si può diventare chef e trasformare casa in un ristornate?

«Servono dei requisiti professionali per svolgerla», chiarisce subito Marco Giarratana, cuoco a domicilio e blogger de Il Fatto Quotidiano con lo pseudonimo di “L'uomo senza Tonno”, «il diploma alberghiero o aver lavorato per almeno 2 anni consecutivi negli ultimi 5 nella ristorazione o, infine, frequentando il corso SAB – Somministrazione alimenti e bevande con superamento dell’esame». I corsi SAB sono abilitanti all’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande ed esercizio dell’attività commerciale nel settore alimentare.

I requisiti per poter partecipare a questi corsi sono tre:

  • Diploma di scuola secondaria di primo grado;
  • Aver compiuto 18 anni di età alla data di iscrizione al corso;
  • Capacità di espressione e di comprensione orale e scritta della lingua italiana, a un livello tale da consentire la partecipazione al percorso formativo.

La burocrazia però non basta. «in base alla mia esperienza ho stabilito alcune regole per fare il cuoco a domicilio», racconta Giarratana. «La più importante è non risparmiare sulla materia prima anche per garantire la sicurezza alimentare dei clienti. Poi è capitale curare la propria comunicazione anche se è difficile e infine farsi un kit di salvataggio con cerotti, garze, disinfettante, crema per le ustioni e per i tagli. Cucinando prima o poi ci si farà male». L'aspetto fiscale, in mancanza di una legislazione dedicata, è molto semplice: è possibile svolgere attività lavorativa occasionale, senza partita Iva, fino ad un massimo lordo di 5.000 euro annui, soglia di esenzione dall’obbligo contributivo. In caso di superamento dell’importo sarà sufficiente aprire una Partita Iva. Sul reddito generato, non superiore ai 30.000 euro annui, è previsto il regime agevolato dei minimi.

Una legge per l'home restaurant

C'è stato un tentativo, con il Ddl AC-3258 (testo unificato), licenziato dalla commissione Attività produttive dopo un iter piuttosto breve e approvato alla Camera il 18 gennaio 2017, di regolare l’attività di ristorazione privata, svolta cioè nelle abitazioni utilizzate dagli stessi “ristoratori”. Cardine della norma era l’uso obbligatorio di piattaforme digitali, attraverso le quali devono passare le prenotazioni dei clienti e i loro pagamenti. Non sarebbe stato possibile secondo la legge telefonare direttamente o pagare in contanti. Nella norma erano anche previsti limitazioni a 500 coperti all’anno e per un massimo di proventi pari a 5mila euro annui. La norma è però stata censurata dal Garante per la concorrenza prima che arrivasse l'approvazione al Senato.

Di |2024-07-15T10:05:05+01:00Luglio 6th, 2018|Economia e Mercati, futuro del lavoro, MF|0 Commenti