Occupazione femminile? Cresce grazie… Agli asili nido
Più asili nido e più posti nelle scuole materne favoriscono l'occupazione femminile. La conferma viene dai dati di una ricerca della Fondazione Openpolis, realizzata con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile.
«Asili nido e partecipazione delle donne al mondo del lavoro sono temi strettamente legati. Aumentare l’occupazione femminile era l’intento esplicito degli obiettivi di Barcellona, stabiliti dall’Ue per ampliare l’offerta di servizi prima infanzia», scrivono i ricercatori.
Non è un caso che nelle conclusioni della relazione del presidente del Consiglio europeo di Barcellona nel 2002 si legga che «gli Stati membri dovrebbero rimuovere i disincentivi alla partecipazione femminile alla forza lavoro e sforzarsi (…) per fornire, entro il 2010, un’assistenza all’infanzia per almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico e per almeno il 33% dei bambini di età inferiore ai 3 anni».
Gli asili nido hanno una funzione sociale molto importante. Offrire questi servizi a un prezzo accessibile è un incentivo all’occupazione femminile, e quindi alla parità di genere nonché a una migliore condizione economica del nucleo familiare. In particolare in Italia, dove l’occupazione femminile è rimasta tradizionalmente indietro.
Un divario che riguarda la parità di genere
L’Italia è uno dei Paesi europei con i livelli più bassi di occupazione femminile. Rispetto a una media Ue di 66,5 occupate ogni 100 donne tra 20 e 64 anni, il nostro Paese si trova al penultimo posto con il 52,5%, appena sopra la Grecia (48%).
L’Italia è anche il secondo Paese con il più ampio divario occupazionale uomo-donna: 19,8 punti di differenza rispetto a una media Ue di 11,5. Per fare un esempio, nei paesi scandinavi e del nord Europa le differenze sono molto più contenute: 1 punto in Lituania, 3,5 in Finlandia, 4 in Svezia.
Il gap occupazionale aumenta se si confrontano i soli uomini e donne con figli. Rispetto a una media europea di 18,8 punti percentuali di distanza tra padri e madri occupate, l’Italia si trova al di sopra di quasi 10 punti (28,1). Un dato in linea con quello della Grecia e molto distante dagli 8,3 punti di differenza della Svezia.
In Italia quasi 30 punti di divario occupazionale tra padri e madri
[legacy-picture caption=”Divario occupazionale nella fascia di età 20-49 anni tra gli uomini e le donne con almeno un figlio (2017) Foto” image=”c51c6eeb-f5c5-44a3-bf61-794057dbf76a” align=””]La bassa occupazione per le donne con figli
Lo squilibrio è ancora più significativo se si confrontano le occupate rispetto al numero di figli. Nel nostro paese le donne tra 20 e 49 anni senza figli lavorano nel 62,4% dei casi, contro una media europea del 77,2%. Tra le donne con un figlio, le italiane lavorano nel 57,8% dei casi, contro l'80,2% nel Regno Unito, il 78,3% in Germania, il 74,6% in Francia.
In Italia le donne con figli sono meno occupate
[legacy-picture caption=”Tasso di occupazione delle donne tra 20 e 49 anni per numero di figli” image=”7e408f41-05d7-4dc8-ac63-505f9232ac2f” align=””]La cosa interessante da notare è che nei maggiori paesi Ue le donne con due figli partecipano al mercato del lavoro in misura maggiore delle italiane senza figli. Una distanza che è nell'ordine di 12 punti se confrontata con Regno Unito e Germania, e di quasi 16 rispetto alla Francia.
E anche osservando l'occupazione delle donne con 3 o più figli nei maggiori paesi europei, la quota non è così dissimile da quella delle donne con un solo figlio in Italia. Nel caso della Francia è addirittura superiore: 59,1% delle donne con tre o più figli in questo paese contro il 57,8% delle donne con un figlio in Italia.
I territori con più nidi sono spesso quelli dove più donne lavorano (e viceversa)
L'esistenza di una relazione tra partecipazione delle donne al mercato del lavoro e estensione dei servizi per la prima infanzia lo possiamo vedere attraverso i dati territoriali. Nelle 4 regioni dove la presenza di asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia supera il 33%, il tasso di occupazione femminile supera il 60%.
La relazione tra occupazione femminile e posti nido
[legacy-picture caption=”Confronto tra il tasso di occupazione femminile (25-34 anni) e la presenza di servizi prima infanzia nelle regioni italiane (2016)” image=”4dd38532-03af-4788-a449-b7b35118d4cb” align=””]Parallelamente, le regioni con meno occupate coincidono con quelle dove i servizi per la prima infanzia sono meno sviluppati: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. E scendendo a livello locale, nelle province, si nota una sovrapposizione tra le aree del paese dove meno donne partecipano al mercato del lavoro e quelle dove ci sono meno asili.
Nelle province del centro-nord più giovani donne occupate
[legacy-picture caption=”Tasso di occupazione delle donne tra 25 e 34 anni nelle province (2016)” image=”b3f461ce-10b4-4be3-82fd-7d98bf9e2e80″ align=””]Ovviamente la relazione può essere letta in entrambi i sensi. Da un lato, le aree del paese con più donne occupate sono anche quelle dove la domanda di posti in asilo nido è più forte. Dall'altro, gravi carenze – se non addirittura assenze – del servizio asilo nido in certi territori non costituiscono sicuramente un incentivo al lavoro femminile. E proprio per questo le conclusioni del consiglio europeo di Barcellona, già nel 2002, insistevano sul potenziamento dei servizi prima infanzia come strumento per aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Più asili nido nelle province del centro, a Trento e Aosta
[legacy-picture caption=”Percentuale di posti disponibili in asilo nido e servizi integrativi rispetto ai residenti 0-2, per provincia (2016)” image=”d61180b5-4167-4897-906c-6508ad3fd7cb” align=””]Intervenire in questi territori può quindi essere un investimento in termini di parità di genere e di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ma oltretutto significa anche fare un investimento in termini di capitale umano dei bambini. Perché l'asilo nido svolge una funzione educativa fondamentale, ancora più importante per ridurre i divari nelle aree del paese che presentano le maggiori criticità.