Workers Buyout, una possibile risposta alla crisi


È il 1923 quando, nel centro di Messina, la famiglia Presti-Faranda apre un birrificio destinato ad acquisire crescente notorietà grazie alla produzione di una delle birre più famose d’Italia: Birra Messina. Un successo consolidato soprattutto al Sud, che però incontra una forte concorrenza negli anni Ottanta: il marchio viene venduto a Dreher, e la produzione spostata in Puglia. La famiglia ricompra la fabbrica nel 2007, ma senza successo: chiude nel 2011. Nel 2013, quindici dei 41 operai dello stabilimento investono il proprio Tfr per risollevare l’azienda, creando la Cooperativa Birrificio Messina. Nel 2019 Heineken (proprietaria di Dreher) firma una partnership per riportare la birra in Sicilia: è l’accordo per la produzione della speciale Birra Messina Cristalli di Sale.

Quello della Birra Messina è uno dei più noti casi di Workers Buyout (WBO) nel nostro Paese: ex dipendenti di imprese in difficoltà che decidono di riacquistarle scommettendo su sé stessi, e sulle proprie competenze, per il futuro. Un fenomeno il cui andamento va di pari passo con i periodi di crisi.

Negli ultimi tre anni, a causa della pandemia, ha infatti visto un’importante accelerazione: in questo periodo la partecipata dal Ministero per lo Sviluppo economico CFI (Cooperazione Finanza Impresa), che gestisce le risorse destinate alle cooperative, è intervenuta in WBO per un totale di 16,2 milioni di euro, contro i 12,2 del triennio 2016-2018. 

CFI si occupa di cooperative dall’approvazione della legge Marcora nel 1985, definita dalla società come un «efficace strumento di politica attiva del lavoro, utilizzato per rigenerare un’impresa in crisi economica oppure nei casi in cui bisogna favorire un ricambio generazionale all’azienda senza eredi interessati a dare continuità all’attività imprenditoriale». 

Nel 2019, i Workers Buyout erano stati sei, per 62 addetti totali. Nel 2021 il fenomeno ha riguardato 11 aziende e, complessivamente, 272 lavoratori. Numeri che indicano una crescente consapevolezza, ma che necessitano di una regia sistematizzata, soprattutto nel momento attuale di crisi energetica. Anche perché, come rileva Legacoop, le aziende cosiddette “rigenerate” hanno un tasso di sopravvivenza medio superiore rispetto a quello delle imprese tradizionali: 15,2 anni contro dodici.

Cambi generazionali

In Lombardia, Legacoop e altre associazioni di rappresentanza del mondo cooperativo (Confcooperative e Agci) hanno siglato nel 2021 un accordo con i sindacati per promuovere lo sviluppo dei WBO e la cooperazione come risposta ai bisogni del lavoro. Ciò non riguarda solo le aziende in crisi, ma anche i contesti in cui a mettere a rischio la continuità aziendale è la difficoltà di un cambio generazionale. 

Proprio questo è il caso recente di Nova Engines, impresa specializzata in micromotori a due tempi per modellini di auto con sede a Torbole Casaglia, in provincia di Brescia. L’azienda Nova Rossi Srl, progenitrice dell’attuale, si è ritrovata a dover cessare l’attività dopo la morte del fondatore. La famiglia non poteva assumerne la gestione, e non ha voluto nemmeno accettarne la cessione ai dipendenti, chiesta da subito.

I lavoratori, inizialmente molto scoraggiati, dopo mesi di incontri tra loro hanno deciso di riavviare l’esperienza, costituendo a fine 2021 una cooperativa nuova che acquisisse i macchinari e le attrezzature della vecchia. «È un’operazione più complessa di un normale WBO», spiega Franco Savoldi, attuale presidente del CDA di Nova Engines. «Ci si è trovati a dover ripartire da zero, ed è stato chiesto a me di accompagnare la costituzione di questa startup in qualità di amministratore. Il nostro è un settore particolare, parliamo di meccanica di precisione per modellini da competizione».

