Trovare le competenze giuste: ecco la ricetta per non farsi rubare il posto di lavoro da un robot


L’emergenza lavoro? La tecnologia che ruba posti di lavoro? I robot che ci sostituiranno? Fake news, se dovessimo guardare ai soli dati aggregati. Nel primo trimestre del 2017, stando ai dati di Eurostat, in Europa hanno lavorato 234,2 milioni di persone, 154,8 delle quali soltanto nel novero di Paesi che condividono la valuta comune: si tratta dei livelli occupazionali mai registrati in passato.

Molto rumore per nulla, quindi? Non esattamente. La grande transizione che prende il nome di quarta rivoluzione industriale – quella che tramuta i bit in atomi e rivoluziona i processi produttivi, per dirla in estrema sintesi -, nonché l’emergere della app economy dalla Silicon Valley, hanno destrutturato il mercato del lavoro andando a colpire molti posti di lavoro, soprattutto quelli a medio livello di competenze, laddove sono cresciuti in quantità e valore quelli ad alto livello di competenze e pure quelli di più basso livello.

È una rivoluzione, insomma. Una rivoluzione che ha vincitori e perdenti. La California, che poco più di un anno fa è diventata – da sola – la sesta economia del mondo, superando la Francia, è indubbiamente il più ovvio dei vincitori. Invece, secondo il rapporto Future of Jobs, pubblicato nel gennaio del 2016, l’Italia sarà il primo dei perdenti. E non c’è Jobs Act né decontribuzione che tengano: sarà l’effetto di questa rivoluzione industriale in atto, dicono gli economisti del Wef, a costare all’Italia il 48% dei posti di lavoro tra il 2015 e il 2020. Effetto di una skill distruption – distruzione di competenze, in italiano – i cui effetti saranno devastanti a livello globale in settori come quello del credito e della finanza, della mobilità, dei servizi professionali, dell’energia, dei consumi.

«Getting skills right», trovare le giuste competenze, è la parola d’ordine in questo nuovo scenario. Uno scenario che chiama innanzitutto in causa la formazione.

«Getting skills right», trovare le giuste competenze, è la parola d’ordine, in questo nuovo scenario. Uno scenario che chiama innanzitutto in causa la formazione, vero e propria architrave di un modello in cui le transizioni da una professione all’altra saranno il new normal e in cui l’apprendimento e l’attitudine al medesimo rivestiranno un’importanza fondamentale nel determinare chi sopravvivrà a questo nuovo ambiente competitivo e chi invece no.

Niente di nuovo sotto il sole, intendiamoci. A servire, sempre di più, sono sempre le competenze cognitive, sia hard che soft. Secondo Ocse, a essere inutili, obsolete ed estremamente contendibili da parte di un robot sono invece le competenze fisiche e routinarie: la capacità di saper scrivere o parlare in pubblico, così come l’originalità e la comprensione di un problema. Allo stesso modo, nelle top ten skills del Wolrld Economic Forum c’è la capacità di coordinarsi con gli altri, di gestire le persone, di avere un pensiero critico, nonché la capacità di negoziare e la creatività: se ci pensate bene, sono tutte cose che un computer o un robot non riescono a fare, almeno per ora.

È ora che sappiamo quel che serve che arriva il difficile, tuttavia. Come fare a far sì che chi ha competenze tecniche e specifiche non venga sostituito alla velocità della luce, prima che impari a fare altro? E come risolvere il grande paradosso della formazione, quello che dimostra statistiche alla mano che si forma di più chi ha meno bisogno di formazione? E ancora: come orientare il sistema della formazione verso le competenze che servono al mercato del lavoro? Domande da un milione di dollari? Sì, ma la cui risposta vale molto, molto di più. E forse, faremmo bene a cominciare a cercarla.

Di |2024-07-15T10:04:45+01:00Novembre 27th, 2017|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti