Geoff Mulgan: l’innovazione sociale? Nasce dalla confusione
Padre nobile dell’innovazione sociale, consulente del governo britannico, profeta del futuro delle politiche pubbliche e professore ad Harvard, ma anche ex impresario culturale, ex monaco buddista ed esperto di felicità. È una vita scandita da scelte anticonformiste e avventurose, quella di Geoff Mulgan, Ceo di Nesta, la fondazione per l’innovazione del Regno Unito, che lui, da maestro della versatilità, ha saputo cucire insieme in modo straordinariamente coerente, trasformando ogni esperienza, anche la più stravagante, in uno strumento chiave per accrescere la sua carriera.
«Ho un background piuttosto confuso che forse mi rende molto adatto a questi tempi confusi», ha spiegato, aprendo il discorso che ha tenuto al TED nel 2009, all’indomani di quella crisi finanziaria che, appena pochi mesi prima, aveva stravolto il mondo. E proprio in quell’occasione, Mulgan, fondatore tra l’altro di Demos, il primo think tank britannico sulle politiche sociali, aveva identificato quel momento di crisi come l’opportunità di cambiare finalmente il paradigma economico, trasformando la società dei consumi in una società capace di rispondere ai bisogni reali delle persone. «La leadership potrebbe essere definita come l'abilità di sfruttare una crisi per ottenere il più grande effetto possibile (…) e se ci pensiamo la Grande Depressione aveva portato negli anni Trenta alla creazione del welfare state», aveva dichiarato. «Credo che oggi si possano vedere attorno a noi i germogli di un tipo di capitalismo e di un'economia diversa che non è centrata sul consumo e sul credito, ma sulle cose che sono importanti per noi. Dovunque si registra una proliferazione delle banche del tempo, di valute complementari, di persone che usano tecnologie intelligenti per connettere le risorse, le persone, le abitazioni, la terra per rispondere ai bisogni reali».
Valutazioni che, lette alla luce dei tempi, nove anni fa, molto prima che l’idea di condivisione diventasse un concetto mainstream, grazie al boom della sharing economy suonano effettivamente profetiche, sottolineando la fortissima capacità di Mulgan di leggere le tendenze e anticipare il futuro.
Ho un background piuttosto confuso che forse mi rende molto adatto a questi tempi confusi.
In effetti, nonostante “il background confuso”, il papà della social innovation made in UK può vantare una parete costellata dagli attestati delle università più prestigiose: una laurea a Oxford, un dottorato in telecomunicazioni alla Westminster University, oltre ad una fellowship al Massacchussets Institute of Technology (MIT).
Il primo lavoro però arriva negli anni ottanta ed è molto lontano dall’eccellenza accademica: diventa autista del furgoncino dei Red Wedge, un collettivo di musicisti e comici sostenitori dei laburisti. Una prima occupazione forse un po’ hippie, sicuramente pittoresca ma da lui definita “molto interessante”, visto che gli permette di entrare con un piede nell’industria culturale e con l’altro in politica, facendo così un primo piccolo passo verso Downing Street, dove per il governo guidato da Tony Blair sarebbe diventato Director of Policy.
«Quella prima occupazione mi ha permesso di mettere in relazione le politiche pubbliche e le industrie artistiche», ha spiegato Mulgan che, da semplice autista, acquisisce un ruolo manageriale per il collettivo, diventando impresario e arrivando ricoprire una posizione chiave nella Londra creativa dei primi anni novanta, trasformandosi in una sorta di ponte tra amministrazione cittadina e mondo culturale. «Ho contribuito a costituire il primo network di città creative, da Helsinki a Barcellona, dando vita ai primi incubatori d’impresa e a fondi ad hoc e di politiche di deduzione fiscale per i distretti artistici». Un’esperienza iniziale che, ha raccontato, gli è tornata utile: «Ad oggi uno dei progetti più interessanti di Nesta è proprio il manifesto per l’economia creativa, che punta all’analisi dei nuovi trend di consumo artistico nell’era digitale».
