Data Analyst, la professione più richiesta dei prossimi anni


Entro il 2020, secondo le previsioni del World Economic Forum, la professione del data analyst sarà la più ricercata dalle aziende di tutto il mondo. Il Linkedin Workforce Report sostiene che la richiesta di queste figure negli Usa è cresciuta sei volte in più rispetto a cinque anni fa e continuerà a essere al primo posto dei lavori più richiesti nei prossimi cinque anni. Lo confermano anche i dati di IBM: la domanda annuale di data scientist, data developer e data engineer porterà a 700mila nuove assunzioni entro il 2020.

Secondo un’analisi della Tag Innovation School (che ha creato a sua volta un Master in business data analysis), su un campione di 550 piccole e medie imprese italiane, il 50% delle pmi dichiara di voler assumere un esperto di analisi dei dati entro i prossimi tre anni. E anche i guadagni non sono niente male. Lo stipendio medio annuo di un data analyst è tra i più alti in assoluto, con cifre che vanno dai 30mila ai 50mila euro per una figura junior, arrivando fino a 99mila per un senior. E molte sono donne, che in questo campo raggiungono quasi la parità con i colleghi maschi: 41% contro 59%.

Le motivazioni sono piuttosto semplici, in realtà: smartphone, email, carte fedeltà, abbonamenti ai mezzi pubblici, social network, ricerche su Google: la quantità di dati che generiamo cresce di anno in anno. E insieme a questa enorme mole di informazioni, è nata anche l’esigenza di poterla gestire e analizzare. Ecco perché la figura del data analyst, o data scientist, è ormai una delle professioni più ricercate dalle aziende. Tanto che l’economista Hal Ronald Varian l’ha definito «il lavoro più sexy del ventunesimo secolo».

Non pensate sia un affare per giganti dell'informatica o per startup digitali. Secondo una ricerca di Modis su 347 profili aziendali è una competenza che il 97,44% degli intervistati – dalle aziende meccaniche alle banche – reputano l'analisi dei big data un’opportunità, in particolare – ovviamente – in relazione all'ambito commerciale e di marketing e nell'interpretazione dei dati, più che nell'analisi. Allo stesso modo, tuttavia, il 42% del campione afferma che di tali profili, nel mercato del lavoro, si sente la mancanza. E quasi il 55% in ogni caso, ritiene questi profili difficili da reperire.

Secondo una ricerca Modis, su 347 profili aziendali il 97,44% degli intervistati – dalle aziende meccaniche alle banche – reputa l'analisi dei big data un’opportunità, in particolare relazione all'ambito commerciale e di marketing e nell'interpretazione dei dati.

Ma cosa fa un data analyst? Innanzitutto cerca di capire l’origine dei dati ed eventuali possibili distorsioni, tramite l’uso delle tecnologie. Poi li raccoglie e li analizza per individuare correlazioni e pattern interpretativi allo scopo di trarne informazioni utili in determinati campi. L’applicazione dei Big Data ormai va dalla gestione dei trasporti alla grande distribuzione organizzata, dall’organizzazione del lavoro (workforce analytics) nelle aziende alla sanità, dalle banche alle assicurazioni.

E quali capacità deve avere chi si occupa di raccogliere e interpretare una tale mole di informazioni? Il data analyst è un professionista che ha capacità analitiche, con una propensione per il ragionamento matematico e statistico, e capacità di programmazione. Allo stesso tempo tempo, però, deve avere anche doti comunicative. Perché, alla fine dell’analisi, deve presentare i dati in una forma visiva chiara e comprensibile per tutte le aree aziendali. A questa professione possono avvicinarsi infatti persone provenienti da percorsi formativi diversi: non solo ingegneria gestionale, economia, matematica, statistica e informatica, ma anche persone che hanno effettuato studi umanistici.

In Italia il primo percorso di studi in Data Science è stato creato all’Università Tor Vergata di Roma, seguita poi dalle università di Bologna e Pisa, che hanno attivato due master dedicati al mondo dell’analisi dei dati. Negli ultimi anni sono nati altri corsi anche all’Università Bocconi di Milano, a Siena e a Trieste. Un altro corso molto interessante, infine, è quello organizzato dall'Università Iulm di Milano: Big data, infographics e data visualization. Alla fine, il miglior modo per non farsi trovare impreparati è sempre lo stesso: imparare. Anche perché è lì che quattro imprese su dieci – è sempre la ricerca di Modis a dirlo – andranno a cercare i loro data anaylist di domani.

Di |2024-07-15T10:04:52+01:00Febbraio 21st, 2018|futuro del lavoro, Innovazione, MF|0 Commenti
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