Il digital storytelling arriva anche nel campo sociale
Tits Up! Chi ha visto la serie tv La fantastica signora Maisel (The Marvelous Mrs. Maisel) sa cosa significa: è la frase che la protagonista ripete a se stessa prima di salire sul palco per le sue esibizioni di stand up comedy, e potremmo tradurre l’espressione così: “Petto in fuori!, che è un augurio e un incoraggiamento. Viene da qui il titolo della serie podcast dedicata a raccontare le donne che stanno affrontando il tumore al seno. Un podcast prodotto e realizzato da storielibere.fm insieme a Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro. Un titolo che non potrebbe essere più azzeccato, anche perché a pensarlo è stata una donna – autrice televisiva – che la malattia l’ha vissuta, ovvero «la sua conduttrice Samanta Chiodini, che ha dato vita a questo progetto, partendo della campagna Nastro Rosa, insieme a noi dell’Airc, e alla piattaforma di podcast Storielibere.fm. Sei le puntate che sono state pubblicate lo scorso anno, in cui Samanta dialoga con donne, ma anche uomini, che hanno vissuto – o stanno vivendo – con la malattia. Oppure sono caregiver di persone malate», racconta commossa Nadia Bordoli, responsabile della comunicazione esterna di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, che ricorda Samanta, scomparsa a febbraio di quest’anno.
Quando il mondo interiore della voce incontra il digital storytelling
L’88% delle donne colpite da un tumore al seno è viva 5 anni dopo la diagnosi, «ma nella scelta delle storie della prima stagione abbiamo ritenuto fosse onesto raccontare tutti i tipi storie – spiega Rossana De Michele, CEO e fondatrice di storielibere.fm -. Il progetto è nato dalla volontà di Airc di fare delle chiacchierate informali sul tumore al seno, senza enfatizzazioni. La scintilla è arrivata da Samanta stessa e da una sua amica, quando le ha chiesto di incontrare sua madre che aveva da poco avuto la diagnosi: voleva che Samanta le mostrasse che è possibile continuare a vivere. Grazie al podcast stiamo arrivando a tantissime donne, anche perché il mondo della voce è molto più interiore di quello delle immagini, e permette di aprirsi più facilmente», spiega De Michele. «Insieme a Samanta Chiodini abbiamo voluto creare un programma in cui fosse possibile pronunciare la parola ‘cancro’ e inserirla in un contesto in cui non esiste soltanto la malattia. Perché ogni donna è se stessa, non il suo tumore».
I protagonisti delle sei puntate, voci, esperienze di vita, e molto altro
Tra le storie di Tits Up! c’è Valentina, che ha scoperto di avere un tumore durante la gravidanza (qui la sua storia), Cristina Donadio (la Scianel della serie tv Gomorra) che si è ammalata durante le riprese. «C’è anche Rossana, che ha seguito il protocollo sperimentale della dieta mima-digiuno e ha cambiato completamente il suo rapporto con il corpo, la ballerina Carolyn Smith, il giornalista Alessandro Milan – marito di Wondy (la scrittrice Francesca Del Rosso, deceduta nel 2016) che racconta il tumore dal suo punto di vista di caregiver – e la travel blogger Francesca Barbieri, conosciuta come Fraintesa. Ogni puntata ha proposto uno sguardo, la visione di chi ha vissuto il cancro al seno o ha assistito una persona malata e la vicenda personale viene affiancata da un medico, attraverso le parole di Lucia Del Mastro, oncologa dell’Ospedale San Martino di Genova e ricercatrice Airc», racconta Bordoli.
Dopo un anno dal rilascio, gli episodi hanno raggiunto tra i 1000 e i 5000 download ciascuno, soprattutto da donne tra i 35 e i 45 anni: «Questa forma di storytelling è uno strumento di intervento educativo che ci porta con le nostre storie e competenze laddove con campagne di comunicazione più tradizionali non arrivavamo. Questo podcast è anche una leva fondamentale per generare un cambiamento culturale nel raccontare la malattia, la cura, l’assistenza dei caregiver, la ricerca e la prevenzione di patologie come il cancro al seno», spiega Nadia Bordoli.
