Social eating: quando mangiare insieme rende il team più produttivo
«Uno non può pensare bene, se non ha mangiato bene», diceva Virginia Woolf e oggi il suo aforisma trova una base scientifica nello studio della Cornell University, secondo cui il cibo sarebbe un collante sociale naturale e, per questo, uno degli strumenti di team building più efficaci. «Condividere un pasto è un’attività molto più intima del fatto di guardare insieme una tabella Excel e quell’intimità si traduce nell’efficacia del lavoro di squadra», spiega Kevin Kniffin, professore di economia alla Charles H. Dyson Cornell University e autore dello studio che ha analizzato la relazione tra pasti condivisi ed efficacia del lavoro in gruppo. La ricerca è stata condotta nell’arco di 15 mesi in oltre 50 stazioni dei vigili del fuoco e ha messo a confronto le performance delle squadre abituate a condividere i pasti e di quelle in cui invece i pompieri mangiano soli, rilevando risultati notevolmente peggiori in quest’ultimo caso. Una tendenza che, secondo i ricercatori della Cornell, può essere estesa a tutte le organizzazioni, aziende comprese.
Condividere un pasto è un’attività molto più intima del fatto di guardare insieme una tabella Excel e quell’intimità si traduce nell’efficacia del lavoro di squadra.
«Dal punto dell’antropologia evolutiva, mangiare insieme ha una lunga tradizione di collante sociale, che continua ancora oggi nei luoghi di lavoro», continua Kniffin. «Dal nostro studio è risultato che la condivisione dei pasti favorisce la tendenza alla collaborazione, promuovendo proprio per questo l’armonia del team. Mangiare insieme è un modo per conoscere meglio gli altri e rafforzare le relazioni tra i membri di un gruppo».
I vigili del fuoco intervistati, infatti, hanno dichiarato che i pranzi condivisi sono un’attività centrale nella loro quotidianità lavorativa. Alcuni pompieri impegnati nel turno delle 6 di sera, addirittura hanno raccontato di mangiare una doppia cena, «una a casa, per condividere un momento insieme alla moglie e ai figli e l’altra con i colleghi», continua Kniffin. «È un esempio chiaro per spiegare quanto questi gruppi percepiscano l’importanza di mangiare insieme. È un rito paragonabile a quello della condivisione di un pasto con la propria famiglia», tanto che l’anomalia è rappresentata dalle caserme in cui i vigili del fuoco mangiano soli. «Durante lo studio, abbiamo notato che non condividere il momento del pasto è un segnale di qualcosa di più profondo che non funziona all’interno di un gruppo e che poi tende ad emergere nei risultati di tutto il team». Chi mangia solo, insomma, è meno efficiente.
Sempre più persone pranzano in azienda e ormai è assodato che il pasto è un elemento chiave di socializzazione.
Per questo, secondo Kniffin, le aziende dovrebbero iniziare a considerare le spese relative alle caffetterie, alle mense e ai bar aziendali come investimenti sulle performance dei dipendenti, cercando di offrire spazi in cui i colleghi possano condividere i pasti. «I dati dimostrano che così facendo si ottengono dei benefici anche economici, il che fa capire come i datori di lavoro dovrebbero incoraggiare i pranzi comuni, per aumentare la collaborazione tra i dipendenti e la performance aziendale».
L’antico leitmotiv del “tarallucci e vino” potrebbe quindi cambiare completamente significato, arrivando ad indicare uno strumento efficace per migliorare l’andamento aziendale. E in Italia la tendenza viene accolta a braccia aperte. Se fino a poco tempo fa, infatti, il bar di Google per i dipendenti sembrava un benefit inarrivabile, simile alla palestra aziendale e alla zona relax, oggi non sono più solo le grandi aziende a puntare sul food. A Milano sempre più co-working offrono, accanto agli uffici e alle sale in cui affittare scrivanie, anche un bar o un ristorante, alternativa conviviale alle più tradizionali sale riunioni.
Al Barra A, co-working milanese di ultimo design ricavato in un vecchio garage dismesso è una porta a vetri insonorizzata a dividere lo spazio dove startupper e liberi professionisti lavorano ai propri computer, dall’Upcycle, il caffè di ispirazione nordeuropea dai lunghi tavoli in legno, dove gli avventori, anche esterni al co-working, si fermano per un caffè o un pasto completo. Lo stesso accade ad Open, proprio nel centro della città, dove un’accogliente bar libreria comprende anche un ampio spazio destinato ad uffici e scrivanie in affitto, anche in questo caso separato dal resto dello spazio da vetri rigorosamente insonorizzati. Tra i primi ad aver lanciato l’idea di unire co-working e ristorazione, la Santeria. Qui è una rampa di scale a dividere le venti postazioni di lavoro e il bar, ristorante. «Si tratta di un servizio aggiuntivo che piace», spiega Andrea Pontiroli, fondatore della Santeria. «Offre l’opportunità di incontrare persone diverse, di stringere relazioni con gli altri co-worker e attribuisce una nuova dimensione conviviale a chi vuole fare incontri di lavoro in un ambiente più rilassato e meno formale». Uno spazio, insomma in cui la socialità viene incoraggiata. Dove invece un bar vero e proprio non c’è, è comunque la cucina il luogo dell’incontro e delle relazioni. Impact Hub Milano mette a disposizione di chi qui affitta scrivanie e uffici una vera e propria cucina dove una volta al mese gli “hubbers” si riuniscono per la Soul Salad, il pranzo comune in cui si cucina insieme, si mangia e si conoscono i nuovi membri del co-working.
Eppure il pranzo comune non è solo appannaggio di startup, società innovative e co-working. Sono sempre di più i dipendenti delle aziende tradizionali che mangiano insieme ordinando pasti consegnati direttamente in ufficio. Lo conferma l’Osservatorio di Just Eat, secondo cui nel 2017, in 15 città italiane è stato registrato un +137% delle ordinazioni per i pranzi recapitati a domicilio. A mangiare in ufficio più spesso, sono gli impiegati,il 41%, seguiti da studenti, il 33% e liberi professionisti il 18%. Il cibo più richiesto a domicilio, sushi e giapponese, spessissimo ordinato in comune tra più colleghi, mentre la categoria che più di tutti è appassionata di digital food delivery è quella dei professionisti del settore sanitario. Ad ordinare più spesso il pranzo online sono i millennial (26-35 anni), mentre le città dove questa tendenza ha preso più piede sono Milano, Bologna e Roma.
E la tendenza di chi condivide il cibo in ufficio è talmente diffusa da aver fatto nascere anche un nuovo modello di business: è quello di Foorban, il primo ristorante italiano completamente digitale a metà tra cucina e logistica. Il pranzo si ordina online o tramite un’app ed è consegnato in 20 minuti dall’ordine.
Anche il ristorante vero e proprio nasce in azienda, nel nuovo quartier generale di Amazon e qui i dipendenti della società possono servirsi dei piatti del giorno cucinati dagli chef di Foorban. «L’intuizione è chiara: sempre più persone pranzano in azienda e ormai è assodato che il pasto è un elemento chiave di socializzazione», spiega Stefano Cavaleri, CEO di Foorban. «Proprio per questo offriamo sconti e convenzioni per chi effettua ordini di più di tre persone. Inoltre abbiamo stipulato delle convenzioni con diverse aziende, per cui i piatti possono essere scelti come benefit per i dipendenti e stiamo sperimentando la formula dei pranzi settimanali per il team building». Conferma che non c’è posto migliore per formare una squadra di una tavola imbandita con piatti di pasta.