La crescita non è sinonimo di progresso
E se il lavoro da autista ha inaspettatamente traghettato Mulgan più vicino ai palazzi del potere, non è l’unica esperienza di vita non convenzionale che ha contribuito a rendere il papà dell’innovazione sociale made in UK un vero e proprio guru delle politiche pubbliche riconosciuto a livello globale.
In realtà ciò che lo ha portato ad occuparsi di social innovation è stato proprio l’avvicinamento al Buddismo, ad appena 17 anni. «Sono stato così fortunato da incontrare sulla mia strada Nyanaponika Thera, uno dei principali pensatori buddisti e pupillo di Jung che mi ha ispirato più di qualsiasi altra persona io abbia mai incontrato in vita mia», ha raccontato Mulgan che, proprio con Thera ha studiato in un monastero srilankese. «Non ero tagliato per fare il monaco, né per la vita mistica, ma è stata una fonte di saggezza insostituibile per me. Ho imparato più da lui che da chiunque altro». L’insegnamento principale per Mulgan è stato quello della consapevolezza, aspetto che dovrebbe guidare l’innovazione e le politiche sociali. È proprio la consapevolezza, infatti, la chiave per identificare i bisogni reali delle persone, fondamentale per capire come raggiungere il benessere.
Credo che l’obiettivo dei governi e della politica debba proprio essere la felicità.
«Penso che l’aspetto più importante del progresso non sia l’accumulo di oggetti, tecnologia e sapere, ma che riguardi invece la consapevolezza», ha spiegato. «D’altronde è sempre più chiaro che la crescita economica non si trasforma automaticamente in crescita sociale o umana. Non produce sempre ciò di cui abbiamo bisogno. Non voglio dire che ragionare in termini di crescita sia sbagliato, ma mi colpisce molto il fatto che in questi anni di crescita molte cose non siano migliorate», ha sottolineato, ricordando che, proprio prima del 2008 l’Occidente aveva vissuto il boom più duraturo della storia. «Se ci pensiamo in questi anni i casi di depressione sono aumentati in tutto il mondo occidentale. Negli Stati Uniti il tasso di persone che affermano di sentirsi sole è aumentato da un decimo ad un quarto, così come il nostro stile di vita spesso ci rende meno soddisfatti. Ad esempio è aumentato il tempo che impieghiamo per raggiungere il lavoro ma è stato dimostrato che la lunghezza degli spostamenti quotidiani hanno un effetto molto negativo sulla felicità dei pendolari».
D’altronde, ricorda Mulgan, ragionare in termini di crescita significa spesso tralasciare la misurazione di altri aspetti, come le relazioni, l’empatia, la compassione e, appunto, la felicità, tutti elementi che sono però determinanti nella valutazione della qualità della vita delle persone. «Forse devo questa mia convinzione proprio al buddismo, ma io credo fermamente che l’obiettivo dei governi e della politica debba proprio essere la felicità». Tanto che Mulgan è tra i fondatori, insieme al Dalai Lama di un'altra organizzazione britannica, Action for Happiness, che punta ad educare le persone alla positività, per aiutarle a vivere più felici.
