Dalle classifiche del World Economic Forum, le ricette per migliorare il nostro mercato del lavoro
Vent’anni, quattro riforme, migliaia di ore di sciopero e siamo ancora qua a sentirci dire che il nostro mercato del lavoro è tra i più rigidi e i meno efficienti al mondo? Questo è il quadro italiano, secondo il Global Competitiveness Report del World Economic Forum, che ogni anno mette in fila le economie in funzione della loro capacità di stare sui mercati mondiali, in funzione dell’efficienza delle loro istituzioni, delle loro infrastrutture, del loro ambiente macroeconomico, del loro ecosistema finanziario di formazione e tecnologia. E, per l’appunto, di un mercato del lavoro efficiente e flessibile, in grado di adattarsi a questa fase di perenne cambiamento.
Risultato complessivo: siamo 43esimi su 137, avanti di un posto rispetto allo scorso anno, sei avanti rispetto al 2015, una indietro rispetto al Portogallo, l’ultimo Paese dell’Europa Occidentale ad averci superato. Buone notizie pochine a dire il vero: abbiamo un sistema d’imprese sofisticato e con un livello di specializzazione altissimo, abbiamo distretti sviluppati (ottavi al mondo) e catene del valore lunghe e solide (undicesimi). Peccato per la burocrazia – tra le cinque peggiori al mondo, Africa compresa -, per un sistema finanziario che complessivamente si posiziona al 126esimo posto su 137, per un sistema fiscale che è il 126esimo più salato al mondo.
Non è tutto: secondo il World Economic Forum, siamo (ancora) uno dei mercati del lavoro più inefficienti che ci sono. 116esimo su 137, per la precisione, in crescita dagli ultimi tre anni, grazie soprattutto agli incentivi monetari e alla decontribuzione, che hanno concorso ad aumentare il bacino delle assunzioni.
La ricetta è chiara: servono incentivi all’ingresso, una maggior elasticità dei salari alla produttività e ai prezzi. Servono politiche di incentivi mirate a correggere alcune delle tante esternalità che il nostro mercato produce.
Dove si piange, però, è nella flessibilità della determinazione della paga, in cui siamo 131esimi, a sei posizioni dalla coda: evidentemente, le riforme al margine, a differenza di quelle che colpiscono tutti i lavoratori, tendono a essere molto meno efficaci. E pure nel legame tra paga e produttività, dove paghiamo uno stallo che ha pochi eguali al mondo nella capacità di creare più valore dal lavoro che svolgiamo, soprattutto se si pensa a quali e quante rivoluzioni tecnologiche siano intervenute nel giro dello scorso anno. Ancora: non siamo capaci di tenerci il talento e di attrarlo. E, purtroppo, siamo pure 89esimi – quarantasei posizioni sotto la media – per il tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro.
La ricetta è chiara: servono incentivi all’ingresso, serve una maggior elasticità dei salari alla produttività e ai prezzi. Servono politiche di incentivi mirate a correggere alcune delle tante esternalità che il nostro mercato produce. Servono servizi per la gestione dei tempi della famiglia e del lavoro, affinché le donne possano vivere la carriera professionale diversamente da un sacrificio. E serve tanta, tanta formazione per aumentare la produttività del lavoro. Che magari non siamo così brutti come ci dipinge il World Economc Forum. Ma di sicuro possiamo essere molto più belli di così.