Active Aging, i “giovani anziani” di cui non possiamo fare a meno
Entro il 2030 gli over 65 in Italia saranno 3,5 milioni in più. Una nuova regione grande quanto la Toscana popolata solo da anziani. O meglio, “giovani anziani”, definizione usata dal team di sociologi, demografi e psicologi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, per definire quella fascia compresa tra i 65 e i 74 anni che include coloro che non sono più giovani ma nemmeno grandi anziani. Sono loro i protagonisti del cosiddetto active aging. Ovvero: l’invecchiamento attivo. Se gli anziani non sono più solo anziani, anche l’invecchiamento non sarà più lo stesso.
«Entro il 2020 ci saranno due over 65 ogni under 15», spiega Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica. Ma «la soglia in cui si entra nell’età anziana e si esce da quella adulta è slittata in avanti». Solo dopo i 75 anni comincia l’età in cui si è anziani dipendenti da qualcun altro. Prima esiste un interregno in cui sono diffuse attività di ogni tipo, legate alla famiglia, al volontariato ma anche al lavoro. Molti dei giovani anziani (83,3%) sono pensionati, ma alcuni lavorano ancora. La scelta di lavorare, nonostante la pensione, non è legata solo a un’esigenza di tipo economico, ma è dovuta spesso anche alla consapevolezza che la produttività lavorativa porti anche a un migliore invecchiamento.
Non solo. Con l’aumento della longevità e lo spostamento in avanti dell’età pensionabile, si assiste anche a un profondo invecchiamento della forza lavoro. La fascia d’età in cui più è cresciuta l’occupazione in questi anni, per l’effetto combinato dell’invecchiamento della popolazione e della riforma Fornero sulle pensioni, è proprio quella over 50.
La sfida per le aziende è proprio quella di progettare nuovi interventi per favorire l’active aging dei dipendenti senior, garantendo loro la giusta collocazione nell’organigramma.
Non si può pensare di fare lo stesso lavoro lungo tutta la vita lavorativa, né di restare immobili. Serve formazione continua per stare al passo con i tempi, soprattutto sul fronte dell’innovazione tecnologica. Con il coinvolgimento attivo dei lavoratori stessi. Una soluzione potrebbe essere quello che viene chiamato reverse mentoring, lo scambio di conoscenze tra junior e senior. Ma bisogna anche stimolare la salute personale e la motivazione, e pure pensare a una maggiore flessibilità organizzativa negli orari.
Ci sono contesti positivi in cui i dipendenti senior sono stati coinvolti in azienda come mentori per i più giovani, casi di coaching reciproco tra over 50 e under 35, forme di job sharing (cioè di condivisione dello stesso turno tra più lavoratori), programmi di formazione continua con la creazione di università aziendali, piani di carriera alternativi, ma anche benefit medico-sanitari per lo screening e la prevenzione e nuove possibilità di conciliazione lavoro-famiglia.
Se le aziende non possono fare a meno dei giovani, lo stesso vale per i più anziani. Tant’è che molti vengono richiamati in azienda per la loro esperienza sul campo. A fare da mentori, ma anche a “sporcarsi“ ancora le mani. L’ultimo caso è quello di Fincantieri, che a Porto Marghera, davanti a un picco di lavoro per la costruzione di mega navi da crociera, ha richiamato in cantiere un gruppo di operai esperti e già formati che erano andati in pensione. Dei “giovani anziani” non si può fare proprio a meno.