Tutti sulla stessa barca
I protagonisti di questa avventura sono bambini e adulti con disabilità, disagio psichico o sociale. E il mare, che Fondazione Tender, dal 2007, permette loro di solcare. Non “semplicemente” invitandoli a bordo del brigantino a vela battente bandiera della Marina Militare che si chiama Nave Italia, ma rendendoli marinai, protagonisti della loro stessa navigazione. «Per alcuni giorni la loro vita sarà stravolta. Sarà vita di mare: un’esperienza forte emotivamente da potere cambiare la loro vita anche una volta tornati a terra», spiega Angela Maria Campo, psicologa della Fondazione.
Dal 2007 a oggi la nave ha imbarcato circa 7.000 persone tra passeggeri delle associazioni coinvolte, operatori e volontari. E per molti è la prima volta in barca, qualcuno ha anche timore dell’acqua o pudore di mettersi in costume perché si vedono cicatrici di una malattia che ha cambiato il suo corpo. Ma tutti sono accomunati dalla voglia di mettersi in gioco, di tornare al timone della propria vita, di superare i propri limiti scoprendo inaspettate capacità. E quello che si vive tra le onde, per cinque giorni, tra i mari italiani è una sorta di “terapia dell’avventura” che serve più come giro di boa nella vita di chi, per una malattia o una forma di disabilità, sta attraversando o ha attraversato un momento complicato della propria vita. E il metodo Nave Italia ha dimostrato in questi anni di funzionare, proprio perché flessibile, di influire positivamente sul benessere di chi vive un disagio o una disabilità.
Il brigantino è un’imbarcazione di 61 metri, su cui sono presenti un equipaggio della Marina Militare e uno staff scientifico della Fondazione, e quest’anno è salpato a metà aprile dal porto di La Spezia per toccare, nell’arco di circa sei mesi, i porti italiani di Genova, Savona, Livorno, Civitavecchia, Olbia e Cagliari. A bordo, con cadenza quasi settimanale, salgono quest’anno 23 associazioni ed enti non profit provenienti da tutta Italia e un ente del Terzo settore che arriva perfino dal Sudafrica per sperimentare come la vita di mare possa essere terapeutica. Un metodo che quest’anno ha ricevuto anche la Medaglia del Presidente della Repubblica per “la campagna solidale 2023”.
Nave Italia sta seguendo la sua “rotta solidale” dal 2007: da allora ad oggi ha percorso oltre 40mila miglia, promuovendo «la cultura del mare e della navigazione come strumenti di educazione, formazione, inclusione sociale e supporto alla terapia riabilitativa», ricorda l’ammiraglio Giorgio Lazio, che è anche Presidente di Fondazione Tender to Nave Italia. Dopo il difficile periodo pandemico, che comunque ha visto la nave operare senza interruzioni anche se in forma ridotta, già nel 2022 si è tornati «a navigare a vele spiegate con un ricco calendario che, anche per questo 2023, – prosegue l’ammiraglio – vedrà a bordo oltre venti ambiziosi progetti che auspichiamo favoriscano ulteriormente il consolidamento del metodo Nave Italia, nel quale crediamo fortemente, per la creazione di una società più inclusiva e priva di barriere».
I risultati positivi del metodo Nave Italia sono «scientificamente provati da un “controllo qualità” che viene effettuato insieme a tre atenei – spiega Paolo Cornaglia Ferraris, Direttore Scientifico della Fondazione. In particolare l’analisi degli effetti benefici sui naviganti adolescenti viene realizzato insieme all’Università Cattolica di Milano, mentre l’intervento sull’autostima per modificare il comportamento con l’Università di Perugia, e i benefici sugli anziani con deficit cognitivo insieme all’università di Bergamo». Solo nel 2022, hanno beneficiato del metodo Nave Italia 239 persone tra bambini, adolescenti, adulti, anziani e 91 operatori.
Si sale a bordo, spesso, con il pregiudizio di non farcela, con i genitori o i caregiver che lasciano il proprio cellulare, convinti di dover andare a riprendere il proprio caro al primo porto di sbarco. «Nessuno avrebbe mai pensato, nemmeno lei stessa, che una ottantaquattrenne che cammina con il bastone – racconta ancora il Direttore Scientifico – sarebbe stata in grado di salire su un albero della nave, fare una vita attiva e sentirsi più integrata. Oppure che i bambini, imbarcati sul brigantino con un progetto di recupero funzionale portato avanti dal Bambino Gesù, ottenessero un miglioramento dell’equilibrio».
L’originalità, infatti, sta anche nell’equipaggio della Marina Militare che «insegna la disciplina del mare, che è efficace perché ha le stesse regole della vita e valgono per tutti. Il mare in questo è inclusivo e dà ad ognuno un ruolo preciso. Questo rende le persone più autonome, rinforza la loro autostima e la loro capacità di fare».
