La svolta green dei tour musicali
Billie Eilish – che ha espresso più volte la sua preoccupazione per il cambiamento climatico – ha organizzato il suo tour 2022 “Happier Than Ever” insieme alla associazione non profit ambientalista Reverb, con l’obiettivo di ridurre (se non addirittura annullare) le emissioni prodotte dall’organizzazione dei concerti. I Coldplay, che avevano deciso di non fare più live proprio per proteggere l’ambiente, ritornano con “Music of the Spheres”, che viene annunciato come il tour più ecofriendly di sempre.
E anche in Italia, la cantante Elisa firma la direzione artistica del festival “Heroes”, a Verona, quest’anno dedicato all’ambiente. Da qui partirà il suo tour “Back To The Future”: anche questo tutto green. Farà tappa in location di particolare valore paesaggistico e con metodi a basso impatto ambientale.
La svolta green della musica trova il proprio riflesso anche nei testi delle canzoni. D’altronde, si pensi ad artisti già “impegnati” come gli Après la Class e Manu Chao, che con il nuovo brano “Soñe otro mundo” denunciano i soprusi dell’uomo sulla natura.
Come spiega Claudio Trotta, produttore artistico e fondatore di Barley Arts e Slow Music, con alle spalle una storia gloriosa di concerti e collaborazioni, «la vocazione genericamente green degli artisti non è una novità, né quella di compensare l’inquinamento provocato dai tour piantando alberi».
Negli ultimi dieci anni si è privilegiata la forma e non il contenuto e il risultato sono spettacoli faraonici, con allestimenti sempre più complessi, cioè con una vocazione che è tutto fuorché green.
Un esempio è Radio Lifegate, che ha lanciato questa idea anni fa. Il tema però è più ampio. «Si sa da tempo che le risorse naturali della Terra sono in esaurimento, e la colpa è dell’uomo» commenta Trotta. Tuttavia, «negli ultimi dieci anni si è privilegiata la forma e non il contenuto» e il risultato sono «spettacoli faraonici, con allestimenti sempre più complessi, cioè con una vocazione che è tutto fuorché green».
Uno dei problemi è che le attrezzature, «a causa dell’utilizzo di palchi sempre più grandi e complessi, per l’esubero nell’utilizzo dei video, per l’uso muscolare e non narrativo delle luci e per gli impianti audio spesso eccessivi», devono essere trasportati di tappa in tappa, di regione in regione. Con il risultato di provocare emissioni e sprechi.
E piantare nuovi alberi non basta. Serve trovare modelli alternativi. Forse, dice Claudio Trotta, «si dovrebbe adottare un approccio diverso. In ogni Paese europeo ci sono aziende territoriali che montano e allestiscono palchi e noleggiano impianti audio e luci di notevole qualità e professionalità. Ci si potrebbe rivolgere, ogni volta, a loro. Questo vorrebbe dire ridimensionare i trasporti, ridare importanza ai territori e, dal punto di vista occupazionale, allargare il bacino delle persone che lavorano a un tour». È una logica diversa, «a mio avviso più virtuosa, sia per l’ambiente che per i lavoratori».
Bisogna ridimensionare i trasporti, ridare importanza ai territori e, dal punto di vista occupazionale, allargare il bacino delle persone che lavorano a un tour.
Con il progetto A.R.M.O.N.I.A, Trotta ha inaugurato un nuovo sistema di progetti per concerti, incontri e conferenze più rispettoso della natura. Un esempio su tutti: si utilizzano luci autoalimentate. «È ovvio che non possono essere tutti così», dice il manager. «Ma è importante prendere coscienza di questo fatto: i grandi concerti hanno spazi già pronti, stadi e palazzetti, che possono essere usati senza problemi. Andare nella natura significa metterla in alcuni casi in disordine. Non sarebbe forse meglio che tutti noi cercassimo di evitare o limitare le nostre opzioni rispetto alle location? Molto importante è anche la disponibilità del pubblico a utilizzare sempre meno mezzi di trasporto inquinanti e invasivi».
È ovvio che il cambiamento culturale in atto è lodevole: le campagne di sensibilizzazione contro gli sprechi, l’eccesso di plastica, le emissioni sono tutti elementi positivi. Ma deve essere chiaro che non si tratta di un punto di arrivo, bensì di un passaggio verso un modello ancora più sostenibile.