Nel post pandemia il turismo diventerà trasformativo
Secondo i dati del World Travel and Tourism Council, il settore turistico globale, che ha contribuito a creare un posto di lavoro su quattro tra il 2014 e il 2019, ha visto diminuire il suo apporto al PIL mondiale del 49,1% nel 2020. Come invertire la tendenza? La riunione ministeriale dello scorso maggio in ambito G20 presieduta dal nostro ministro del Turismo Massimo Garavaglia in collaborazione con l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) ha focalizzato sette aree di intervento: Mobilità Sicura, Gestione delle Crisi, Resilienza, Inclusione, Trasformazione Verde, Transizione Digitale, Investimenti e Infrastrutture.
Insomma al di là del green pass sanitario, questo comparto che solo in Italia in tempi normali vale il 6% del PIL (13% considerando l’indotto) è chiamato a un vero e proprio cambio di paradigma. Ma forse non basta. Perché come spiega Greg Richards, professore alle università di Breda e di Tilburg e guru mondiale del turismo creativo e trasformativo, non è sufficiente aggiornare i modelli di business, occorre prendere atto che è la figura del turista in sé che oggi non è più “quella di prima”.
Spiega Richards: “Il problema con la maggior parte delle esperienze turistiche è che tendevano a essere piuttosto passive, superficiali e individualizzate. Passeggiavamo per i centri delle città scattando foto o ci mettevamo in spiaggia per prendere il sole. Tutto qui. I turisti, per lo meno la gran parte di loro, semplicemente tendevano a essere molto prevedibili”. Risultato? “Tutti andavano quasi sempre nei posti classici e creavano affollamenti in determinate, ma assolutamente pronosticabili, ore del giorno”.
Il problema con la maggior parte delle esperienze turistiche è che tendevano a essere piuttosto passive, superficiali e individualizzate.
Oggi però, ragiona Richards, una tale dinamica non è più possibile. Per questo quella del turismo non è una industria da recuperare o da rendere maggiormente resiliente, al contrario è un settore che deve costruire nuove fondamenta. “L’industria main stream si sta fondamentalmente chiedendo: quando il turismo tornerà ai livelli pre-Covid?”. Ma è una domanda sbagliata. La domanda da porsi è invece: “Se la pandemia è stata una esperienza trasformativa”, ragiona Richards, “non possiamo pensare che non lo sia stata anche per l’oggetto della nostra osservazione, ovvero il turista”.
Come è dunque cambiato lo sguardo del turista? Per dirla in soldoni: non si viaggia più per vedere posti o conoscere gente, ma per vivere esperienze trasformative. In altri termini il turista “pretende” di essere “cambiato” dal viaggio. “Questa è la sfida che dobbiamo affrontare ora”, dice Richards.
Non si viaggia più per vedere posti o conoscere gente, ma per vivere esperienze trasformative.
Come organizziamo le trasformazioni attraverso il turismo, allora? Ecco il nodo centrale da sciogliere: “Abbiamo bisogno di passare da modelli passivi di guardare e consumare, a un coinvolgimento attivo e a una partecipazione creativa nella vita quotidiana nelle comunità che ospitano il turista”. Come farlo?
Punto uno: “I turisti vanno “portati” nei luoghi di destinazione prima del loro arrivo. Solo così possono capire come la cultura e il modus vivendi della gente del posto si possano connettere alle loro vite.
Punto due: “all’arrivo i turisti vanno “iniziati” al genius loci: devono venir immersi nello stile di vita degli abitanti, devono avvicinarsi alla loro scala di valori per toccare con mano i punti di convergenza e di distanza. Questo coinvolgimento può essere ampliato attraverso diverse esperienze creative e relazionali: non solo mangiare il cibo, ma imparare a farlo e vedere come viene prodotto, presentato e consumato”. Poi si torna a casa. Ma l’esperienza turistica non è esaurita.
Punto tre: “le relazioni che si sono costruite in quei pochi giorni di vacanza vanno alimentate, il nuovo turista si chiederà: come stanno gli amici che ho conosciuto sul posto? Come sarà quel luogo in autunno o a Natale? L’anno prossimo posso approfondire tal o talaltra esperienza? Tutti interrogativi a cui occorre dare risposta”.
Secondo Richards un caso esemplificativo di come le risorse dei luoghi possano generare esperienze creative è fornito dal progetto Face to Face: Meet an Ancient Cypriot project a Cipro. Qui, gli archeologi stanno sviluppando “osteobiografie” da ossa trovate in siti antichi e, trasformandole in storie di vita, coinvolgono il visitatore con le vicende della comunità locale. I manufatti archeologici diventano la base per esperienze di turismo creativo, come bere vino e mangiare cibo così come erano preparati nell’antichità o imparare a fare le ceramiche su cui vengono serviti i piatti. “Queste esperienze non solo coinvolgono i visitatori, ma offrono la possibilità di trasformazioni nei loro rapporti con la gente locale, la cultura locale e i paesaggi locali e soprattutto trasformano il turista che torna a casa diverso da come era partito, ma pronto a sperimentare nuove esperienze di viaggio e di vita”, chiosa Richards.