Sheryl Sandberg: la donna che ha conquistato Facebook
Manager miliardaria, guru finanziario ma anche attivista, filantropa e modello di riferimento per milioni di donne. In questi tempi bui per Facebook, accusato nello scandalo Cambridge Analytica di aver violato la privacy dei suoi utenti, Sheryl Sandberg rimane il volto più affidabile del social network americano e quello più amato dalla stampa.
Una laurea in economia e un master entrambi conseguiti ad Harvard con il massimo dei voti, la Sandberg a nemmeno 50 anni ha lavorato nelle principali stanze del potere del mondo, dalla Banca Mondiale dove è stata ricercatrice, alla Casa Bianca come capo-dipartimento del tesoro nell’amministrazione Clinton, fino ai colossi della Silicon Valley, prima come vice-presidente del Global Online Sales and Operation a Google e poi dal 2008 come Chief Operating Officer nel social media creato da Zuckerberg, dove ha letteralmente ribaltato l’azienda.
«Prima che salisse a bordo lei, erano tutti interessati a costruire un bel sito; pensavano che i profitti sarebbero arrivati dopo», ha ricostruito il New Yorker, spiegando che dopo appena qualche mese dal suo ingresso nella società, «la leadership di Facebook aveva accettato di puntare sulla pubblicità con una presenza, inizialmente discreta, delle prime ads».
Il successo è nell’impegno civile
È lei insomma l’anima finanziaria del social network, quella che è riuscita a trasformarlo in una macchina per soldi. Suo anche il modello di business che ha mostrato il fianco a Cambridge Analytica e che oggi è criticato dalla stampa internazionale, eppure, come ha notato il Guardian, lei rimane in silenzio e nulla sembra scalfire la sua reputazione. I suoi profili Facebook e Instagram sembrano un monumento al Keep Calm and Carry On, mantenere la calma e andare avanti: qualche accenno alla testimonianza di Zuckerberg davanti al Congresso per mostrare la propria solidarietà, un paio di post sulle misure che l’azienda prenderà per rendere più sicura la protezione dei dati degli utenti ma poi, soprattutto, come sempre, tanto spazio all’impegno sociale e civile perché, a differenza di tanti top manager e guru della finanza, la Sandberg non scorda mai di mostrarsi attenta al lato umano delle cose, e per molti questo è esattamente il segreto del suo successo.
Per me Facebook è stato un modo per risolvere il problema della vittima invisibile.
«Quando lavoravo alla Banca Mondiale, mi sono occupata della lebbra e della malaria e continuavo a farmi la stessa domanda: perché lasciamo che 2 milioni di persone muoiano ogni anno solo perché non hanno acqua potabile? Perché non hanno nè un volto, nè un nome», ha dichiarato in un’intervista al Guardian. «Per me Facebook è stato un modo per risolvere il problema della vittima invisibile».
Non male come ragione per spiegare la decisione di accettare quel lavoro, anche se la Sandberg ha dichiarato di aver «contrattato di brutto» quando è stato il momento di negoziare il suo contratto.
«L’offerta che mi era stata fatta mi sembrava giusta e io volevo quel lavoro a tutti i costi» ha scritto nel suo libro autobiografico Lean In, «mio marito però continuava a dirmi di contrattare (…) e subito prima di accettare, mio cognato, esasperato dal fatto che fossi così restia a chiedere di più, era scoppiato: “Dannazione, Sheryl! Perché sei disposta a prendere meno di quello che prenderebbe qualsiasi uomo per fare esattamente lo stesso lavoro?” Mio cognato non conosceva i dettagli. Ciò che voleva dire era che nessun uomo con la mia esperienza avrebbe mai preso in considerazione quell’offerta. Così mi diede una ragione per contrattare. Ritornai da Mark e gli dissi che non potevo accettare, facendo però una premessa: “Ovviamente sei consapevole che mi stai assumendo per gestire i tuoi affari, quindi vuoi che io sia brava a negoziare. Questa è l’unica volta che io e te saremo dalle parti opposte del tavolo” (…), così portai avanti la mia contrattazione e ottenni molto di più di ciò che mi era stato offerto all’inizio».
L'aneddoto è diventato un cavallo di battaglia della Sandberg, da anni attivista per i pari diritti, volto e sostenitrice di molte campagne di sensibilizzazione sull’ "Equal Pay", la parità retributiva tra uomini e donne perché, ha spiegato, uno dei motivi per cui le donne guadagnano meno è anche che spesso hanno paura di chiedere.
