La crisi dei microchip e le ripercussioni mondiali, dalle auto ai videogame
La casa automobilistica tedesca Daimler ha ridotto le ore di lavoro per i propri dipendenti. Lo stesso ha fatto Audi. La General Motors ha dovuto chiudere una delle sue fabbriche. Così come Ford e Jaguar Land Rover. E pure Fca a Melfi ha fermato la produzione per una settimana.
Stavolta, però, non è colpa della crisi Covid. O almeno non solo. La ragione è la carenza mondiale di microchip, che sta agitando diversi settori in tutto il mondo, dalle auto agli elettrodomestici, dai computer agli smartphone. Il motivo è che la produzione globale dei semiconduttori non riesce a stare al passo con la richiesta.
Le ragioni della crisi
I semiconduttori sono componenti che non solo consentono il funzionamento di computer, smartphone e dispositivi digitali, ma che sono ormai indispensabili anche per il funzionamento di moltissimi elettrodomestici e dispositivi medici. Ma anche di molte automobili.
La carenza è cominciata a dicembre 2020. La pandemia ha provocato un rallentamento della produzione, perché radunare tutti i componenti necessari e lavorarli è diventato più complicato, con la logistica della catena di produzione messa sotto pressione, a partire dai trasporti, che hanno visto tariffe anche triplicate a causa del Covid. Ma nello stesso periodo, con il lockdown, è esplosa la domanda di apparecchi elettronici, e dunque di microchip. E le consegne si sono concentrate sull’industria informatica, a scapito però di quella automobilistica.
Poi va considerata la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, che ha portato Pechino ad accaparrarsi quanti più microchip possibili prima di finire vittima delle sanzioni. A questo si sono aggiunti l’incendio che a ottobre 2020 ha distrutto una fabbrica in Giappone e la tempesta di neve che ha colpito il Texas, bloccando per diverse settimane due stabilimenti.
La pandemia ha provocato un rallentamento della produzione, perché radunare tutti i componenti necessari e lavorarli è diventato più complicato
I settori
Secondo il New York Times, in realtà, sul fronte dei prodotti di consumo come smartphone e laptop le carenze stanno già venendo risolte, mentre sono soprattutto settori come quello delle consolle per videogiochi, che utilizzano microprocessori molto recenti e sofisticati, a scarseggiare.
Nel settore automobilistico, invece, la situazione è molto diversa. Le aziende, infatti, quando hanno compreso la reale portata della pandemia, hanno iniziato a tagliare i piani di produzione e i loro approvvigionamenti di processori. Questo ha portato i produttori di automobili, nel momento in cui il loro mercato ha ripreso a lavorare, a ritrovarsi privi di materiali. Risultato: molte aziende, da Ford a Toyota, Volkswagen, Nissan e Fca, hanno annunciato tagli di produzione.
Secondo Deloitte, la crisi dei chip potrebbe avere un impatto di 52 miliardi di dollari solo sul settore automobilistico.
Secondo Deloitte, la crisi dei chip potrebbe avere un impatto di 52 miliardi di dollari sul settore automobilistico
Fotografia del mercato
Quanto durerà la crisi? Il CEO di Intel, che ha annunciato 20 miliardi di investimenti per la costruzione di nuove fabbriche, ha detto però che la carenza potrebbe durare altri due anni. Per creare da zero un nuovo stabilimento ci vuole tempo. E il forte accentramento della produzione, sbilanciato sull’Asia, con due sole fabbriche al mondo in grado di produrre i microchip più sofisticati – la Tsmc a Taiwan e Samsung in Corea del Sud – non aiuta. Corea del Sud e Taiwan da sole valgono l’83% della produzione globale.
Intanto è scattata la guerra per accaparrarsi i pochi semiconduttori sul mercato. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha promesso un investimento di 50 miliardi di dollari per rafforzare la capacità produttiva negli Stati Uniti e ha firmato un executive order che impone al governo di analizzare e approfondire le catene di produzione di alcuni settori strategici, fra cui quello dei microchip, per ridurre la dipendenza degli Usa dall’estero.
L’Europa sta provando a incoraggiare investimenti maggiori in Asia, in particolare a Taiwan, per rispondere alla crisi. Ma anche Bruxelles prova a liberarsi dalla dipendenza eccessiva da Asia e Stati Uniti: il piano della Commissione Ue “2030 Digital Compass”, presentato a marzo, fra gli obiettivi pone anche il raggiungimento di una quota del 20% della produzione mondiale di semiconduttori innovativi e sostenibili, in particolare processori.
E anche nel Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano, si parla di uno «stanziamento di 750 milioni di euro di contributi a sostegno di progetti industriali ad alto contenuto tecnologico, tra i quali ricade la produzione di semiconduttori».