Di cosa parliamo quando parliamo di intelligenza artificiale
Interagiamo con forme di AI (intelligenza artificiale) ogni giorno: la vocina monotona di Siri che interviene dal nostro i-Phone, le automobili che si guidano da sole, il riconoscimento dei volti degli amici nelle foto di Facebook.
Non esiste una definizione univoca e soddisfacente di AI. Potremmo dire che è la scienza che studia come creare macchine intelligenti, ma sarebbe molto blando, considerando tutte le discipline che questi studi interpellano: dall’informatica pura, alle scienze cognitive, passando per la neurologia.
Il concetto di “automa”, cioè di macchina (o comunque soggetto non umano) in grado di imitare perfettamente il comportamento umano ha radici profonde, che scomodano non solo la scienza, ma la mitologia, l’alchimia e, naturalmente, la fantascienza. Si pensi ad esempio al Goblin del folklore ebraico o alla banda musicale di automi progettata dall’inventore Al-Jazari nel 1200.
Chi mise ordine formalizzando le caratteristiche principali di un’intelligenza artificiale fu però Alan Turing, creatore del famoso test (1950) secondo il quale un’AI può essere definita tale se riesce a convincere il suo interlocutore umano di essere umana a sua volta. (Test superato da un software nel 2014, non senza polemiche).
Al momento il campo di ricerca dell’AI che sta facendo più progressi è il deep learning, la branca cioè che si occupa di insegnare ai computer a imparare. È su questo settore che si stanno concentrando gli investimenti di Apple, Google, Microsoft e altre imprese della Silicon Valley. È il principio usato per i programmi di riconoscimento dei visi ed è raccontato in un video di CGPGrey (ripreso anche dal sito Aeon): «Non dovete pensare a un programmatore che sviluppa bot, dovete pensare a un programmatore che sviluppa un bot che insegna a se stesso a fare cose che il programmatore non sarebbe mai in grado di spiegargli».
Grazie ai progressi nel deep learning possiamo immaginare che a breve i programmi, le app e i motori di ricerca saranno sostituite da un unico assistente personale in grado di catturare informazioni da tutte queste funzioni e sintetizzarle in un ruolo di assistenza sempre più personalizzato in base alle nostre esigenze, preferenze e abitudini. E le prime applicazioni dirette saranno lo shopping e il turismo.
Avete presente tutte quelle storie in cui c’è un uomo con un pentacolo e l’acqua santa? È sempre sicuro di poter controllare il demone, ma non funziona mai. Ecco, con l’intelligenza artificiale noi stiamo evocando un demone.
Ma a proposito di consumi, in che condizioni sarà il nostro potere d’acquisto quando la forza lavoro umana sarà stata definitivamente soppiantata da quella meccanica? Il futuro del lavoro nell’epoca dell’AI divide il mondo degli esperti. Secondo i dati della Bank of America diffusi dal Guardian il 47% dei lavori può essere automatizzato. E se è vero che nell’800 l’energia elettrica ha tolto lavoro agli accendi-lampioni creando però molti più lavoratori specializzati nel settore elettrico, è vero anche che il cambiamento in corso potrebbe rivelarsi molto più radicale.
Ogni tecnologia cancella lavori desueti e li rimpiazza con lavori ad alta qualificazione. Ma cosa accade quando i primi a essere smantellati sono i lavori a qualificazione più bassa e a rimanere disoccupate sono figure professionali che faticano a ricollocarsi, come un camionista o una badante?
Lo riconosce anche Roberto Cingolani, fisico “prestato alla robotica”, direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, uno dei tre centri più importanti al mondo nell’ambito delle intelligenze artificiali. Pur riconoscendo che le rivoluzioni tecnologiche sono sempre critiche per le classi più deboli, mantiene un atteggiamento ottimista e confida nel fatto che, con tutte le difficoltà della questione, saremo in grado di convivere con il cambiamento, dandoci nuove regole e, soprattutto, imparando a essere flessibili e adattabili.
Più scettico è il celebre futurologo Martin Ford, secondo cui l’accelerazione che stiamo vivendo è talmente veloce che il cambiamento arriverà ovunque e tutto assieme, con un impatto gigantesco. E la soluzione tampone sarà per forza il reddito di base, che arriverà però soltanto dopo un momento di forte crisi.
Come al solito il dibattito si divide tra ottimisti e apocalittici. Tra questi ultimi, un sulfureo Elon Musk lancia un paragone da romanzo dell’orrore: «Avete presente tutte quelle storie in cui c’è un uomo con un pentacolo e l’acqua santa? È sempre sicuro di poter controllare il demone, ma non funziona mai. Ecco, con l’intelligenza artificiale noi stiamo evocando un demone».
Tra demoni e automi, c’è sempre chi è in cerca della famosa terza via: JP Gownder, autore del report “The future of jobs: 2025”, è chiaro e pacato: «Non saremo sostituiti dai robot ma dovremo imparare a lavorare al loro fianco». Una pacifica collaborazione, dunque. Facile a dirsi.