Il vero valore dell’innovazione (e degli investimenti pubblici che servono per attuarla) secondo Mariana Mazzucato
Chi crea valore nel mondo di oggi? Chi lo sottrae? È possibile che non facendo questa distinzione in maniera accurata, si finisca per distruggerlo? Sono queste le domande di fondo su cui Mariana Mazzucato, economista italo-americana, studiosa da anni dell’economia dell’innovazione e dell’industria dell’high-tech e docente alla UCL di Londra, riflette quotidianamente.
«Si tratta di un dibattito che domina l’economia da sempre, perché determina il significato della produttività, e cosa è lavoro produttivo e improduttivo». Lo studio di Mazzucato è riassumibile in due libri, Lo Stato innovatore e Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale, in cui questi concetti vengono analizzati nel dettaglio. Da sempre, dice l’economista, i pensatori economici hanno attribuito valore a cose diverse nel tempo: prima l’agricoltura, poi il commercio, poi il lavoro. Ma è solo nell’ultimo secolo che ci si è spostati sul lato soggettivo della questione, attribuendo il valore alle preferenze personali. È così, spiega Mazzucato, che la distinzione tra la produzione e l’estrazione di valore si è sfocata sempre più, causando una sostanziale incapacità di stabilire il confine fra l’una e l’altra. Ed è così che determinati attori hanno potuto affacciarsi sulla società (e sui mercati) come “creatori di valore”, e cioè di ricchezza, soprattutto nel settore dell’innovazione – non solo tecnologica, ma anche medica e farmaceutica, ad esempio. Il problema? Questo processo ha confuso le idee a molti, a partire dai decisori politici, i quali da tempo si considerano meri “redistributori” di questo valore, quando in realtà ne sono co-creatori.
«La storia ci dice che l’innovazione è il risultato di un grande sforzo collettivo, non di un piccolo gruppo di uomini bianchi in California», dice Mazzucato (il riferimento agli imprenditori della Silicon Valley non è casuale). Lo Stato, infatti, è protagonista di qualsiasi processo di innovazione, malgrado sia ancora considerato (e, per molti versi, si reputi esso stesso) come un apparato di grigi burocrati, sommersi di carte e lontani da tutto ciò che è smart, flessibile, innovativo – le parole che caratterizzano l’innovazione oggi. «Non saremmo però mai arrivati sulla Luna se il governo americano non avesse stanziato per l’operazione Apollo 26 miliardi di dollari, il 4% del proprio Pil dell’epoca», dice Mazzucato. Senza una volontà e l’ambizione politica del Paese di lavorare in quella direzione, insomma, non avremmo mai raggiunto determinati traguardi. «È servita una visione, un’ambizione, e la volontà di assumersi dei rischi», spiega Mazzucato.
Se vogliamo davvero ridirigere la crescita in chiave di sostenibilità e inclusione, e fare investimenti in quella direzione, dobbiamo ripensare a ciò che stiamo facendo a tutti i livelli: istituzionale, personale, aziendale.
L’idea del rischio, però, oggi non è contemplata quando si tratta di investimenti pubblici, ancora interamente basati sull’analisi costi-benefici (cioè quanti soldi servono per sviluppare un progetto, e quanti soldi quel progetto porterà una volta compiuto). Lo Stato è ancora fermo allo step precedente. «Gli stessi progressisti commettono questo errore, si fermano alla concezione di redistribuzione del valore e non riflettono sulla sua creazione», spiega Mazzucato. E gli imprenditori? Ne hanno approfittato: malgrado l’enorme quantità di denaro pubblico stanziato su invenzioni come l’iPhone di Steve Jobs o Internet, «i loro creatori si sono spacciati per grandi inventori, ma la realtà è che non sarebbero andati lontano senza i fondi che hanno ricevuto». Non solo un’idea geniale, ma la volontà di esportarla ed istituzionalizzarla a tutti i livelli della società è ciò che, alla fine, ha fatto la differenza. Anche perché «le idee non si commercializzano da sole», dice Mazzucato.
Eppure, ad oggi la nostra classe politica non ha ancora gli strumenti per affrontare queste sfide nel modo giusto, per ridirigere la crescita. «Che è esattamente il motivo per cui non abbiamo davvero superato la crisi economica: il quadro degli strumenti è talmente ristretto e deprimente nei termini e nelle funzioni – ancora si parla di “risolvere le crisi del sistema” – che è evidente quanto difficile sia adattarsi ai nuovi concetti di crescita sostenibile, smart, inclusività». Invece, «se vogliamo davvero ridirigere la crescita in chiave di sostenibilità e inclusione, e fare investimenti in quella direzione, dobbiamo ripensare a ciò che stiamo facendo a tutti i livelli, istituzionale, personale, aziendale», dice Mazzucato. «Oggi è il momento giusto, perché c’è la volontà di farlo. Prima non avevamo i global SDGs (Sustainable Development Goals), ora invece abbiamo l’occasione di ripensare i termini con cui guardiamo agli investimenti, alle strategie industriali, alle politiche di innovazione ed anche alla tecnologia».
Ci serve una narrativa che non sia incentrata solo sulla spesa, ma su investimenti più strategici
Mazzucato, che è stata consulente di Alexandria Ocasio-Cortez nell’elaborazione del Green New Deal americano, oltre che componente del Comitato per le politiche dello sviluppo dell’Onu, ha anche già sviluppato la ricetta per muoversi in questa direzione. Un esempio su tutti, alla Commissione europea ha dato un contributo fondamentale per la delineazione di un nuovo strumento giuridico per indirizzare la ricerca in cinque missioni sul cancro, il clima, gli oceani, il suolo e le città a impatto zero (il progetto prende il nome di Horizon Europe). «Ci serve una narrativa che non sia incentrata solo sulla spesa, ma su investimenti più strategici», dice Mazzucato. Attraverso la creazione di missioni, che sono diverse rispetto alle sfide – la Guerra fredda era una sfida, atterrare sulla Luna è una missione – si possono canalizzare gli investimenti su obiettivi specifici, ottenendo risultati concreti. Questi, secondo l’economista, dovrebbero seguire cinque criteri di base: dovrebbero essere audaci e ispirare i cittadini; essere ambiziosi e inclini al rischio; avere un obiettivo e una scadenza precisi; essere interdisciplinari e intersettoriali; e consentire la sperimentazione.
Solo così, dice Mazzucato, si potrà dare vita a delle politiche in grado di creare maggiore equità e di risolvere le sfide che ci si pongono oggi. A partire dal cambiamento climatico, una partita in cui gli Stati sono giocatori fondamentali, non solo attraverso le politiche, ma attraverso i propri investimenti. Se c’è la volontà politica di agire in quella direzione, i danni prodotti dal climate change si potrebbero arrestare nel giro di un decennio, conclude l’esperta. Sappiamo che occorre una riforma strutturale dal punto di vista economico, ma ancora più essenziale è partire da una riforma culturale: Mazzucato sta cercando di cambiare i termini di questo discorso: del resto, se siamo riusciti ad andare sulla Luna, perché non dovremmo poter arrestare la crisi climatica nel giro di qualche anno?