Se oggi l’aggettivo "femminista" è rientrato nelle agende dei politici più liberal, da Barack Obama a Justine Trudeau, si deve anche a questa signora dai modi composti e i capelli sempre perfetti, molto lontana dal luogo comune delle donne arrabbiate che bruciano reggiseni in strada. «Femminismo significa credere nella parità tra uomini e donne, certo che sono femminista. Femminismo non è una brutta parola», ha dichiarato.
https://www.facebook.com/sheryl/videos/10160139527830177/
La Privacy è sopravvalutata
La contrattazione con Mark Zuckerberg non è l’unico aneddoto condiviso da Sheryl Sandberg, che ha costruito il suo consenso camminando sul filo teso tra trasparenza e privacy, condividendo eventi privati, e riuscendo nell’intento difficilissimo di non risultare mai eccessiva ma solo accessibile, a differenza di Mr. Zuck.
«Avrebbe piacere se rendessimo noto in che hotel ha dormito ieri sera o altre cose della sua vita privata?», ha chiesto un senatore a Mark Zuckerberg durante l’audizione davanti al Congresso americano, per sottolineare la sottile linea rossa tra diritto alla privacy e necessità di condivisione con il prossimo. La risposta del trentenne plurimiliardario è stato un timido e imbarazzato «No». Se infatti anche dopo aver conquistato Wall Street, Zuck non riesce a togliersi l’aura da “geek” sempre un po’ impacciato quando si tratta di parlare in pubblico, nonostante le innumerevoli ore di allenamento con i maggiori esperti al mondo di public speaking, la sua numero due è il suo esatto contraltare. Capace di guadagnarsi l’attenzione di qualsiasi platea, la Sandberg ha fatto proprio della condivisione della sua vita privata il suo marchio distintivo, la carta vincente che l’ha trasformata da manager low-profile, seppur capacissima, a vera e propria icona della Silicon Valley di cui è anche ambasciatrice carismatica.
È del 2010 il famosissimo TED Talk in cui ha portato un altro esempio di vita vissuta, spiegando il motivo dell'esiguo numero di donne ai vertici e raccontando le difficoltà quotidiane nel trovare leadership femminile.
«Qualche anno fa mi trovavo a New York per chiudere un affare. Dopo circa due o tre ore, ho bisogno di una pausa perché dovevo andare in bagno, e tutti si alzano. Il manager che conduce il meeting inizia a sembrare veramente imbarazzato. E realizzo che non sa dove si trovino i bagni delle signore nell'ufficio», ha raccontato. «Per cui inizio a guardarmi attorno alla ricerca di scatoloni da trasloco credendo si fossero appena trasferiti, ma non ne vedo nessuno. E chiedo: " Vi siete appena trasferiti in quest'ufficio?" E lui risponde " No, siamo qua da circa un anno." E gli rispondo, "Mi sta dicendo che sono l'unica donna che è venuta a chiudere un affare in quest'ufficio nell’ultimo anno?" E mi ha guardato, dicendo: "Si. O forse lei é l'unica che ha avuto bisogno di usare i servizi».
Un discorso al TED diventato virale, da cui è nato qualche tempo dopo Lean In, Facciamoci Avanti, il libro autobiografico sulle difficoltà di fare una carriera sfolgorante in un’industria che, per dirla con parole sue, «risponde alle regole delle confraternite maschili americane».
«Mi avevano consigliato di non pubblicarlo, perché la gente avrebbe cominciato a considerarmi come “quella noiosa che si lamenta per i diritti delle donne”. Il rischio era che parlando delle mie difficoltà nella gestione della famiglia e della carriera mi sarei mostrata vulnerabile». Se c’è una cosa che la Sandberg sa fare però, è proprio quella di capire quando è il momento di accettare un consiglio e quando invece bisogna rifiutarlo.
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Lean In diventa un best-seller mondiale, arrivando a rappresentare le preoccupazioni di milioni di donne in tutto il mondo, provocando nel lettore un’immedesimazione immediata e riuscendo a fare dimenticare il gap abissale tra la quotidianità delle lettrici e quella di questa top-manager miliardaria, in grado di permettersi uno stuolo infinito di tate e babysitter.
