Digital Revolution: imparare a vivere e lavorare con i robot
Nel racconto fantascientifico di Isaac Asimov del 1974 “Che tu te ne prenda cura” (That Thou Art Mindful of Him), dopo una catastrofe ecologica, l’uomo costruisce dei robot speciali, i George, affinché pieghino nuovamente la natura alle esigenze dell’umanità. Proseguendo con la lettura, però, si scopre che il fine ultimo delle macchine è ben diverso: instaurare una dittatura e dominare il mondo. Alla base del loro piano c’è infatti una reinterpretazione delle famose Tre leggi della robotica, secondo cui esse arrivano a definirsi come l’“essere umano migliore”.
Sebbene nel lavoro di Asimov, salvo qualche eccezione come quella sopracitata, i robot si attengano fedelmente alle Tre Leggi, salvaguardando quindi, anche con il proprio sacrificio, il bene e la sopravvivenza dell’uomo, il tipo di narrazione attorno alla robotica ha assunto nel tempo una connotazione prevalentemente catastrofica, arrivando a prevedere una realtà distopica che ci vede schiavi delle nostre stesse creazioni.
Il tema del rapporto uomo-macchina, tornato centrale dopo la pandemia e la straordinaria accelerazione tecnologica, apre molteplici scenari e piani di discussione, non solo rispetto alle opportunità e, di contro, alle ricadute pratiche sulle nostre vite e sul mondo del lavoro, ma anche in termini di identità e identificazione. Sarà ancora possibile definire dove finisce l’uomo e inizia la macchina? Esiste davvero l’eventualità che domani le tecnologie, si sostituiscano a noi?
È una sfida, questa, tra le più affascinanti e complesse del futuro, oggetto perfetto per un evento come la Milano Phygital Week, che proprio a questo tema ha dedicato, all’interno di PHYD, una tavola rotonda dal titolo “Digital revolution: will technology replace us?”. Ospiti del talk, condotto da Paolo Piva con Matteo Gaboardi, Business developer di Unique, la Tenure Track Researcher dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, Alessandra Sciutti e Luca Torresan, Marketing Manager di McFIT.
La tecnologia come alleato
Alessandra Sciutti e il suo team lavorano da anni con iCub, un robot umanoide, dotato di ben 53 motori e con un elevato senso di propriocezione, la cui estetica ricorda quella di un bambino di circa 3 anni. Il progetto è open-source, sia per il software sia per i componenti hardware, ed è parte di un lavoro più ampio, RobotCub, che vede il coinvolgimento di diverse università europee. Lo studio, incredibile esempio di robotica cognitiva, ha l’ambizioso obiettivo di migliorare l’interazione con l’essere umano attraverso lo sviluppo di modelli comportamentali che possano supportare le persone in vari ambiti e circostanze, come ad esempio quello della disabilità o della malattia o, ancora, quello dell’attività fisica e sportiva.
«Per una macchina è importante essere leggibile, facilmente comprensibile. Deve, dunque, essere intelligente e riuscire a capire come un uomo guarda alle azioni di un altro uomo. Allora, il robot può decidere di muoversi o di muovere il suo sguardo, di comportarsi in un modo che massimizza la comprensione dell’altro. Naturalmente non è facile per la macchina catturare questi segnali, per questo lavoriamo a stretto contatto con i neuroscienziati.»
Per Sciutti un progetto come iCub potrebbe porre le basi per creare tecnologie con una mente antropomorfa, più che con una forma antropomorfa, applicabili in vari settori, dalle telecomunicazioni all’automotive. Già oggi, mediante la costruzione di piccole architetture cognitive e ai principi del machine learning, i robot possono personalizzare alcune delle proprie azioni in relazione al contesto. Attualmente la maggior parte delle tecnologie non è in grado di leggere uno sguardo, di cogliere un’intenzione o uno stato d’animo e di adattarsi di conseguenza. Ma sembra che la strada per arrivarci sia stata già tracciata.
L’obiettivo dei robot è migliorare la nostra esistenza e le nostre interazioni. Potrebbero anche essere un’interfaccia facilitante per tutta questa tecnologia che ci circonda, anche nella quotidianità.
Alessandra Sciutti, Tenure Track Researcher – Istituto Italiano di Tecnologia di Genova
Anche Luca Torresan vede la tecnologia come un supporto. Ne è prova l’app della McFIT, Cyberobics, dedicata al workout virtuale. Migliaia di ore di corsi preregistrati con trainer professionisti, visibili su smart tv, pc e dispositivi mobili, che durante i lunghissimi mesi di pandemia, sono stati scaricati da più di 300 mila persone e resi accessibili a tutti gratuitamente. «In futuro, l’approccio alla tecnologia non sarà a sostituzione delle lezioni in presenza, ma sarà di aiuto ai trainer nella personalizzazione del rapporto con l’utente.»
Un modo differente di interagire
La paura più grande, quando si parla di robotica e di intelligenza artificiale, è che le macchine diventino troppo simili all’uomo e che la loro pervasività crescente sottragga sempre più occasioni di confronto e condivisioni di esperienze. Ma è davvero così?
Per Torresan, ad esempio, i corsi virtuali limitano in qualche modo le interazioni tipiche di uno spazio fisico, ma al tempo stesso ne creano di nuove. «Un nostro corso fa allenare circa 3 mila persone che poi si ritrovano in una community online, sui social, a interagire, scambiarsi opinioni e spesso a organizzare incontri in presenza.» Più che agire per sottrazione, dunque, la tecnologia aggiunge o, meglio, rafforza il senso di appartenenza e il bisogno, atavico nell’uomo, di socializzare.
Anche Sciutti è dello stesso avviso, «l’obiettivo dei robot è migliorare la nostra esistenza e le nostre interazioni. Potrebbero anche essere un’interfaccia facilitante per tutta questa tecnologia che ci circonda, anche nella quotidianità.»
Io, robot. Cosa riserva il futuro
Se guardiamo al contesto industriale, ai suoi processi, la trasformazione di cui si parla è già iniziata: la maggior parte delle riconversioni, infatti, è stata possibile proprio grazie all’implementazione delle tecnologie. Oggi, però, l’aspetto più interessante riguarda il cambio di paradigma. La ricerca sulla robotica, infatti, non è più finalizzata alla produzione in serie e di massa, ma alla personalizzazione. Dice Sciutti: «Oggi serve la capacità di imparare velocemente cose nuove, di adattarsi. Per questo, l’interesse della ricerca, ai fini dell’efficienza e del bene sociale, è mirata alla collaborazione. In questo senso, vedo un futuro molto meno negativo.»
Perché il domani non finisca per assomigliare a un racconto di fantascienza o a un disaster movie, al progresso tecnologico deve seguire sempre un avanzamento di tipo etico. «Più del cosa e alla stregua del come, chiediamoci perché. Perché facciamo qualcosa, perché utilizziamo quella tecnologia?» chiosa Gaboardo, ricordandoci la lezione più importante del sociologo Neil Postman:
È sbagliato supporre che ogni invenzione tecnologica abbia un effetto a senso unico. Ogni tecnologia è al tempo stesso un danno e una benedizione: non è l’una cosa o l’altra, è l’una e l’altra cosa.
Il senso lo diamo noi, appunto.
Per guardare l’evento, è sufficiente registrarsi al sito di PHYD.