La rivoluzione della doppia laurea per favorire la contaminazione delle discipline
Di generazione in generazione, le crescenti complessità e sfide poste da un mondo sempre più interconnesso hanno richiesto competenze diversificate. Le discipline si contaminano tra di loro. I profili professionali cambiano e si trasformano in un processo di continuo aggiornamento. Da qui l’idea della doppia laurea.
In Italia, grazie alla Legge 33 del 12 aprile 2022, è finalmente possibile iscriversi contemporaneamente a due corsi di studio universitari. La norma ha abrogato un divieto risalente al 1933, con un lungo percorso legislativo iniziato nel 2020.
A partire dal 2023, perciò, è consentita l’iscrizione contemporanea a due corsi appartenenti a classi diverse, siano essi triennali, magistrali o a ciclo unico, potendo abbinarli anche a master, dottorati di ricerca e specializzazione (a eccezione di quella medica). Una rivoluzione dell’istruzione, che porta con sé grandi opportunità ma anche importanti questioni di adeguatezza strutturale dell’intero sistema italiano. Ne parliamo con il relatore della Legge alla Camera dei deputati Alessandro Fusacchia, già capo di gabinetto al MIUR nel governo Renzi, oggi non più in Parlamento.
Fusacchia, da quale esigenza nasce la Legge? E quali obiettivi ha?
Nel mondo odierno è la frontiera tra saperi diversi a far nascere le cose più interessanti. Succede nel mondo del lavoro, delle nuove imprese ma anche nella cittadinanza: serve avere sempre più strumenti, conoscenze, competenze che rimescolano saperi diversi. Il divieto di iscriversi a due corsi di laurea persisteva da ottantanove anni e costituiva un limite ingiustificato. Oggi, le persone che vogliono posizionarsi sulla frontiera della contemporaneità possono costruire percorsi che fondono conoscenze anche molto distanti tra loro, come l’archeologia e, ad esempio, la sicurezza informatica. Un avvocato che vuole occuparsi del diritto alla difesa della privacy, o di algoritmi e intelligenza artificiale, è difficile che possa farlo approfonditamente con un solo corso di laurea. L’idea alla base della Legge era consentire a ragazze e ragazzi di crearsi percorsi più unici. Lo richiede non solo il mondo del lavoro, ma il mondo stesso, e abbiamo cercato di rimuovere gli ostacoli.
Cosa dovrebbe spingere un giovane a investire così tante risorse, così tanto tempo per una doppia laurea, considerando le criticità di accesso al mercato del lavoro, soprattutto in Italia?
Innanzitutto, molti mestieri oggi si trovano sul confine tra saperi tradizionalmente distanti, e occorre acquisire competenze che creino profili utili e rendano appetibili figure che, ad esempio, intrecciano una scelta di scienza “sociale” e un’altra di scienza “dura”.
C’è un vantaggio competitivo, quindi.
Sì, ma anche un vantaggio culturale. Se accettiamo che oggi non c’è più la sicurezza del posto fisso, e se è vero che la formazione dura lungo tutto l’arco della vita, allora occorre anche riformare l’orientamento, che non funziona più soltanto in quarta o quinta superiore. Bisogna ri-orientare gli strumenti culturali partendo dal fatto che una persona che ha studiato cose molto distanti tra loro vede connessioni tra cose distanti, non guarda con i paraocchi. Sono strumenti che permettono di leggere il mondo del lavoro e delle opportunità in maniera completamente diversa.
Come si può evitare che di ciò possa beneficiare solo chi dispone di maggiori risorse?
La Legge prevede che, se alla prima iscrizione si rientra nella soglia Isee per un esonero totale o parziale dal pagamento delle tasse universitarie, questo possa essere trasportato sulla seconda iscrizione. È sufficiente? No, ma l’obiettivo della Legge non era riformare il sistema del diritto allo studio in Italia. Noi abbiamo dato un segnale chiaro perché ciò non amplifichi le disuguaglianze. I costi sicuramente possono aumentare, per tanti può diventare proibitivo, ed è lì che occorre intervenire, sul ceto medio che non esiste più, che fa fatica, e sui giovani che devono lavorare per pagarsela, la doppia laurea. Ma qui parliamo della riforma di un Paese intero. L’idea della norma era evidenziare le sfide della contemporaneità, come ad esempio la transizione ecologica, che vanno intercettate con una preparazione adeguata.
Il sistema universitario è pronto?
In generale, lo è raramente. Io stesso sono stato sommerso di chiamate e messaggi da ragazzi e ragazze che mi raccontavano le problematiche incontrate in ateneo al momento della richiesta di seconda iscrizione: chi diceva che non era vero che fosse legge, chi sosteneva non ci fosse il decreto attuativo, chi attendeva indicazioni o spiegava che sì, era possibile, ma doveva ancora essere adeguato il sistema informatico. Questo anche in università con rettori e rettrici favorevoli alla Legge. Culturalmente, però, il sistema era pronto: se non lo fosse stato, difficilmente la Legge sarebbe stata approvata con così largo consenso. Io ho presentato la proposta di legge ai rettori e alle rettrici ancora prima che venisse approvata, qualcosa che, a mia memoria, non si era mai fatto: c’era un sentire comune che agire in questo senso potesse essere importante, al netto delle esistenti problematiche strutturali. Pensiamo a un futuro in cui due università, specializzate rispettivamente in ambiti completamente diversi, diano vita in maniera congiunta a percorsi di doppia laurea, incoraggiando l’iscrizione e spiegando che è proprio la combinazione di quei due saperi a fornire un plus. Certo, non può accadere su tutto, anche perché le combinazioni possibili sono pressoché infinite. Le resistenze, insomma, esistevano, ma non sono state abbastanza forti da impedire questa Legge. C’è da dire che ci abbiamo comunque messo novant’anni.
Come mai è stato così difficile? Perché ci si è arrivati solo ora?
La legge sulla doppia laurea è stata cucita su misura. Mi viene da definirla “sartoriale”, in quanto si preoccupa di prevedere tutte le combinazioni di corsi possibili, siano essi master, dottorati, lauree magistrali, a numero aperto o a numero chiuso, con frequenza obbligatoria o meno. Io e altri colleghi abbiamo fatto letteralmente il giro di tutti gli atenei d’Italia, compresi i conservatori, incontrando studenti, professori, prorettori, rettrici, genitori, chiunque volesse capire quali fossero le implicazioni della Legge, e quale fosse il cambiamento culturale apportato. Che, a mio avviso, è epocale. Ci si è messo tanto perché, come succede con tutte le norme, c’è stato un momento in cui è maturata una consapevolezza, è cambiata la sensibilità politica ma soprattutto è cambiato il contesto. In dieci anni il mondo della formazione ha visto una rivoluzione, con moltissimi passi in avanti. Il nostro sistema è diventato più permeabile agli input da altri Paesi, tanti giovani si sono accorti di quanto sia diventato facile, anche per chi ha meno possibilità, intraprendere un percorso all’estero. Sapevo che la proposta sarebbe stata apprezzata, ma non mi aspettavo che ci fossero così tante ragazze e ragazzi interessati a questo argomento. Indipendentemente da quanti si sono materialmente iscritti, la tematica è sicuramente sentita in maniera molto forte e vivace.