Sapere e innovazione digitale: così gli artigiani provano a rinascere dopo la pandemia


Cuore, passione e tanta tenacia. Sono queste le basi che ancora oggi caratterizzano il mondo dell’artigianato, giunto a un punto di svolta nell’anno della pandemia. Oggi sono 1 milione e 300mila le imprese artigiane censite da Confartigianato (numeri dello scorso giugno) e 2 milioni e 660 mila gli operatori coinvolti. Il settore è uscito profondamente ridimensionato dalla crisi prima e dalla pandemia poi. E a dirlo sono i numeri: nel 2014 le imprese artigiane erano 76mila in più. Ma mai come dopo lo shock generato dall’emergenza sanitaria questo settore per rinascere oggi punta sull’innovazione digitale, sin dalla fase della formazione dei nuovi artigiani.

«Gli artigiani italiani hanno sempre fatto innovazione, spesso realizzando da soli i propri utensili o macchinari, ma il digitale dà una marcia in più a questo settore. La categoria dei digital maker può essere il vero motore dell’economia italiana», scriveva già l’ex leader sindacale Fim Cisl Marco Bentivogli nel suo libro “Contrordine Compagni”.

La pandemia ora ha accelerato la rivoluzione digitale, diventando un elemento imprescindibile per la sopravvivenza. Secondo i dati di Confartigianato, fino all’arrivo del coronavirus, il 13% delle piccole e medie imprese non aveva addetti digitali, il 20% non aveva un sito web, il 32% era sprovvisto di strumenti di cybersecurity. Adesso però Confartigianato stima che entro fine anno 122mila imprese in più utilizzeranno l’e-commerce, che a settembre 2020 registrava già un +24,9% rispetto allo stesso periodo di dodici mesi prima.

«Il processo di innovazione è diverso da impresa a impresa ma va sempre ricordato che la digitalizzazione non è mai il fine ultimo, bensì il mezzo: l’obiettivo per tutti è quello di restare in maniera competitiva sul mercato», afferma Roberta Gagliardi, responsabile area competitività della Confartigianato lombarda.

Il processo di innovazione è diverso da impresa a impresa ma va sempre ricordato che la digitalizzazione non è mai il fine ultimo, ma il mezzo: l’obiettivo per tutti è quello di restare in maniera competitiva sul mercato

Roberta Gagliardi, responsabile area competitività della Confartigianato lombarda

Un tema di cui si è occupato molto Stefano Micelli, docente di Economia e gestione delle imprese presso l’università Ca Foscari di Venezia, che ha realizzato uno studio proprio per raccontare come i settori tradizionali siano stati influenati dalle nuove tecnologie. «Negli ultimi sei anni», spiega Micelli, «le cose non sono cambiate molto: ci sono ancora grandi possibilità di sviluppo per chi sa mettere assieme il sapere italiano con le nuove tecnologie. I digital maker sono un pezzo importante della storia italiana».

Non grandi aziende, ma nuovi maker in grado di saper fare e generare una produzione anche personalizzata sulla base delle richieste dell’utente finale grazie alle nuove tecnologie. In alcuni casi, questo movimento – come spiega Micelli – ha portato negli anni a un incontro tra le imprese tradizionali del made in Italy e la cultura maker generando risultati interessanti a livello locale. Ma non basta: serve fare altri passi in avanti in maniera strutturale.

La difficoltà del mondo artigiano in questo periodo – ammette il professore – è evidente. Ed è legata alla pandemia, certo, ma non solo. «Noto un sempre maggiore scollamento tra il mondo accademico e il mondo del lavoro», dice Micelli. «Serve un progetto Paese che rafforzi in particolare la formazione tecnica e aiuti il made in Italy a crescere in maniera intelligente ed efficace».

Un appuntamento importante, per artigiani e nuovi maker digitali, è ogni anno la Maker Faire di Roma, che nell’anno della pandemia si trasforma in evento online (dal 10 al 13 dicembre). Una fiera degli artigiani digitali, che riunisce nuovi artigiani, appassionati di tecnologia, professionisti, scuole, università, centri di ricerca e imprese. Con un menù che quest’anno prevede un ciclo di webinar di formazione e approfondimento, con un focus sull’acquisizione delle competenze legate all’industria 4.0 e al settore green.

