Gli algoritmi sostituiranno gli avvocati? No, ma rivoluzioneranno il settore legale


Per misurare l’impatto e il livello di sviluppo dell’intelligenza artificiale molto spesso si organizzano delle sfide uomo-macchina. È successo con gli scacchi, con il Go (una specie di gioco della dama di origine giapponese), con i videogiochi e con le cause legali. Come lo scorso ottobre, a Londra, dove un pool di 100 avvocati si è impegnato per sette giorni di seguito nella produzione di oltre 750 valutazioni legali sul probabile risultato di un contenzioso in materia assicurativa. Uno sforzo che però è servito a poco. Alla fine ha vinto CaseCruncher, software sviluppato da un gruppo di studenti della Cambridge University. Il motivo? Il livello di precisione, l’analisi di elementi non strettamente legali e l’ampio margine di variabili proposte dalla valutazione dell’Ai. «Questo non significa che la macchina è migliore dell’uomo, ma che se alla macchina si pongono domande molto circostanziate il software può raggiungere livelli di accuratezza superiori agli avvocati in carne e ossa», si è affrettato a precisare Ludwig Bull, direttore scientifico di CaseCrunch (la startup del quasi omonimo software). Ma le orecchie dei milioni di avvocati sparsi in tutto il mondo hanno cominciato a fischiare.

D’altronde, basta guardare il livello di investimenti nel settore delle regtech (come si definiscono le tecnologie pensate per risolvere problemi di conformità normativa) per capire che qualcosa si sta muovendo. Secondo uno studio Cb Insight, gli investimenti dei venture capitalist sono arrivati a quota cinque miliardi di dollari spalmati su 585 round di finanziamento nel giro degli ultimi cinque anni. Performance positive che si sono riversate anche nel sottoinsieme del legal tech (che comprende le tecnologie specificatamente pensate per gli studi legali): oltre 300 milioni di dollari raccolti nel 2017. Campione d’incassi è stato senza dubbio Druva, un’azienda californiana, che con i suoi 198 milioni di dollari di finanziamenti punta a rivoluzionare il settore legale grazie a un software per la protezione dei dati sensibili delle aziende. Giusto la metà, 96 milioni di dollari, sono stati destnati a Zapproved: azienda informatica di Portland che promuove un’offerta di servizi via cloud agli studi legali dei gruppi corporate. E in attesa che questi sistemi si diffondano, i grandi studi legali o di consulenza non stanno con le mani in mano.

JpMorgan da diversi mesi utilizza una piattaforma chiamata Contract Intelligence (Coin) che in pochi secondi può svolgere compiti che prima richiedevano fino a 360mila ore di lavoro. Mentre da più di un anno, Oltreoceano è in servizio Ross (assunto anche da sei studi milanesi nel corso del 2017): costa al mese quanto un collega in carne e ossa prende in un’ora, non si ferma mai e non chiude per andare in ferie. Sviluppato dalla Ibm, Ross è costituito da un software a cui basta fornire un quesito legale per vedersi immediatamente restituita la soluzione grazie all'eleborazione di milioni di dispositivi di legge, casi giudiziari, delibere e giurisprudenza varia.

Se alla macchina si pongono domande molto circostanziate il software può raggiungere livelli di accuratezza superiori agli avvocati in carne e ossa

Ludwig Bull, direttore scientifico di CaseCrunch

E in Italia? Il panorama delle startup che offrono soluzioni nel settore del legal tech sono ancora poche (circa lo 0,1%), ma si stanno facendo sempre più strada. Uno sviluppo di cui ha parlato lo scorso 6 novembre, durante la Giornata europea della giustizia civile, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Remo Danovi: «Le precedenti rivoluzioni industriali e tutte le profonde trasformazioni economiche e sociali sono sempre state una gigantesca occasione di sviluppo per le professioni intellettuali e il vasto mondo della consulenza prestata a tutti i settori economici e produttivi. Pertanto, come esponente e rappresentante di una delle professioni più numerose dovrei essere molto compiaciuto per le ulteriori prospettive di sviluppo della professione. Ma questa volta le cose non stanno affatto così». Il riferimento era diretto ai vari studi internazionali che con dati ancora incerti predicono perdite di posti di lavoro inaudite a causa dello sviluppo dell’Ai. Anche fra gli avvocati. «Tutto sta cambiando e ci si chiede se il percorso logico e processuale di una questione, lo studio della causa, della normativa e dei precedenti, e perfino le prospettazioni delle parti, la decisione e la motivazione del giudice, siano azioni che possano essere compiute da una macchina dotata di intelligenza artificiale – ha continuato Danovi -. Quel che noi possiamo e dobbiamo decidere e cercare di controllare, è fino a che punto possiamo avvalerci di queste macchine e delegare all’intelligenza artificiale, basata su algoritmi, la componente non sostituibile dell’apporto intellettuale».

Una risposta, in questo senso, la dà Francesco Portolano, dell’omonimo studio legale Portolano Cavallo: «A inizio ‘900 all’interno degli studi legali c’erano persone che copiavano in bella gli atti. Poi, con l’arrivo della macchina da scrivere la loro mansione è cambiata, si sono dedicate ad altro, permettendo ai vari studi di fare più lavoro con le stesse persone». Dalla macchina da scrivere al computer, lo studio legale è stato fra i primi ad introdurre in Italia il software Luminance, una piattaforma che permette l’analisi di documenti e la classificazioni di clausole in tempi record. «Dopo una fase pilota – racconta Portolano – lo abbiamo introdotto in pianta stabile da settembre e l’impatto maggiore è stato senza dubbio sulla quantità di ore richieste per ottenere lo stesso risultato. In base a ciò, c’è stata una riorganizzazione del lavoro e della formazione. I praticanti, per esempio, ora possono dedicarsi a compiti più sofisticati e guardare con maggiore interesse a un lavoro che potrebbe sembrare noioso».

Ma non c’è il rischio che di questo passo si finisca per fare a meno dell’avvocato? «Direi di no – risponde Portolano -. C’è un elemento ineliminabile quando si parla di interazione fra esseri umani: la sensibilità. Quella caratteristica propriamente umana che ti fa scegliere cosa dire e cosa fare in base al contesto e alle persone che hai di fronte in un giudizio o negoziazione».

Di |2024-07-15T10:04:50+01:00Gennaio 17th, 2018|futuro del lavoro, Innovazione, MF|0 Commenti