Design Thinking, così le aziende ridisegnano il business per la ripartenza
Anche le imprese italiane cominciano ad utilizzare questo approccio già molto diffuso negli Usa. «Hanno compreso la necessità di mettersi in discussione per superare schemi operativi obsoleti», spiega Stefano Magistretti, Research Platform Development dell’Osservatorio Design Thinking for Business.
Un viaggio lungo 20 anni. È durato tanto il passaggio del design thinking dall’Università di Stanford, negli Stati Uniti, all’Italia, ma finalmente anche le imprese del nostro Paese cominciano ad utilizzarlo. Il passaggio non è certo scontato, visto che il design thinking è molto più del mero utilizzo creativo che suggerisce il suo nome. «Notiamo che si sta diffondendo rapidamente nelle imprese italiane, trovando applicazione in una grande varietà di settori economici e di processi, come l’innovazione dei prodotti e dei servizi, delle esperienze digitali e della trasformazione organizzativa», ha dichiarato Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano, durante la presentazione dei risultati di una ricerca illustrata durante il convegno online “Design Thinking: hate or love it? Matches and mismatches with alternative innovation frameworks” dello scorso aprile.
Per capire il suo attuale utilizzo nel mondo del business è necessario però partire dal principio. «Il design thinking è un approccio, una metodologia che mette al centro l’uomo con i suoi bisogni e le sue necessità. Presente negli Stati Uniti già da molto tempo, la svolta è arrivata con il lavoro di Tim Brown del 2009 “Design Thinking” che ha aperto la strada anche al mondo delle imprese. Se prima era utilizzato solo dalle multinazionali, oggi osserviamo che è utilizzato praticamente da tutti», sostiene Stefano Magistretti, Research Platform Development dell’Osservatorio Design Thinking for Business.
Il processo di design thinking presenta cinque step:
- Empathise, solidarizzare con i propri utenti;
- Define, definire i bisogni dei propri utenti, i loro problemi e le opportunità;
- Ideate, generare idee e soluzioni innovative ponendo in discussione le proprie idee;
- Prototype, dare forma alle proprie idee, realizzando concretamente le soluzioni;
- Test, testare le soluzioni proposte.
La ricerca dell’Osservatorio Design Thinking è stata condotta su 368 manager responsabili di diverse unità di business aziendali e ha evidenziato come il design thinking sia il modello più adottato, poiché viene utilizzato da quasi un terzo del campione (31,2 per cento). Sempre secondo la ricerca i settori più importanti che investono maggiormente in progetti con questo tipo di approccio, coprendo quasi il 75 per cento della spesa totale, sono quello energetico (che investe il 13,0 per cento della spesa); il manifatturiero (12,3 per cento) e finanziario (11,8 per cento). Il 38,6 per cento della spesa riguarda soprattutto progetti per la risoluzione di problemi complessi, mentre il 24,6 per cento è dedicato alla realizzazione e verifica rapida di prodotti e servizi e il 22,6 per cento alle attività pensate per coinvolgere più profondamente i dipendenti nei processi creativi. «Ormai la dinamica del design thinking la si riconosce dappertutto nelle aziende. I manager abituati ad utilizzarlo raramente lo integrano con altri modelli di gestione dell’innovazione, preferendo estenderne l’uso a diverse attività. Chi invece adotta prevalentemente altri approcci all’innovazione è più aperto a combinare gli altri modelli con il design thinking», ha spiegato Dell’Era.
Il design thinking può essere un utile aiuto per le imprese anche in questa fase di ripresa post pandemia. «Le aziende hanno compreso la necessità di mettersi in discussione per superare schemi operativi che oggi risultano obsoleti e soprattutto non efficaci in termini di business. Il segreto per superare questa fase è quello di sviluppare una cultura di apprendimento continuo, sperimentando e lavorando con chi ha competenze e idee nuove. Certamente il periodo non permette molte interazioni, visto che sono limitate e perlopiù virtuali. La pandemia però ha certamente cambiato la visione che le aziende avevano del design thinking: prima lo usavano per i loro prodotti e servizi mentre oggi lo utilizzano soprattutto per riorganizzare i processi lavorativi e tutti i servizi di consulenza correlati», sostiene Magistretti.
In questo senso un grande aiuto lo possono dare le tecnologie digitali. Le tecnologie digitali come i Big Data Analytics, l’Artificial Intelligence e l’Internet of Things, possono trasformare e potenziare il modo in cui il Design Thinking viene applicato nei progetti di consulenza e di innovazione. Mediamente i progetti di Design Thinking utilizzano meno tecnologie digitali rispetto ai progetti basati su altri approcci all’innovazione. «Design Thinking e tecnologie digitali possono beneficiare moltissimo l’uno dalle altre. La trasformazione digitale non è soltanto un fenomeno tecnologico, ma coinvolge l’intera organizzazione aziendale, compreso il design thinking. Allo stesso tempo, questo nuovo modo di approcciarsi può aiutare i manager a comprendere il potenziale degli strumenti digitali e coglierne tutte le potenzialità per coinvolgere sia la forza lavoro che l’utenza», conclude Magistretti.