Quest’anno, dopo una selezione dei progetti di 50 associazioni, sono stati individuati appunto i 23 equipaggi, che si alterneranno fino a novembre. Tra loro i ragazzi dai 15 e 23 anni, provenienti da comunità emarginate che vivono negli slum (le zone urbane malsane, prive di servizi igienici e sociali) delle grandi città del Sudafrica e che si avvicineranno al mondo della vela con il progetto Academy to Italy, promosso dal “Roval Cape Yacht Club Sailing Academy” di Città del Capo.
Oppure pazienti dai 12 ai 18 anni, affetti da patologie oncoematologiche, seguiti al Policlinico Gemelli di Roma insieme al centro di Proton Terapia di Trento che fanno parte del progetto “È tempo di salpare”, promosso da Agop – Associazione genitori oncologia pediatrica.
Nella prima settimana di agosto, sarà la volta dei pazienti seguiti dal Dipartimento di Oncoematologia dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “I pirati del Gianicolo”, questo il nome del progetto, è parte integrante del percorso di cura e ha come obiettivo principale quello di far sperimentare a giovani tra i 12 e i 19 anni nuove abilità e comportamenti all’intero di una cornice avventurosa come quella del brigantino. Ad ottobre, poi, la stagione 2023 si concluderà con le persone, tra 16 e 40 anni, con disturbo dello spettro autistico che partecipano al progetto “Autonomi”, proposto dalla fondazione “II domani dell’autismo” di La Spezia, con l’obiettivo di accompagnarli in un percorso finalizzato all’indipendenza per garantire loro un futuro adeguato fuori da un istituto, quando i genitori non ci saranno più.
Questa esperienza viene pensata come «momento di cambiamento perché ci si è resi conto come la terapia ricreativa potesse essere legata anche ad un momento di vacanza – spiega Giuliana Baldassarre, docente di Management del Terzo settore in Bocconi a Milano e project manager a bordo di Nave Italia per il secondo anno -. Questo è vero in ogni malattia o disabilità, ma ancor più per le patologie oncologiche, dove si è talmente tanto incentrati sulla cura e sulle terapie, spesso molto invasive, e sull’obiettivo della guarigione, che ci si dimentica che intorno c’è la vita».
Anche l’esperienza del “diario di bordo”, in cui i partecipanti riflettono sulle esperienze fatte durante la giornata da marinaio è, in sostanza, un modo per far mollare loro gli ormeggi e riprendere la navigazione della ‘vita sospesa dalla patologia. Oltre alla terapia dell’avventura, infatti, spiega Baldassarre che è anche referente del progetto “Giro di boa, Viaggio nell’immaginario”, presentato dall’associazione “Gemme Dormienti” – e dedicato alle pazienti che, a causa di terapie aggressive, hanno perso la possibilità di avere figli – i giorni sul brigantino saranno teatro anche di una nuova modalità di lavoro, utilizzando gli strumenti di coaching PoY (allenarsi a dire il proprio punto di vista, a volerne fare una estrema sintesi di questa metodologia) e tecniche del gioco di ruolo.
«Ciò che si capisce a bordo – spiega alla fine – è che sulla nave si ritrova il sorriso, perché le donne comprendono che hanno le stesse potenzialità di prima della malattia, che il tumore non le ha private di tante opportunità e soprattutto della loro normalità». Ecco l’aspetto più sorprendente anche per gli stessi organizzatori perché, dice alla fine Baldassarre, «l’esperienza di Nave Italia ha superato le aspettative, anche in un tempo così concentrato in pochi giorni i protagonisti vivono stimoli diversi e si portano a casa ciò che hanno imparato, sorprendendosi anche a volte di sé». Come accaduto agli 11 ragazzi – che ogni giorno si misurano con le fragilità della sindrome di Asperger, forma di autismo che non pregiudica la mente e la parola -, i quali si sono messi al lavoro tra le vele, in cucina, nella pulizia dei ponti, nella sala macchine e in quella dove si servono i pasti: «Non vogliamo più – dice Anna Ballarino, volontaria di Fondazione un futuro per l’asperger – che i nostri ragazzi restino isole ai margini dell’umanità e quest’esperienza in mare per loro è stata l’esperienza per creare pontili verso gli altri».
«Salire a bordo, affrontando il mare è diventato metafora di una vita instabile, come le onde del mare», spiega Paolo Cornaglia Ferraris, direttore scientifico della Fondazione Tender to Nave Italia. «Ma poi ciascuno scopre che prossimità, disciplina e condivisione sono strumenti di guarigione. Chi era convinto di non riuscire, scopre risorse nuove, sorprende se stesso e gli altri e conquista nuove energie. L’amore per il mare e la natura diventano conquista di una vita diversa. Ognuno dimentica i propri limiti, arricchendo l’altro di originalità. «Al rientro -, conclude Cornaglia Ferraris – le emozioni diventano ricordi indelebili di un cambiamento improbabile, eppure raggiunto, che trasforma ciascuno in marinaio speciale. Chi li abbraccia al rientro dice: “non credevo ci sarebbe riuscito”. E sarà obbligato a ripensare al proprio modo di vedere fragilità e percorsi assistenziali. Il “metodo Nave Italia” fa bene alle persone con fragilità, ma anche ai loro curanti».