Il segreto di Sandberg d’altronde è proprio questo: fare apparire la propria quotidianità incredibilmente vicino alla nostra. Celeberrimo il racconto di quando scopre che i suoi due bambini hanno preso i pidocchi. «Li vedevo che si grattavano e si grattavano. Così iniziai a guardarli e, con orrore, capii qual era il problema, che in sé non sarebbe nemmeno stato un problema d’altronde sono bambini. Il punto è che ci trovavamo sul jet privato dell’amministratore delegato di e-bay, ci stavano dando un passaggio per andare a una conferenza. Dover dire a tutti che a bordo c’era un’emergenza pidocchi è stato parecchio imbarazzante».
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Costruire il posto migliore al mondo in cui lavorare
Sheryl Sandberg non è solo amata dagli utenti e dalla stampa, ma è anche l’icona del benessere aziendale. «La nostra è una struttura orizzontale, in cui ognuno ha compiti ben precisi ma tutti ci mettiamo in discussione», ha spiegato. Per questo, nemmeno lei ha un ufficio suo, ma divide un open space con altri colleghi. «Done is better than perfect», ha fatto scrivere a caratteri cubitali su una parete, ovvero «fatto è meglio che perfetto», per far capire che non bisogna aver paura di sbagliare e ricercare la perfezione all'infinito.
Uno stile manageriale, il suo, che predilige la praticità e l’attenzione al lato umano. Tanto che, ad amarla più di tutti sono i dipendenti Facebook. Se l’azienda si è guadagnata nuovamente il titolo di posto migliore in cui lavorare secondo Glassdoor, si deve soprattutto a lei.
Paladina della conciliazione, è stata la Sandberg a promuovere un ambiente in grado di favorire l’equilibrio tra vita privata e lavorativa, offrendo la possibilità dello smart-working, il lavoro da remoto, e ampliando la durata dei permessi di maternità, paternità e per motivi di lutto.
Un tema, quest'ultimo, che Sheryl Sandberg ha affrontato nel suo secondo libro, Option B, sul trauma profondissimo subito da lei e dai figli con la morte improvvisa del marito nel 2015.
Credo che quando accade una tragedia ci si trovi davanti ad una scelta. Ci si può lasciare andare al vuoto. Oppure si può cercare un significato.
Dopo settimane di silenzio dai social, la Sandberg aveva affidato ad un commovente post su Facebook una riflessione: «Credo che quando accade una tragedia ci si trovi davanti ad una scelta. Ci si può lasciare andare al vuoto che ci riempie il cuore, i polmoni e che impedisce di respirare. Oppure si può cercare un significato. Negli ultimi trenta giorni ho passato molti momenti persa in quel vuoto».
Un post che, ha scritto Time Magazine, ha reso la Sandberg ancora più umana, raccogliendo oltre 75mila commenti e spingendola a scrivere un nuovo libro autobografico proprio sull’elaborazione del lutto. Anche in questo caso, pieno di aneddoti che ne mostrano anche il lato più vulnerabile: «Il primo giorno, dopo essere tornata in ufficio mi sono addormentata in riunione», ha raccontato in quello che è diventato instantatemante un best-seller, spiegando che però, anche quella sua esperienza così personale aveva aiutato a rendere Facebook un po’ migliore. «Mi sentivo malissimo, pensavo di non riuscire più a fare il mio lavoro, poi però Mark (Zuckerberg n.d.r.) mi ha detto “veramente sono contento che tu sia tornata, hai sollevato un paio di punti davvero buoni”», una piccola conferma che è servita a darle più sicurezza, ha spiegato. «Tutto quello che è successo mi ha aiutato a cambiare prospettiva. Adesso se qualcuno sta attraversando un periodo personale difficile non alleggerisco più il suo lavoro automaticamente, prima gli chiedo cosa vuole fare, a volte lavorare è la cosa migliore».
Una testimonianza diretta di questa tendenza è quella della dirigente aziendale Caryn Marooney, a cui era stato diagnosticato un tumore poco dopo essere stata nominata capo comunicazione globale, e che ha continuato a mantenere quella posizione, seguendo l’esempio di Sandberg. «La vulnerabilità di Sheryl mi è stata d’ispirazione», ha spiegato Marooney, raccontando di aver condiviso il suo stato di salute coi colleghi. «Parlare dei miei problemi di salute con gli altri, li ha spinti ad aprirsi con me, permettendomi di conoscerli meglio, di fare il mio lavoro in modo migliore e più velocemente. Non bisogna avere paura di essere vulnerabili. Tutti lo siamo. Sheryl mi ha insegnato che la condivisione è preziosa». E la privacy, a volte, è davvero sopravvalutata. Parola di Sheryl Sandberg.