Perché le soft skills sono importanti (e quali sono quelle che le imprese cercano di più)
Alzi la mano chi nel curriculum ha mai scritto che sa imparare ad imparare. O che sa chiedere aiuto in caso di necessità. O che è capace di essere chiaro e cortese nelle conversazione. O, ancora, che non ha paura di riconoscere e affrontare un conflitto. Non preoccupatevi, se la mano resta in tasca: non lo fa nessuno. Eppure sono proprio queste (e altre) competenze a determinare il successo o meno di un colloquio di lavoro.
Vediamo di che si tratta, però, perché si fa presto a dire soft skill. Stando alle definizioni da centri studi, si tratta di un insieme di abilità e saperi non tecnici che sostengono una partecipazione efficace sul lavoro. Non sono specifiche rispetto al tipo di lavoro e sono fortemente connesse alle qualità e agli atteggiamenti personali (fiducia, disciplina, autogestione), alle abilità sociali (comunicazione, lavoro in gruppo, gestione delle emozioni) e gestionali (gestione del tempo, risoluzione di problemi, pensiero critico).
Il problema è a valle: perché la loro intangibilità rende le soft skill difficili da quantificare, riconoscere, valutare e sviluppare. Semplicemente, succede che i candidati finiscano per enfatizzare le loro competenze hard nei curriculum e nei colloqui. Finendo inevitabilmente per portare gli stessi valutatori e responsabili delle risorse umane a concentrarsi su lauree, diplomi e certificazioni linguistiche e informatiche.
Non che le aziende non ci stiano provando, sia chiaro. Accade più frequentemente di quanto si pensi che i candidati a un determinato posto di lavoro siano messi di fronte a prove inattese, per testarne le capacità di cavarsela sotto stress, o per vedere come se la cavano fuori dalla loro comfort zone. O chiedere loro di raggiungere un obiettivo o di reperire alcune informazioni in un lasso di tempo pre-determinato. Oppure, farle interagire con altri candidati per valutarne le abilità di collaborare e di competere in un contesto di lavoro collettivo.
Ma al netto dei colloqui e dei curriculum le aziende cosa cercano? Una ricerca promossa dall’Unione Europea nell’ambito del programma di valorizzazione dei migranti ad alto potenziale, nella quale sono state intervistate 77 organizzazioni attive in tutto il Vecchio Continente, è emerso come la gestione efficace del tempo, quella di lavorare in gruppo e la capacità di risolvere i problemi sono le tre soft skill che le imprese ritengono strategiche per i loro candidati – tipo.
Quelle che mancano loro e di cui maggiormente percepiscono l’assenza sono invece la creatività e l’innovazione, la capacità di lavorare in gruppo e l’abilità nel gestire la responsabilità e i conflitti, unitamente alla presenza di un pensiero critico e strutturato che le accompagni. Tra le aree in cui le soft skill sono necessarie, spicca ovviamente il management, seguito dal servizio clienti, dalle risorse umane e dalla comunicazione. Sorprendentemente, pare servano poco nell’attività di ricerca e sviluppo, dove evidentemente è più utile avere hard skill strutturate e capacità analitica, anziché essere foolish e hungry come Steve Jobs augurava di rimanere ai laureati di Stanford, nel suo famoso keynote speech del 12 giugno 2005. Forse il più importante elogio delle soft skill che sia mai stato pronunciato.