L’effetto sociale del digital storytelling
L’anima di ogni podcast è il suo curatore che, secondo la filosofia di Storielibere.it, deve essere coinvolto nelle tematiche che tratta, tematiche che non si esauriscono con l’uscita dell’ultimo episodio, ma «restano nel temo per l’autorevolezza dell’interlocutore che realizza, diventando un vero e proprio servizio pubblico. Dal nostro lato “tecnico” – spiega la fondatrice -, non volevamo parlare più di “guerra contro il tumore al seno”, perché se una donna non sopravvive appare come se fosse sconfitta, come se non avesse lottato abbastanza. Noi abbiamo provato a cambiare il linguaggio, e il podcast è un luogo adatto per esprimere l’impegno delle donne a superare la malattia, sia per prevenirla che nel curare il tumore al seno. Un impegno che ci siamo sentiti di continuare realizzando una nuova stagione di Tits Up! da 4-6 episodi, in memoria di Samanta Chiodini a cui sarà dedicata una puntata, curata da Cecilia Belluzzo, che la affiancava come curatrice della prima stagione».
Le voci delle persone sono come nude davanti al microfono. Nel podcast, intenso come forma di comunicazione e divulgazione, non ci sono paletti: al centro c’è l’ascolto. E questa, secondo De Michele, è la forma narrativa che più si presta a raccontare storie intime, ma anche storie dal mondo del sociale a tuttotondo: «Noi produciamo Tits Up! sostanzialmente “pro bono” – aggiunge -, perché crediamo nel valore di questo podcast e nella potenza di raccontare in voce le vicende umane, ma anche le ultime frontiere della ricerca e della prevenzione con gli esperti di Airc. Questo podcast è una grande radice sociale e chi lo ascolta, che sia affetto dalla malattia, che conosca una persona in quella condizione oppure fortunatamente non abbia niente a che fare con il cancro, ha accesso a tanti punti di vista sul tema».
Stimolo, risposta?
Attraverso questo podcast l’”azione comunicativa” di Airc, e di quelli che sono i suoi percorsi in ambito sociale, non sono più distinti dall’azione sociale stessa della nostra realtà: «Mi spiego – approfondisce Nadia Bordoli -: le forme di comunicazione digitali raggiungono un pubblico molto ampio e restano nel tempo disponibili, come le puntate di Tits Up!. Abbiamo creato per questa esperienza anche una comunicazione sui social ad hoc e un sito dedicato. Abbiamo aggiunto un tassello alla nostra divulgazione e all’azione sociale che ne deriva, grazie ad un partner perfetto come Storielibere.fm». Ad oggi per il Terzo settore non esistono bandi che aiutino a finanziare e sostenere questo tipo specifico di comunicazione, «che nasce, almeno nel nostro caso e come capitato per Tits Up!, in modo folgorante», conclude Bordoli. L’obiettivo – indiretto, ma concreto – di Airc e storieliber.fm è quello di stimolare racconti del genere anche in altre realtà sociali.
Voce, ma anche immagini
Intanto qualcosa si sta muovendo nel campo del Digital Storytelling nel Terzo settore, perché si sta intuendo il fascino di come possa trasmettere storie e racconti. Tra le modalità che si stanno affermando in campo sociale – oltre a quella in voce scelta da Airc – c’è il video. I cortometraggi possono vivere sui social, come è successo a “Questo è lavoro”, del 2017, diretto da Federico Caponera, firmato Save the Cut e prodotto dal Consorzio Parsifal. Il progetto è nato dall’idea di raccontare una storia capace di veicolare i valori della cooperazione sociale, oggi talvolta messi in discussione. «L’obiettivo non è quello di promuovere questo o quel servizio, questa o quella cooperativa, ma di richiamare l’attenzione collettiva sui principi che sono alla base della cooperazione: la legalità, la lotta alle mafie, la capacità di riabilitarsi attraverso il lavoro, la dignità dell’essere più fragile, la ricchezza di dedicarsi agli altri», spiegano dal Consorzio. Un altro esempio è il Festival Internazionale del Cinema Nuovo, un vero e proprio concorso per cortometraggi interpretati da persone con disabilità – che prendono vita dentro moltissime cooperative sociali e associazioni sparse in tutta Italia -, diventato oggi un punto di riferimento seguitissimo nel panorama delle attività cinematografiche per persone con disabilità. Deve la sua unicità alla partecipazione attiva di operatori e utenti di comunità, centri diurni o residenziali e associazioni di volontariato, veri protagonisti nelle diverse fasi di realizzazione dei cortometraggi.