école de l’Amour, la scuola di Gucci dove si diventa artigiani dell’alta moda


«La formazione è il più potente strumento che abbiamo per valorizzare il nostro capitale umano e il nostro prodotto», ha detto Marco Bizzarri, presidente e ceo di Gucci alla presentazione dell’École de l’Amour. Il progetto, lanciato a dicembre 2018, si pone l’obiettivo di conservare, innovare e tramandare le competenze artigianali e produttive della casa di moda fiorentina nell’orbita del Gruppo Kering.

Inserita all’interno di Gucci ArtLab (un’area di 37mila metri quadri dove 800 dipendenti uniscono lavorazione artigianale e sperimentazione in un ambiente da start-up innovativa), l’É cole de l’Amour offre un piano formativo che si articola in tre corsi diversi. Due di questi, la Scuola dei Mestieri e la Scuola di Fabbrica, sono indirizzati ai giovani neodiplomati o inoccupati fra i 18 e i 26 anni, la manodopera necessaria per dare un futuro a un settore che sconta sempre di più un mancato turnover. «Tra i miei dipendenti, molte sono over 65 che fatico a sostituire con giovani ventenni. Mi fanno una cortesia a rimanere in azienda perché legate ai miei genitori e ai miei nonni che hanno avviato l’attività», ha rivelato Fabio Pietrella, presidente dei Confartigianato Moda e titolare di Musetti Fashion Group. «Ma se cerchiamo le maestranze nei master, nelle accademie, ecc. non ci sarà futuro. Dobbiamo dare forma alla formazione, puntando sulla collaborazione fra scuola, azienda e territorio».

Per questo motivo il corpo docente dell’É cole de l’Amour è formato da artigiani specializzati, manager dell’azienda che dedicano parte del proprio tempo alle lezioni e da colleghi pensionati che tornano per condividere la proprio esperienza professionale. «Il progetto, infatti, è nato in ArtLab, ovvero la perfetta espressione della cultura aziendale che stiamo costruendo e sviluppando: un luogo dove apprendere e sviluppare capacità, un laboratorio di idee, un ambiente dove si lavora con passione, anzi, con amore», ha concluso Bizzarri.

Se cerchiamo le maestranze nei master, nelle accademie, non ci sarà futuro. Dobbiamo dare forma alla formazione

Fabio Pietrella, presidente dei Confartigianato Moda

Le “materie” dei corsi? Processi di progettazione e realizzazione di prodotti di pelletteria nei sei mesi previsti dalla Scuola dei Mestieri; una specializzazione in “operatore di produzione” durante il bimestre della Scuola di Fabbrica. Percorsi che, ad oggi, hanno formato 60 professionisti che andranno a rimpolpare le file dei 205.504 addetti artigiani del settore moda italiano (che in totale, imprenditori compresi, conta 510mila occupati). Uno zoccolo duro di capacità tecniche e manuali che ha contribuito alla crescita del 4,7% della produzione tessile, abbigliamento, pelli e calzature registrata nei primi quattro mesi del 2018 totalizzando un valore aggiunto per addetto che negli ultimi cinque anni è cresciuto del 13,3%. Un’efficienza in formato famigliare: «Quando si entra in aziende piccole si ha una grandissima opportunità di non essere un numero ma di conoscere tutte le funzioni aziendali», ha sottolineato Pietrella. «Per questo ci vogliono menti libere, ancora poco specializzate. A noi non interessa qualcuno che arriva da master in “marketing del filato del colore azzurro”, ma persone brillanti che abbiano un’idea di base di quella che è la loro vocazione e abbiano voglia di mettersi in gioco».

Una richiesta che strumenti come l’alternanza scuola-lavoro ancora faticano a colmare. E Gucci non è il primo marchio a mettersi in prima fila. Fendi, Brunello Cucinelli, Dior e altri marchi di moda hanno da tempo deciso di assumersi la responsabilità di formare i propri futuri dipendenti. A caratterizzare l’École de l’Amour, però, c’è una cornice più ampia: Gucci Equilibrium, un programma e un portale di portata globale dedicato a connettere le persone con il pianeta e quella culture of purpose che ispira l’attività del marchio.

Dobbiamo riportare l’attenzione sulla catena della produzione. Mettere al centro la squadra, non solo il suo capitano. Il buon mediano, l’operatore che conosce il punto, che lavora sulla macchina per sviluppare il prototipo numero zero

Fabio Pietrella, presidente dei Confartigianato Moda

Fra queste: la gestione di una supply chain responsabile, con un occhio di riguardo alla sostenibilità ambientale, un sostegno alla gender equality (il 59% del senior management di Gucci è costituito da donne) e all’inclusione sociale e culturale (in cui spicca il progetto I was a Sariper l’empowerment delle donne di comunità marginalizzate di Mumbai, India). Elementi che, in modo trasversale, finiscono all’interno del prodotto finito e veicolano un senso di appartenenza all’azienda più ampio.

«Organizziamo tantissimi premi e riconoscimenti per giovani designer che, usciti da grandi scuole di moda o simili e in cui hanno investito tantissimo, anche a livello economico famigliare, hanno un’unica prospettiva: quella di disegnare per grandi maison. Questa aspirazione andava bene negli anni Ottanta, adesso il mondo è cambiato: dobbiamo riportare l’attenzione sulla catena della produzione. Mettere al centro la squadra, non solo il suo capitano. Il buon mediano, l’operatore che conosce il punto, che lavora sulla macchina per sviluppare il prototipo numero zero, qualcuno che conosca il colore e il fissaggio sui differenti tessuti, qualcuno che si prenda a cuore il tema della sostenibilità con la ricerca di materiali e fibre: ecco ciò di cui abbiamo bisogno», ha concluso Pietrelli.

Di |2024-07-15T10:05:22+01:00Febbraio 15th, 2019|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti
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