Ricette per leader creativi nell’epoca dei robot
Il futuro del lavoro in rapporto all’automazione è un grande dibattito che intreccia le competenze di economisti, futurologici, politici e guru dell’innovazione. Dickson Tang, consulente ed esperto di leadership, si colloca con furbizia tra gli apocalittici e gli integrati. Il suo libro Leadership per il lavoro futuro. Nove modi per avere la meglio sui robot con la creatività umana parte denunciando il pericolo di obsolescenza cui gran parte della forza lavoro “umana” sarà a breve esposta, e offre subito una (troppo?) semplice soluzione: puntare, cioè, su quelle caratteristiche tipicamente umane, dunque insostituibili, e potenziarle. Prima tra tutte: la creatività.
Visto che è ciò di cui Tang si occupa, più che al lavoratore comune, questo libro è destinato a delineare nuove forme di leadership, che a loro volta sono chiamate a formare, guidare e ispirare i dipendenti.
Le abilità umane intangibili e difficili da insegnare, come la creatività, sono le nostre carte vincenti, per l’ovvio motivo che per i robot è difficile apprenderle.
Lo spunto, si diceva, è una constatazione molto semplice: entro il 2020, stando al World Economic Forum, l’automazione potrebbe causare la perdita di circa 7,1 milioni di posti di lavoro. E secondo l’ultimo rapporto McKinsey, circa la metà delle attività lavorative attuali nel mondo saranno automatizzate entro il 2055 – se non forse prima. Da qui la domanda spontanea: come possiamo assicurarci di non essere sostituiti da un robot? E se il futuro del lavoro richiede, come è probabile, un nuovo sistema dirigenziale, quali caratteristiche dovrà avere? La risposta a entrambe le domande è la stessa: la creatività come elemento chiave di differenziazione tra uomo e robot sul posto di lavoro. Perché le abilità umane intangibili e difficili da insegnare, come la creatività, sono le nostre carte vincenti, per l’ovvio motivo che per i robot è difficile apprenderle.
Con il linguaggio fresco e schematico dei libri motivazionali e dei manuali di competenze professionali – questo libro di fatto è entrambe le cose – Tang delinea dunque una serie di caratteristiche che aiutino a sintetizzare e focalizzarsi sulle qualità utili. Mindset (mentalità), infrastruttura e idee sono le macrocategorie: i tre aspetti essenziali della leadership creativa. I consigli e i trucchetti per allenare queste capacità sono altrettanto semplici.
Nel caso della mentalità, si tratta di imparare a pensare diversamente, in modo fluido, esplorando al di fuori della propria zona di comfort per abbracciare l’incertezza e affrontare senza paura concetti ostici come ambiguità e complessità. Oltre che mantenere un atteggiamento aperto (nello specifico “alle 3 c: collaborazione, connettività e curiosità”), che sappia cogliere con efficacia gli spunti che arrivano dall’esterno, anche dai contesti più inusuali.
Per “infrastruttura” si intende un bagaglio di competenze: la propria “cassetta degli attrezzi”, potremmo dire. Ed è necessario svilupparne sia di personali che di condivise, in modo da poter mettere in campo approcci e metodologie di lavoro comuni.
Per quanto riguarda le idee, invece, l’invito è a sviluppare e utilizzare una serie di strumenti del pensiero divergente (per generare idee in modo rapido) e del pensiero convergente (per valutare e implementare le idee altrettanto tempestivamente) e, soprattutto, a considerare la creatività e le idee stesse come vera e propria merce, anzi valuta del futuro.
Ma anche l’approccio di Tang ha un rischio: porre l’accento in modo univoco sulla creatività rischia di sminuire altri fattori, come l’alta specializzazione tecnica.
In sostanza i robot, lo spauracchio usato come spunto di partenza in questo manuale, a ben guardare, sono presenti molto poco. Lo scopo sostanziale del libro è denunciare la necessità di accompagnare la forza lavoro del futuro attraverso un nuovo cambiamento di paradigma, al cui centro bisogna porre una vivacità di pensiero e un’apertura mentale che fino a ora, nella maggior parte delle professioni, sono state ben poco valorizzate. In qualche occasione addirittura ostacolate. E questo perché difficilmente i leader sono in grado di trarre il meglio da questo tipo di competenze un po’ più eterodosse. Per Tang questo deve cambiare, anche perché, come dice lui “solo il paranoico sopravvive” e il rischio concreto è la totale marginalizzazione professionale.
Ma anche l’approccio di Tang ha un rischio: porre l’accento in modo univoco sulla creatività rischia di sminuire altri fattori, come l’alta specializzazione tecnica, che almeno per alcuni di decenni sarà ancora fondamentale e richiestissima, per quanto forse meno catchy.
È poi indispensabile dare il dovuto rilievo alla dimensione collettiva. Per quanto nel libro di Tang il lavoro in team sia affrontato con riguardo, infatti, l’enfasi cade sempre sulle competenze della leadership. Come sostiene Linda Hill, autrice di Collective Genius: «Molti di noi associano l'innovazione a un Einstein che ha un momento “Ah!”. Ma sappiamo tutti che è un mito. L'innovazione non nasce dal genio solitario, ma dal genio». Ed questo aspetto che, anche per quanto riguarda il lavoro di Tang, è importante mettere a fuoco. Per citare di nuovo Hill: il compito dei leader «è creare lo spazio in cui i lampi di genio di ciascuno possano essere prima liberati, poi raccolti e trasformati in opere di genio collettivo».