Age Management: creare valore dal mix generazionale in azienda
L’età media dei lavoratori nel nostro Paese continua ad aumentare. Una ricerca dell’Eurostat ha calcolato che, nel 2021, sono stati circa 4 milioni 588mila i lavoratori over 55, ossia il 53,4% del totale. E, allargando l’osservazione, il trend è in crescita in tutta Europa perché, sul totale delle persone impiegate, gli over 55 sono passati dall’11,9% al 20,2% tra il 2004 e il 2019.
Questo aspetto influisce anche nelle organizzazioni, in quanto è sempre più necessario affrontare il tema della Age Diversity, con progetti efficaci di Age Management.
Far convivere differenti generazioni nelle aziende e trarre beneficio dalla loro reciproca interazione sta diventando una delle principali priorità per coloro che gestiscono le risorse umane. Il tema, in particolare, è fortemente sentito dalla Pubblica Amministrazione, dove l’età media dei lavoratori è di 50 anni.
«Il tema dell’Age Management è importante in Italia rispetto al contesto di riferimento. La vita si allunga, l’età pensionabile aumenta in maniera costante e quindi in azienda ci sono sempre di più persone con età diverse. I giovani entrano in azienda con un mindset, un modello di riferimento e un approccio molto diversi rispetto a chi è lì da più anni», spiega Martina Mauri, direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, che ha recentemente condotto uno studio su questo tema.
Nel mondo del lavoro si comincia a parlare di Age Management. Ma cosa vuol dire?
L’Age Management fa parte del Diversity Management, la gestione della diversità in azienda, perché l’età può essere considerata come un elemento che differenzia i lavoratori. A questo fenomeno si possono ricollegare tutte le pratiche volte alla gestione delle diverse generazioni in azienda. Lo scopo è far sì che le persone con diverse età si sentano integrate e possano collaborare e portare valore all’organizzazione.
È più facile far lavorare persone di età simile rispetto a quelle con età diversa?
In generale le persone tendono a lavorare in gruppi omogenei perché in questo modo si sentono più sicure. Ma ciò poi non è correlato con l’efficacia del lavoro che viene fatto. Anzi, ci sono studi che dimostrano che più il team è diverso più aumentano l’innovazione e la qualità. Però spesso è difficile far lavorare insieme persone diverse tra di loro e l’età è una variabile da tenere in considerazione. Ci possono essere pregiudizi verso chi è molto giovane e chi è più senior. Si tende ad associare ai primi un minor interesse nelle attività lavorative e ai secondi una scarsa abilità nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Questi stereotipi possono portare a difficoltà di comprensione tra le diverse generazioni. Per questo è importante anche cercare di incentivare la collaborazione.
Spesso è difficile far lavorare insieme persone diverse tra di loro e l’età è una variabile da tenere in considerazione.
In che modo può essere favorita la collaborazione tra persone con età differenti?
Di solito vengono implementate pratiche di reverse mentoring, dove si affiancano le persone più giovani ai lavoratori senior. I primi condividono conoscenze legate ai nuovi strumenti digitali perché loro sono più avvezzi alla tecnologia. Il risultato è uno scambio di sapere dove il giovane supporta il senior in determinate attività. In questo modo si facilità anche la conoscenza reciproca.
Per evitare le discriminazioni, quali programmi hanno sviluppato le aziende per l’Age Management?
Il 21% delle aziende si concentra di più su iniziative specifiche per gli under 30. L’obiettivo è favorire il loro inserimento e l’integrazione nell’ambiente lavorativo. Inoltre, il 6% delle organizzazioni si focalizza in particolare sugli over 50. Per questa fascia d’età, i programmi riguardano l’accompagnamento all’uscita dal lavoro e alla riqualificazione professionale. In questo caso il reskilling è più complesso, perciò ci sono delle politiche specifiche. Le aziende che si occupano sia dei giovani sia dei senior e, più in generale, della convivenza intergenerazionale ammontano al 16% di quelle imprese intervistate. È importante non solo attivare iniziative puntuali, ma andare a lavorare sul dialogo tra le diverse generazioni.
Perché l’Age Diversity è molto presente nella Pubblica Amministrazione?
Nella Pubblica Amministrazione l’età media è molto alta e, di conseguenza, l’ingresso di nuovi giovani porta a una forte diversità perché ce ne sono pochi. Per loro è più difficile integrarsi in un ambiente che magari percepiscono come molto burocratizzato. Inoltre la Pubblica Amministrazione a livello tecnologico è meno matura rispetto alle aziende private. Quindi i giovani si trovano a operare in un contesto più distante rispetto alle loro esperienze precedenti, non solo lavorative. Ciò rende più difficoltoso compiere questo passaggio di integrazione delle nuove generazioni perché sono un elemento di diversity e di disruption. Gli under 30 hanno un nuovo modo di pensare e di lavorare, mentre chi lavora da tanti anni ha una resistenza al cambiamento maggiore.
Nella Pubblica Amministrazione l’età media è molto alta. L’ingresso di nuovi giovani porta a una forte diversità perché ce ne sono pochi.
E come viene affrontato questo tema?
Nella Pubblica Amministrazione ci si focalizza di più sui dati oggettivi che sugli aspetti relazionali, anche se poi questi ultimi, nel lungo termine, hanno un impatto sugli output.
Ci può raccontare un caso di successo di Age Management?
Come Osservatorio abbiamo approfondito il caso di Saras, operatore attivo nella raffinazione del petrolio. L’azienda ha portato avanti un progetto di Age Management volto a valorizzare l’integrazione dei più giovani con i più senior. L’iniziativa ha previsto la partecipazione diretta delle persone nella creazione e nella validazione delle Digital Cards, percorsi formativi costituiti da video pillole, percorsi multimediali brevi e interattivi. Le figure più giovani – chiamate “Focal Point” – si sono occupate della creazione dei contenuti digitali, mentre le figure più senior – definite “Validatori” – hanno supportato i colleghi nello sviluppo e nell’arricchimento dei contenuti prima della loro emissione. Il risultato è stato lo scambio di saperi specialistici e tecnici con competenze e modalità di lavoro più innovative e digitali.
Ci sono delle metriche per misurare i risultati dei programmi di Age Management e, più in generale, di Diversity Management?
Grazie alla social network analysis, è possibile verificare quanto le persone interagiscono tra di loro all’interno di un’organizzazione. Si vanno a ricreare delle reti, per esempio, tramite l’analisi delle e-mail e delle chiamate su Teams. In questo modo si vede se c’è stata una maggiore interazione tra persone che appartengono a generazioni diverse. Con questo metodo digitale si riesce a tenere una traccia degli scambi lavorativi, però si perdono alcuni aspetti (le pause, i pranzi trascorsi insieme) che sono difficili da mappare. In ogni caso, si può somministrare una survey ai partecipanti sul gradimento delle iniziative implementate. Oppure il responsabile, attraverso l’esperienza diretta, può vedere se c’è una maggiore inclusione.