Anna Vaccarelli, la donna pioniera della cybersecurity italiana


Anna Vaccarelli è «tra le pioniere della cybersecurity, della divulgazione scientifica rivolta al digitale in Italia ed esperta a livello internazionale». Così è stata definita dall’Italian Computer Society, che l’ha premiata come migliore informatica d’Italia. Con lei, che oggi è dirigente tecnologo dell’Istituto di informatica e telematica del CNR di Pisa e responsabile delle relazioni esterne di Registro.it, abbiamo discusso della sicurezza informatica, della presenza delle donne nelle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e della divulgazione scientifica, anche in rete.

Come si diventa pionieri nella cybersicurezza?
Uno diventa pioniere quasi per caso. Dopo essermi laureata in ingegneria elettronica nel 1984 all’Università di Pisa, lavoravo per il CNR quando nel 1998 mi proposero di occuparmi di cybersicurezza. Era un tema ancora inesplorato in quel momento. Anche per questo fu un salto nel buio, che però mi portò a studiare a Torino e a guidare un gruppo di ricerca, che ancora oggi – anche senza di me – ottiene molti bandi europei.

Cosa significa oggi lavorare nella cybersicurezza?
Vuol dire lavorare in un ambiente molto vario. C’è un ambito che si occupa di protezione dei dati, legato alla cifratura e alle tecniche di firma digitale: è molto impegnativo dal punto di vista dell’utilizzo degli algoritmi. Ma anche un ambito che si assicura della protezione delle transazioni digitali, delle telecomunicazioni e anche della sicurezza sui social, per esempio. Inoltre, la cybersicurezza si occupa anche della difesa delle infrastrutture critiche.

Attualmente la domanda di expertise è ben maggiore dell’offerta. Anche per questo le aziende contattano i giovani ancora prima che completino il ciclo di studi universitario.

Cosa significa occuparsi delle infrastrutture critiche?
Molti utenti immaginano le infrastrutture come qualcosa di fisico. Non hanno torto, ma nelle infrastrutture la parte più esposta ai rischi è rappresentata dai software che permettono di farle funzionare. Penso alle reti di distribuzione dell’energia elettrica o dell’acqua: sono i software che le gestiscono, decidendo ad esempio come e dove dirigere una certa quantità di acqua o energia. Per evitare che vengano attaccati, e che quindi le infrastrutture diventino inutilizzabili, si ricorrere a strumenti di cybersicurezza. Gli attacchi informatici di questo tipo sono una cosa piuttosto recente, sono aumentati molto negli ultimi anni.

La cybersicurezza è un settore in forte crescita. Lo conferma?
Sì, e la ricerca di giovani lavoratori è sempre molto attiva. Appena due mesi fa, a febbraio, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ha aperto un bando per reclutare nuove figure da inserire. Spesso si accede con una laurea triennale o magistrale, ma non per questo chi non la possiede ne è tagliato fuori. È comunque un settore in cui c’è molto spazio per crescere: attualmente la domanda di expertise è ben maggiore dell’offerta. Anche per questo le aziende contattano i giovani ancora prima che completino il ciclo di studi universitario. Nonostante questo, però, le retribuzioni in Italia restano inferiori rispetto all’estero.

A proposito di mercato del lavoro, come giudica la presenza delle donne in ambito STEM?
La presenza delle donne nel settore STEM è ancora molto bassa, sia per quanto riguarda lo studio, sia nel mondo del lavoro. Se poi restringiamo al settore dell’informatica e della cybersecurity, la percentuale cala ancora: la presenza delle donne è inferiore al 20 per cento. Io stessa faccio parte di Women For Security, una community di professioniste che operano nel mondo della sicurezza informatica in Italia. Recentemente abbiamo lanciato un sondaggio per fotografare la situazione delle donne nella cybersicurezza. I dati non sono ancora disponibili, ma il problema è stato che ci abbiamo messo moltissimo tempo per raggiungere le 200 risposte. Poco prima, usando gli stessi canali di comunicazione, un sondaggio sul revenge porn aveva ottenuto 500 risposte in molto meno tempo. Questo è un altro indicatore del basso numero di donne in questo settore.

La presenza delle donne nel mondo STEM è ancora molto bassa. Se poi restringiamo al settore dell’informatica e della cybersecurity, la percentuale cala ulteriormente.

C’è quindi molto lavoro da fare…
La sicurezza informatica è ancora una nicchia, quindi può non essere un campione soddisfacente. E se la presenza delle donne nelle materie STEM è ancora scarsa, si avverte anche che le posizioni apicali restano occupate dagli uomini anche in quei settori dove la presenza femminile negli studi è cresciuta molto. La progressione di carriera penalizza ancora molto le donne. In passato io ero contraria alle quote rosa, ma ora, anche per via di questa maggiore difficoltà, credo che forzare la presenza delle donne tramite strumenti simili possa essere d’aiuto.

Anche intervenendo sulla scuola si possono portare più ragazze a studiare materie scientifiche?
Bisogna lavorare su tutti i ragazzi, sia maschi che femmine, prendendoli già alle elementari. Facendo capire loro – e dimostrando – che le ragazze hanno le stesse capacità dei maschi. In questo modo sarebbe molto più semplice sfatare molti luoghi comuni sulle abilità delle donne. Inoltre, alcune università (come quella di Bologna) già collaborano con varie scuole superiori erogando dei percorsi per favorire le ragazze nel consolidare le competenze scientifiche.

Dalla sua esperienza di divulgazione nelle scuole, come le sembra il rapporto che i giovani hanno con la rete e la cybersicurezza?
Faccio divulgazione da circa dieci anni e i ragazzi mi sembrano molto bravi e rapidi nell’utilizzare gli strumenti tecnologici, i social e le app. Allo stesso tempo, però, non conoscono i principi che fanno funzionare la rete o i computer. Ma è anche normale perché di informatica a scuola si parla poco. Sono però molto attenti quando gli si parla di queste cose. Io coordino la divulgazione di questi temi in varie scuole: mentre alle elementari utilizziamo metodi giocosi, alle scuole superiori abbiamo un approccio didattico, che prevede anche delle esercitazioni. Da alcuni anni, grazie ai questionari che somministriamo prima e dopo il corso, siamo in grado di valutare l’efficacia dei corsi stessi: spesso emerge che le ragazze pensano di essere meno brave in informatica. Sono propri questi pregiudizi che dobbiamo cercare di cancellare per aumentare la presenza delle donne nelle materie STEM.

Di |2024-07-15T10:06:50+01:00Aprile 15th, 2022|Human Capital, Innovazione, MF|0 Commenti
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