Perché i nuovi artigiani oggi non sono solo falegnami, camiciai o stampatori 3D, ma anche nuovi i nuovi imprenditori del mondo della Rete, che creano applicazioni o reti wi-fi, e dell’economia verde. Un esempio di questo nuovo volto artigianato è sicuramente Tapecode, fondata nel 2012 da due giovani pugliesi, Nicola Perrini e Vito Tafuni. «Il nostro servizio è quello di dare al cliente quello che ci chiede, come un sito web, una piattaforma e-commerce o una app per la sua attività», spiega Perrini. L’ultimo arrivato in casa Tapecode è Portamelo, piattaforma nata per mettere in contatto piccoli esercizi commerciali e clienti. Ma nel portafoglio dei due giovani maker si trovano anche applicazioni come Yourfiles, molto simile a Dropbox e pensata per i commercialisti per un’attenta gestione dei dati fiscali del cliente, o Vogon, nata per recuperare i crediti con un sistema di notifiche via via più invasivo.

Serve un progetto Paese che rafforzi in particolare la formazione tecnica e aiuti il made in Italy in maniera intelligente ed efficace.

Stefano Micelli, docente di Economia e gestione delle imprese presso l università Ca Foscari di Venezia

Ma per le imprese più tradizionali spesso è l’unione che fa la forza, permettendo il grande salto verso l’innovazione. Lo raccontano Franco Baccani e Renato Nieri Argenti, preside e docente della Scuola di pelletteria di Scandicci, in provincia di Firenze. «Qui la pelletteria è tanto, forse è tutto», spiega Baccani, riferendosi al valore sociale ed economico di un’industria con 44mila addetti e secoli di storia in una provincia.

«In questo settore l’evoluzione del digitale ha avuto l’effetto di concentrare i piccoli artigiani, portandoli a lavorare per le grandi firme. Il piccolo artigiano di una volta, insomma, non esiste più», dice Nieri Argenti, che prima di essere docente ha gestito per oltre 40 anni una piccola impresa artigiana di pelletteria. «In questo settore, la rivoluzione digitale si avverte più sul lato e-commerce: una vetrina indispensabile già oggi, vista anche la pandemia, ma che lo sarà anche in futuro», spiega Baccani. Ma «per quanto riguarda i processi di produzione, i ragazzi che vogliono diventare artigiani in questo campo non devono imparare molto: si lavora prima a mano e poi si usano le macchine. Gli strumenti sono quasi gli stessi di cinquant’anni fa», conclude Nieri Argenti.

I calzolai stanno vivendo una nuova giovinezza, grazie ad artigiani che hanno saputo reinventarsi con il digitale e fanno lavori completamente diversi rispetto al passato.

Paride Geroli, presidente dell associazione Calzolai 2.0

Non tutti i mestieri, però, sono rimasti identici rispetto al passato. Un esempio sono i calzaturifici, il cui processo produttivo è profondamente cambiato. Oggi sono registrate presso le Camere di commercio di tutta Italia 3.900 aziende calzaturiere, quasi 500 in meno rispetto a 11 anni fa. Tuttavia, per il presidente dell’associazione Calzolai 2.0 Paride Geroli, «i calzolai stanno vivendo una nuova giovinezza, grazie ad artigiani che hanno saputo reinventarsi con il digitale e fanno lavori completamente diversi rispetto al passato».

Una ventata di novità che anche Mauro Tescaro, direttore del Politecnico Calzaturiero del Brenta, rileva: «La professione è profondamente cambiata rispetto al passato. Oggi i ragazzi devono prima imparare a cucire le scarpe a mano, per sapere come si fa, e poi cimentarsi con le macchine, che fanno e faranno parte della loro professione».

Macchine e sistemi biometrici sono presente e futuro che permetteranno ai calzolai di aiutare il cliente a scegliere la scarpa giusta, anche a distanza. «Internet dà infinite possibilità: un calzolaio può sfruttare l’e-commerce per ampliare la propria platea, ma può anche permettergli di allargarsi a servizi come la riparazione di borse o la personalizzazione dei capi, che oggi diventa sempre più importante», sottolinea Tescaro. L’aspetto centrale però è un altro. «Oggi si assiste a un grande ricambio: molti calzolai lasciano il posto ad altri più giovani. Ed è un bene questo: forze fresche assicureranno innovazione nei processi e nuove idee».

Di |2024-07-15T10:06:13+01:00Dicembre 9th, 2020|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti