Il segreto del fundraiser dell’anno? Non essere geloso dei propri segreti


Il fundraiser dell’anno lavora in un convento di monache di clausura. E la best practice che a suo dire sintetizza meglio cos’è oggi l’innovazione nel fundraising è una cara vecchia cartolina postale inviata dalle vacanze, vergata in bella scrittura calligrafica. Roger Bergonzoli, 47 anni, docente al primo master di Religious Fundraising, è il vincitore dell'Italian Fundraising Award 2017: «è stato in grado di coniugare la tradizione centenaria delle Monache di Clausura del Santuario di Santa Rita da Cascia con le modalità più innovative di raccolta fondi, ponendo al centro le persone e le relazioni rispetto la dimensione economica», dice la motivazione con cui Assif, l'ssociazione dei fundraiser, lo ha premiato. In quattro anni, sotto la sua guida, la Fondazione Santa Rita da Cascia ha triplicato la raccolta del 5 per mille, da 99mila a 300mila euro.

L'innovazione che cos'è?

«Dobbiamo partire da cos’è “innovazione”. La tecnologia non è innovazione, è uno strumento: per anni abbiamo rincorso il digital ora siamo in una fase di hangover digitale, stiamo un po’ smaltendo quella sbornia», afferma Bergonzoli. «L’innovazione è una questione di approccio e di visione, è trovare soluzioni nuove: può utilizzare anche strumenti vecchi ma in modo nuovo, rivitalizzandoli, per questo si può parlare di innovazione anche da un monastero di clausura». Le monache di Cascia sostengono una scuola in Kenya e un centro di accoglienza nelle Filippine, ma soprattutto accanto al Santuario della “santa dell’impossibile” hanno l’Alveare di Santa Rita, nato come orfanotrofio e diventato poi una comunità residenziale per 24 “apette”, frequentato il pomeriggio anche da una trentina di bambini del territorio.

L’innovazione è questione di visione: può utilizzare anche strumenti vecchi ma rivitalizzandoli

Roger Bergonzoli, fundraiser dell’anno 2017

Nell’estate 2014, Bergonzoli pensò di inviare ad alcuni sostenitori una cartolina con i saluti delle ragazze, con un testo calligrafico, personalizzato. «Non c’era un bollettino postale allegato, l’idea non era sollecitare una donazione: il nostro fundraising è completamente orientato alla costruzione di relazione e di valore aggiunto», ricorda Bergonzoli. Quell’estate le monache ricevettero centinaia di cartoline scritte dai sostenitori in vacanza, per ringraziare le ragazze. Dopo quattro mesi l’ufficio fundraising vide l’impatto dirompente di quell’iniziativa: «nel mailing successivo la redemption si alzò del 76%, con un +55% di donazioni sul mailing. Il risultato era stato generato per l’80% da sostenitori a cui avevamo inviato la cartolina».

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Il fundraising oltre il non profit

Il fundraiser è una delle professioni del futuro. Nel 2016 le donazioni fatte dagli italiani hanno sfondato per la prima volta il tetto dei 5 miliardi di euro (dato Giving Italy Report 2017), ma le prospettive sono in crescita: non sono più solo le organizzazioni non profit a richiedere questa figura, ma anche le imprese sociali e le pubbliche amministrazioni. Basti pensare che gli ultimi nati in questo settore sono proprio strumenti a sostegno di soggetti che tradizionalmente non associavamo alla raccolta fondi, come le scuole con lo School Bonus (operativo dal maggio 2016, fra il 2016 e il 2017 è più che quintuplicato) o i teatri e le orchestre con l’Art Bonus (a regime dal 2015, ha già permesso di raccogliere donazioni per oltre 200 milioni di euro). I fundraiser in Italia sono più di 5.500, per il 65% donne, con un’età media di 41 anni: uno su due ha un contratto a tempo indeterminato, l’84% ha una retribuzione fissa e uno su tre guadagna fra i 21mila e i 40mila euro l’anno. Assif ha tracciato cinque profili, dal fundraiser “per caso” al “paladino” della raccolta fondi, passando per i “consulenti” (il 17% dei fundraiser ha partita IVA) che, lavorando per organizzazioni di ogni settore, dimostrano che il fundraising non è settoriale. A tutto questo mondo e chi vi si affaccia, cosa insegna la cartolina di Bergonzoli?

La lezione della cartolina

  • La prima lezione senza dubbio è che «il fronte da presidiare, oggi come in futuro, è il far crescere le relazioni. In questo modo avremo donatori che restano più a lungo al fianco delle nostre organizzazioni. Io penso che il fundraising inizi con la seconda donazione, vuol dire che il legame del sostenitore con noi non è più un’avventura passeggera. Il mio compito è portare le persone tanto vicine da farle sentire parte dell’organizzazione», risponde Bergonzoli. Come fare? «Un buon database è molto utile, noi ora abbiamo 330mila anagrafiche superprofilate. Tutto ciò che accorcia la distanza fra organizzazione e donatore va bene, non è una questione di strumento». La Fondazione Santa Rita da Cascia ad esempio fa anche mailing senza bollettino, ogni mattina manda un sms con gli auguri di buon compleanno e di buon onomastico, ci sono persone dedicate al contatto telefonico con i donatori: «le monache in questo senso hanno molto coraggio, perché la relazione fa parte del loro dna». Collegato a questo c’è una riflessione sulle emozioni: «riempiamo le comunicazioni di numeri e statistiche, ma le persone si ingaggiano con le emozioni».

Riempiamo le comunicazioni di numeri, ma le persone si ingaggiano con le emozioni

Roger Bergonzoli, fundraiser dell’anno 2017
  • Il secondo consiglio, per dirla un po’ all’americana, è far sentire il donatore un eroe: «siamo ancora troppo autoreferenziali, parliamo dell’organizzazione e di quello che noi abbiamo fatto, mentre l’attore protagonista è il donatore. Dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che le persone non donano “all’organizzazione” ma “attraverso l’organizzazione”, per arrivare ad altre persone. Negli States banalmente contano quante volte nelle comunicazioni verso i sostenitori si usa “we” e quante “you”: il messaggio deve essere “abbiamo fatto questo grazie a te”».
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Condividete tutto, perché la condivisione è un acceleratore di crescita incredibile

Roger Bergonzoli, fundraiser dell’anno 2017
  • Terzo consiglio, «ciascuna organizzazione deve avere coscienza di quali strumenti funzionano meglio: questo è fondamentale soprattutto per le piccole organizzazioni, che devono fare scelte di priorità. La carta ad esempio resta fondamentale, vuoi perché il donatore medio ha più di 70 anni, perché è più calda, perché c’è meno congestione… Il digital fundrasing in Italia non arriva all’8%: va fatto senza dubbio, perché il fundraising deve essere multicanale, ma con la consapevolezza del contesto», avverte Bergonzoli.
  • Quarta considerazione, la condivisione, che è «un acceleratore di crescita incredibile». Condividere senza la paura di essere copiati, perché «non siamo competitor, il 60% dei donatori sostiene già almeno due organizzazioni», perché «le cose buone che facciamo prima o poi escono, qualcuno si “ispirerà” ad esse senza però aver compreso i ragionamenti che c’erano a monte», perché «se io condivido tutto, qualcun altro farà lo stesso con me; se condividi solo una parte di informazioni, resti isolato».
  • Infine quinto suggerimento, che li riassume un po’ tutti: «lavorare sull’efficacia e l’efficienza, per migliorarsi ogni giorno. Accontentarsi di essere “la squadra dei buoni” è il peggior freno all’innovazione e alla crescita».
Di |2024-07-15T10:04:59+01:00Aprile 18th, 2018|futuro del lavoro, Human Capital, MF|0 Commenti
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