Francesco Costa, il mestiere del giornalista tra social e podcast


Sveglia prima delle 5, un caffè al volo, rassegna stampa, registrazione, montaggio. Alle 8, la puntata di “Morning” è pronta per entrare nelle case degli italiani sulle note dei Rolling Stones. E poi inizia la giornata. Questo è Francesco Costa.

A 38 anni, è vicedirettore del giornale online Il Post, autore del podcast “Morning” e interprete della miniserie “The American Way” su Dazn. Appassionato di cultura e politica statunitense, ha pubblicato per Mondadori “Questa è l’America” nel 2020, “Una storia americana” nel 2021 e “California”, uscito il 13 ottobre 2022. E il suo progetto “Da Costa a Costa”, composto da una newsletter e un podcast sugli Stati Uniti, ha raggiunto ben quattro stagioni grazie alle donazioni di lettori e ascoltatori.

Da quindici anni indaga, approfondisce e racconta la realtà. Perché questo è l’obiettivo del giornalismo. È un obiettivo immutato nel tempo, «non si è modificato in nessun modo dall’800 a oggi», spiega Costa. «Sono cambiate le condizioni in cui fai questo lavoro. Un tempo per avere notizie e informazioni dall’altra parte del mondo dovevi aspettare settimane, oggi è più facile. Negli ultimi anni c’è stata una fortissima accelerazione nella quantità di strumenti utili ai giornalisti per diffondere il risultato del loro lavoro, e quindi non più solo la scrittura, ma anche il resto».

Il giornalismo è mutevole, ha sempre seguito il flusso dei cambiamenti tecnologici in atto. «Quando è stata inventata la stampa a caratteri mobili sono nati i quotidiani moderni, quando è stato inventato Internet, è nata l’informazione online», dice. Ma le regole restano le stesse.

C’è sempre stato chi faceva giornalismo alla radio o in tv, la differenza è che questi strumenti si sono moltiplicati.

Saper gestire differenti media è una caratteristica imprescindibile per fare oggi il giornalista. Spesso si crede che «debbano essere degli smanettoni, dei nerd e non, come una volta, concentrati solo sulla storia. Ma in realtà io non vedo grandi differenze, il giornalismo è sempre stato l’attività di indagine e poi di racconto della realtà, di una città, di una storia. Non è mai stato solo scrivere». La duttilità nel sapersi adattare all’utilizzo di media diversi è una costante alla base di questo lavoro, c’è sempre stato «chi faceva giornalismo alla radio o in tv», la differenza è che «questi strumenti si sono moltiplicati».

Oggi anche sui social si può fare giornalismo. Secondo il 17esimo Rapporto Censis sulla comunicazione, pubblicato nel 2021, il 30,1% della popolazione utilizza Facebook per informarsi e la percentuale tocca il 39,5% nella fascia dei 30-44enni.

«Quando ho iniziato questo mestiere eravamo molto lontani dall’arrivo di Instagram come piattaforma media vera. TikTok non esisteva, YouTube non era ciò che è oggi. Anche il boom delle newsletter e dei podcast è un fatto che si può far risalire agli ultimi 4 o 5 anni», dice. Secondo Francesco Costa, il giornalismo oggi si deve abitare anche i social, coerentemente con l’adozione di un linguaggio appropriato. «Su TikTok ci sono tantissime persone, soprattutto appartenenti a quella fascia d’età che oggi frequenta poco gli altri media: già solo questo è un motivo per cui i giornali e i giornalisti dovrebbero fare il proprio lavoro anche su questa piattaforma» spiega.

Il flusso del cambiamento però deve essere seguito. E i giornali italiani non ne sono sempre stati capaci. Questo, per il giornalismo, potrebbe essere uno dei momenti più floridi della storia perché «i prodotti giornalistici non sono mai stati così tanti e così letti». Ma sono andati in crisi i modelli di business. L’idea di finanziare i contenuti giornalistici con la pubblicità non ha funzionato correttamente, secondo Costa.

La sfida che è richiesta oggi è produrre contenuti di qualità e originalità tali che le persone siano disposte a pagare per riceverli.

Il problema è che l’informazione, negli scorsi vent’anni, è sempre stata praticamente gratuita e, spesso, di bassa qualità. Questi fattori, insieme, hanno portato a una perdita di fiducia: non si crede che valga la pena pagare per l’informazione italiana. «Dopo che per più di vent’anni hai pubblicato qualsiasi forma di spazzatura pur di ottenere clic, poi è difficile per te – stesso giornale che pubblica spazzatura – dire al lettore: “Adesso paghi”. La sfida che è richiesta oggi è produrre contenuti di qualità e originalità tali che le persone siano disposte a pagare per riceverli».

Dagli abbonamenti ai paywall, le possibilità di guadagno di un giornale sono molteplici. Per poter ricostruire quel meccanismo per cui le persone pagano per ciò che leggono, però, la situazione deve cambiare. È necessario ricreare un rapporto di fiducia tra il giornale e il pubblico. Non è semplice e non è immediato, ma non è nemmeno impossibile. «È la storia di tanti giornali del mondo, è la storia de Il Post. Ci sono anche tanti progetti che sono stati finanziati con il crowdfunding. Io mi sono pagato otto viaggi-inchieste in America con i soldi delle donazioni di coloro che erano iscritti a “Da Costa a Costa”».

Per essere un giornalista è necessario essere tante cose e non basta, come prescrive la legge italiana, l’iscrizione all’Ordine. «Un esperto di media americani Jeff Jarvis – giornalista e studioso di comunicazione contemporanea – ha detto “chiunque faccia il giornalista è un giornalista” e per farlo a volte non bisogna nemmeno chiamarsi “giornalista”», dice Costa. Significa essere trasversali, meticolosi, versatili. Significa sviscerare fenomeni e raccontarli, creare un rapporto di fiducia, che non implica il non commettere errori, ma contemplare la messa in discussione e la rettifica, se necessario. Significa creare un rapporto quasi biunivoco tra autore e lettore, instaurando una sorta di fidelizzazione. È possibile. E Francesco Costa ne è la prova.

Di |2024-07-15T10:07:00+01:00Novembre 28th, 2022|futuro del lavoro, Innovazione, MF|0 Commenti
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