The landscape of innovation approaches: We've mapped various innovation methods from our years of work with innovation experts, lab practitioners & colleagues #psilabs https://t.co/GshevGDFMQ pic.twitter.com/uZwYtE21pP
— Nesta (@nesta_uk) April 10, 2018
Il progresso deve portare felicità, se no non è progresso
È proprio quest’idea che spinge Mulgan ad occuparsi di innovazione sociale. «Avevo iniziato ad interessarmi del rapporto tra politiche pubbliche e felicità all’inizio degli anni novanta, quando conducevo un programma radio per la BBC. Intervistai fior fior di psicologi e analisti, ma quando provavo a coinvolgere i politici nessuno sembrava interessato». Eppure Mulgan non si arrende, è sicuro che sia proprio questo uno dei temi chiave delle politiche pubbliche del futuro. Con Demos, il think tank da lui fondato, inizia ad occuparsi di questo e nei primi anni duemila contribuisce alla ricerca dell’OCSE sullo sviluppo di altri indicatori oltre al PIL. Piano piano, con un lavoro di advocacy e sensibilizzazione, anche la classe politica inizia a capire l’importanza del tema. Nel 2004 quando diventa direttore della Young Foundation, la principale istituzione britannica che unisce impatto sociale e innovazione, Mulgan lancia una sperimentazione per attivare laboratori di resilienza e felicità nelle scuole. «Fino a poco tempo fa si pensava che la felicità dipendesse da cose fuori dal nostro controllo, come lo stato della nostra salute o lo stato delle nostre relazioni. In realtà ci sono aspetti che possono essere insegnati o coltivati», ha spiegato, sottolineando che in realtà un margine di controllo, seppur limitato, può essere esercitato, curando i rapporti con gli altri e conducendo uno stile d vita sano, ad esempio, tutti temi chiave dell’innovazione sociale.
Ciò che bisogna cambiare è l’approccio al problema, per fare questo bisogna sperimentare.
«David Cameron venne a vedere uno dei workshop nelle scuole e decise di inserire proprio la felicità e il benessere delle persone tra gli elementi più importanti del suo governo. È stato un passo importante, un cambiamento di paradigma».
È partendo dal concetto di felicità e soddisfazione che Mulgan ha sviluppato alcuni dei suoi esperimenti di innovazione sociale più interessanti, tra questi le Studio Schools, un nuovo modello di istituti superiori pubblici per ragazzi dai 14 ai 19 anni in connessione con il mondo del lavoro, sviluppata all’interno con la Young Foundation. «La domanda da cui eravamo partiti era: come facciamo a trasformare la scuola in un posto in cui i ragazzi che hanno difficoltà possano andare volentieri?», ha spiegato. «Abbiamo trasformato la scuola in un posto di lavoro, in cui ai ragazzi venivano insegnati mestieri concreti, coinvolgendoli nelle attività delle imprese locali. Il risultato è stato incredibile. Molti di quelli che nel curriculum tradizionale avevano avuto problemi, in questo modello scolastico sono diventati tra gli studenti migliori. È una lezione importante. Significa che, a volte, ciò che bisogna cambiare è l’approccio al problema, per fare questo però bisogna sperimentare».
Ed è proprio la sperimentazione, per Mulgan, un tema fondamentale: «Se già investiamo in ricerca e sviluppo il 4% del nostro PIL, non potremmo investire l'1% della spesa pubblica in innovazione sociale, in assistenza agli anziani, nuovi tipi di educazione, nuovi modi per aiutare i disabili? Forse potremmo ottenere incrementi di produttività sociale simili a quelli ottenuti nell'economia e nella tecnologia». Secondo Mulgan, infatti, è proprio il Terzo settore l’ambito economico del futuro: «Basta pensare al fatto che la sanità sarà che già costituisce il 18% dell'economia Americana, si prevede crescerà del 30-40% entro la metà del secolo. L'assistenza agli anziani e ai bambini impiega già più persone del settore dell’auto. L'educazione rappresenta il 6-8% dell'economia ed è in crescita», ha ricordato. «Per cogliere queste opportunità, però, è necessaria la volontà di cambiare. Ancora troppe persone ad oggi si sentono disconnesse e lasciate indietro, c’è una grande disuguaglianza e troppe risorse vengono investite nelle forze armate e troppo poche nelle soluzioni sociali. Fortunatamente, però, nonostante il clima che spesso sembra distratto e ostile, gli innovatori rimangono degli ottimisti e io, come diceva Martin Luther King, voglio piantare il mio albero di mele oggi, anche se c’è la possibilità che il mondo crolli domani».