Il sistema internazionale di gare di automobiline radiocomandate muove un mercato enorme e Nova Engines è un’eccellenza che ha saputo ricostruire l’eredità e la storia della vecchia azienda. «Questo ci sta anche un po’ favorendo, perché molti consumatori e distributori ci cercano in quanto i motori Nova Rossi erano leader a livello internazionale», continua Savoldi. «Grazie a CFI, alla Naspi e al capitale di Tfr dei dipendenti, al credito bancario da parte della Banca Popolare di Sondrio e di Banca Etica e all’aiuto di un’altra cooperativa bresciana, abbiamo potuto effettuare i primi investimenti e riavviare l’attività. Visto che si tratta di gare internazionali, siamo riusciti anche a coinvolgere come testimonial alcuni dei migliori piloti del campionato, in modo da facilitare la conoscenza e l’acquisto da parte degli appassionati».

Il 90 per cento degli ordini di Nova Engines arriva dall’estero: Cina, Stati Uniti, Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Australia, Giappone. L’azienda, dopo mesi di sviluppo, ha iniziato a vendere i primi motori a settembre. «Adesso», conclude Savoldi non senza una punta di orgoglio, «stiamo lanciando ufficialmente su tutto il mercato la nuova gamma».

Il WBO alla prova della crisi energetica

A volte si parla addirittura di Community Buyout, in quanto le rigenerazioni aziendali non vedono solo la partecipazione dei lavoratori, bensì dell’intera comunità in cui l’impresa è inserita. È il caso del centro commerciale Olimpo di Palermo, riaperto nel 2014 come cooperativa “Progetto Olimpo” dopo il fallimento e il sequestro; o quello della Cartiera Pirinoli di Roccavione (Cuneo), che però a inizio settembre ha fermato la produzione a causa del costo del gas avviando la cassa integrazione, per la prima volta dalla riapertura nel 2015.

Il caso della Cartiera Pirinoli è emblematico per descrivere il contesto che oggi le aziende WBO, per la maggior parte inserite nel settore industriale e in segmenti energivori, si trovano a dover affrontare. L’attuale crisi energetica potrebbe mettere a dura prova le imprese di questo tipo già esistenti, e quelle in procinto di diventarlo, a causa dell’assenza di garanzie sui costi dell’energia per il futuro.

Secondo Francesco Gaeta, che ne scrive su Secondo Welfare, anche le storie più famose di WBO costituiscono «episodi senza una trama». È mancata «una logica di sistema, un metodo per tracciare una via italiana» ai Workers Buyout.

In un momento storico in cui le crisi aziendali probabilmente aumenteranno, Gaeta identifica tre parole chiave per il futuro: regia, negoziato, comunità. «Una regia nazionale significa sistematizzare gli interventi», scrive, «cioè potenziare il ventaglio di strumenti necessari al salvataggio: microcredito, fondi di garanzia, prestiti subordinati, prestiti di partecipazione». 

Per quanto riguarda il secondo punto, il negoziato deve essere orientato a «coinvolgere nei territori l’amministrazione pubblica nelle sue diverse articolazioni, ma anche associazioni di rappresentanza, enti della cooperazione, fondazioni di comunità. È importante che questa rete coinvolga non solo la vecchia proprietà e i lavoratori ma anche i sindacati, non sempre e non tutti storicamente favorevoli a questo genere di soluzioni». 

Infine, ecco i Community Buyout, che da casi isolati dovrebbero diventare progressivamente la norma, aprendosi «a forme di azionariato diffuso o utilizzando strumenti pay-by-result, cioè forme di investimento “paziente” e con un ritorno condizionato alle performance aziendali (su tutto longevità aziendale e salvaguardia dell’occupazione) ma a anche a impatti sociali generati».

Di |2024-07-15T10:07:02+01:00Gennaio 9th, 2023|Economia e Mercati, Human Capital, MF|0 Commenti