Andrew Yang, il miliardario americano con una missione: preparare gli Stati Uniti a convivere con i robot
Cosa occorre per destabilizzare una società? «Bastano le auto che si guidano da sole». Un paio di mesi fa l’imprenditore newyorkese Andrew Yang, in un ristorante thailandese di Manhattan, ha rilasciato la sua prima intervista ufficiale da aspirante candidato democratico alle presidenziali 2020. Da allora la stampa non fa che parlarne, perché i possibili leader anti-Trump non mancano, ma nessuno, almeno per ora, sembra originale quanto Andrew Yang.
«Questa innovazione», spiega al New York Times, riferendosi alle auto autonome, «sarà sufficiente per creare rivolte per le strade. (…) Nel giro di pochi anni avremo un milione di conducenti di camion senza lavoro, al 94% maschi, con un livello medio di istruzione da scuole superiori o primo anno di college. (…) E stiamo per fare la stessa cosa ai lavoratori al dettaglio, ai lavoratori dei call center, dei fast-food, delle compagnie assicurative, della contabilità».
Non sono le parole di un vecchio apocalittico conservatore. Yang ha 43 anni – venti dei quali trascorsi nel mondo delle start up hight tech –, è sposato ed è padre di due ragazzi. È una persona estroversa, che parla molto veloce, veste in blazer e jeans (senza cravatta) e tiene un diario quotidiano in cui annota le cose per le quali è grato.
La sua campagna è impostata sul futuro distopico che attende gli americani con la crescita dell’automazione, ma non gioca solo sulla paura: propone soluzioni. La sua tesi è che a breve l’incremento dell’automazione e dell’intelligenza artificiale renderà obsoleti milioni di posti di lavoro, portando la disoccupazione ai livelli della Grande Depressione del ‘29.
Partendo dal presupposto che rallentare il progresso non sarebbe né saggio né risolutivo, oltre alla sanità gratuita, Yang propone il Freedom Dividend.
Per molti si tratta di eccessivo allarmismo, ed è probabile. Va detto però che Yang non è il solo tra economisti, informatici ed esperti di tecnologia a pensarla in questi termini. Secondo il rapporto 2017 della società di consulenza McKinsey & Company, entro il 2030 ben un terzo dei posti di lavoro dei cittadini statunitensi potrebbe volatilizzarsi. E come pensa l’aspirante candidato di affrontare la cosa? Partendo dal presupposto che rallentare il progresso non sarebbe né saggio né risolutivo, Yang propone, oltre alla sanità gratuita, quello che lui chiama il “Dividendo della libertà” (Freedom Dividend): una sorta di rebranding del reddito universale di base, un’idea non proprio nuova che negli ultimi anni è tornata di moda, anche grazie a endorsement illustri dalla Silicon Valley.
Per finanziare i 1.000 dollari mensili che spetterebbero a ogni cittadino adulto, Yang propone una tassa sul valore aggiunto, cioè una sorta di tassa sulle vendite, raccolta però non soltanto nella fase della vendita al dettaglio, ma durante ogni passaggio della catena di produzione.
Sono un capitalista e credo che il reddito universale sia necessario affinché il capitalismo continui.
Nelle intenzioni di Yang, questo reddito dovrebbe garantire a tutti gli americani l’accesso ai beni essenziali, istruzione compresa, consentire di trascorrere del tempo con la famiglia e anche, per chi lo desidera, di aprire un’impresa. «Sono un capitalista», ha dichiarato al New York Times, «e credo che il reddito universale sia necessario affinché il capitalismo continui».
È stata infatti la sua vocazione imprenditoriale e l’interesse per l’innovazione ad allontanarlo, un paio di decenni prima, dalla carriera legale che aveva intrapreso dopo la laurea in Economia alla Brown e la specializzazione in Legge alla Columbia. «Dopo un breve periodo come avvocato aziendale, ho capito che non faceva per me», si legge sul suo sito. «Ho lanciato una piccola azienda che non è decollata, e poi ho lavorato per una startup sanitaria, dove ho imparato da imprenditori più esperti come costruire un’impresa». In seguito ha gestito una società di formazione di alto livello, che gli ha dato una nuova idea: investire creando lavoro, proprio dove la crisi aveva colpito più duramente, in città come Baltimora, Detroit e Cleveland. Con lo stesso spirito ha poi fondato Venture for America, un programma che aiuta gli imprenditori a creare posti di lavoro nella propria città.
Proprio i suoi viaggi per gli Stati Uniti, soprattutto nelle città del Midwest, gli hanno permesso di tracciare un collegamento importante per il suo futuro progetto politico: quello tra la crescita del populismo anti-establishment e l’aumento dell'automazione sui posti di lavoro. «Il motivo per cui Donald Trump è stato eletto è che abbiamo automatizzato quattro milioni di posti di lavoro in Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin», spiega al New York Times. «Se guardi i dati degli elettori, mostrano che più alto è il livello di concentrazione dei robot in un distretto, più quel distretto ha votato per Trump».
In questa fase preliminare è ancora lontano dalla candidatura, e ancor di più dalla Casa Bianca. Tuttavia Yang sembra fiducioso e propositivo: «Dobbiamo pensare più… in grande», scrive su Reddit, citando Inception di Nolan. E se le sue valutazioni sono corrette e i robot nel 2016 hanno davvero fatto la fortuna di Trump, chissà che nel 2020 non giochino a suo favore.