Cinzia Zuffada, donna ingegnere da 28 anni alla Nasa


Prima di AstroSamantha Cristoforetti, la bandierina dell’Italia alla Nasa ce l’ha portata Cinzia Zuffada che, alla fine degli anni Ottanta, grazie a una borsa di studio in California, entra in contatto con gli ambienti spaziali americani. Da Pavia alla borsa di studio al California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena fino al ruolo attuale di Associate Chief Scientist al Jet Propulsion Laboratory, sono passati 28 anni. Un’esperienza pionieristica che le è valso anche il Premio Ghisleri 2019.

Zuffada lavora alla Nasa da 28 anni. Ha fatto prima dieci anni come ricercatrice e ora si occupa del management, gestendo i fondi per i programmi di ricerca. Prima in una sezione soltanto, nell’ambito della divisione Scienze, ora nell’ufficio del Chief Scientist. “È importante gestire bene i fondi per mantenere competitivo il laboratorio”, racconta. “Una fetta di questi viene assegnata sulla base delle proposte che i ricercatori sottopongono al mio ufficio”.

Il suo team è una comunità di ricerca di mille persone, su un organico di seimila impiegati. Quattromila di questi sono ingegneri, scienziati, tecnologi. “I ricercatori sono quelli che, di mestiere, scrivono le proposte per cui chiediamo i finanziamenti. Gli altri si occupano di sviluppare i progetti. Sono due mondi diversi”, dice l’ingegnere, che cura due programmi di ricerca. Uno è grassroot, l’altro invece è collaborativo con le università. “Con questo finanziamo dei piccoli progetti che però permettono di catalizzare collaborazioni più ampie”, racconta Zuffada.

Uno dei più importanti è stato quello del CubeSat, satelliti miniaturizzati di piccolissime dimensioni che permettono di effettuare ricerche scientifiche nello spazio con costi molto bassi. Una rivoluzione, per un laboratorio come il JPL, abituato alle grandi e complicatissime missioni spaziali – un esempio tra tanti: l’invio della Sonda Galileo, che ha raggiunto Giove. “Però quello dei piccoli satelliti era un aspetto che mancava”, puntualizza la scienziata. “E una decina di anni fa abbiamo avviato un programma di collaborazione con il mondo accademico: le università sono più adatte, rispetto a noi, per costruire questi tipi di sistema in modo competitivo, cioè a basso costo. Noi però abbiamo aggiunto la nostra conoscenza sulla strumentazione scientifica miniaturizzata (che le università non hanno) e alcuni servizi, come gli strumenti radio per le telecomunicazioni”.

È in atto una riduzione delle acque superficiali della Terra per una serie di motivi. Molti sono riconducibili all’azione dell’essere umano, e tra questi il principale è la costruzione di città

Alla Nasa però, a sorpresa, si occupano anche di ambiente, come racconta Zuffada. Un altro grande successo del Programma di ricerca interno è stato lo sviluppo di un modello, ormai accettato da tutti gli esperti e apprezzatissimo, che consente la descrizione del comportamento dei ghiacciai su scale molto grandi. “Con questo strumento siamo in grado di mappare tutti i processi rilevanti nella criosfera”, dice Zuffada. “La cosa interessante è che nasce come modello ingegneristico, cioè basato sulla meccanica dei fluidi e impiegato per analizzare strutture che si deformano. Ma attraverso un processo di rielaborazione – la nostra comunità è sempre in fermento, ricca di idee e iniziative – è diventato, conservando gli stessi mattoni originali, il più avanzato di tutti”.

La stessa scienziata si occupa in prima persona di ambiente nel suo lavoro quotidiano. “La giusta applicazione è: misurare la topografia della superficie dei mari e la distribuzione dell’acqua superficiale sulla Terra”, racconta. “In altre parole, ci occupiamo della mappatura delle paludi (e con “palude” intendo, in senso tecnico, un ecosistema dove è presente acqua di superficie). I dati che acquisiamo ci permettono di cogliere la dimensione dei cambiamenti che accadono sulla Terra”.

L'evidenza più rilevante raccolta finora è che le paludi stanno cambiando: è in atto una riduzione che avviene in modo molto veloce, per una serie di motivi. Molti sono riconducibili all’azione dell’essere umano, e tra questi il principale è la costruzione della rete urbana, con cui sono stati distrutti numerosi ecosistemi naturali. Altri motivi sono dovuti al riscaldamento globale. Per questo, Zuffada concorda sui dati presentati riguardo l’emergenza climatica, ormai da tanto tempo e in modo molto organico, dai gruppi della Ipcc – in cui fanno parte anche studiosi della Nasa. “Con questi dati si ha il quadro generale e globale e, se vogliamo, quantificato di quello che sta succedendo. Per cui condivido pienamente”, dice.

I numeri della presenza femminile nelle materie scientifiche non sono cambiati in modo significativo rispetto alla generazione di Zuffada

Quanto all’Italia, nel complesso il giudizio della ricercatrice sul sistema formativo scientifico italiano è positivo dal punto di vista della formazione. “Da almeno dieci anni, in modo molto proattivo, cerco di sviluppare progetti tra JPL e le università italiane. Ho avuto modo di conoscere e osservare diversi giovani italiani e di apprezzare la loro preparazione. Che è, però, più teorica e accademica”, racconta. Troppa teoria, quindi? Secondo la scienziata, a mancare è soprattutto la capacità di assorbire i giovani nel lavoro. Tantissimi laureati, pur con un buon bagaglio di conoscenze, vanno a lavorare in posti dove questo stesso bagaglio non viene messo a frutto. “È un sistema molto rigido, burocratico che ha un grande limite: non insegna a desiderare di lavorare in modo innovativo”, ammette la scienziata.

In vari modi, l’ingegnere si impegna anche a favore delle pari opportunità nel mondo scientifico per le donne. Ma, rispetto a quando studiava lei, ammette che le cose non sono migliorate più di tanto. “I numeri della presenza femminile nelle materie scientifiche non sono cambiati in modo significativo rispetto alla mia generazione”, racconta. “Ci sono tanti motivi alla base. Alcuni legati, se vogliamo, all’educazione delle bambine, diversa da quella impartita ai maschi. I ruoli che si propongono – e quelli che poi si va a finire ad assumere – non sostengono abbastanza l’idea che una bambina possa interessarsi al mondo scientifico, o che una donna possa fare bene nella scienza. Io mi ricordo che da bambina c’era una grossa differenza nelle aspettative verso le ragazze e i maschi. Uno dei grandi freni, quando si entra in un ambiente così maschile, è anche una forte mancanza di gratificazione”. E questo non vale solo per l’Italia, ma anche per gli Stati Uniti.

Di |2024-07-15T10:05:43+01:00Novembre 20th, 2019|Human Capital, Innovazione, MF|0 Commenti
Torna in cima