Le nuove politiche attive nella Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori
In rete contro la disoccupazione. È questo l’obiettivo della Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, GOL, lo strumento sul quale poggiano le nuove politiche attive del lavoro del governo Draghi, che ha già stabilito la ripartizione della prima tranche di finanziamenti da 800 milioni di euro tra le Regioni.
Al provvedimento verranno destinati 4,4 miliardi del Next Generation Eu, il programma di rilancio europeo post-pandemico, più altri 500 milioni del React Eu. Dopo l’entrata in vigore del decreto, sarà poi compito delle Regioni – che hanno competenza sulle politiche attive – attuare i piani locali del GOL entro 60 giorni, a cui seguirà la valutazione di Anpal (Agenzia nazionale delle politiche attive) entro altri 30 giorni. Entro gennaio, quindi, le Regioni potranno finalmente dare avvio al nuovo programma e ricevere i primi finanziamenti.
I cinque percorsi del programma
La GOL ha uno scopo ambizioso: trovare un miglior equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, favorendo la collocazione e ricollocazione dei lavoratori, oltre che la formazione adeguata alle richieste del mercato.
Gli obiettivi sono quelli concordati con l’Europa: almeno tre milioni di “beneficiari” entro il 2025. Di questi, almeno il 75% devono essere donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30, lavoratori over 55. Almeno 800mila dovranno essere coinvolti in attività di formazione, di cui 300mila per il rafforzamento delle competenze digitali.
Potranno usufruire della GOL i lavoratori in cassa integrazione, i beneficiari di Naspi e Dis-coll, del reddito di cittadinanza, i lavoratori fragili o vulnerabili, i Neet, i disoccupati senza sostegno al reddito, i working poor. L’obiettivo è che i beneficiari di prestazioni di sostegno al reddito accedano ai servizi dei centri per l’impiego (previsti in GOL) entro quattro mesi dall’avvio della prestazione. I percorsi – si spiega – saranno il quanto più possibili “personalizzati”.
In base allo status occupazionale, si prevedono quattro percorsi di sostegno alla ricollocazione, più un quinto nei casi di crisi aziendali.
In base allo status occupazionale, si prevedono quattro percorsi di sostegno alla ricollocazione, più un quinto nei casi di crisi aziendali.
Per coloro che sono più facilmente occupabili, si prevede un percorso denominato di «reinserimento lavorativo»: si tratta infatti di prendere in carico lavoratori per i quali la probabilità di rimanere disoccupati per lungo tempo non è eccessiva e le cui competenze possono essere spendibili sul mercato.
Il secondo percorso è denominato di «aggiornamento» (upskilling), e prevede interventi formativi di breve durata e dal contenuto professionalizzante per il necessario adeguamento delle competenze.
Per altri lavoratori, più distanti dal mercato del lavoro, sarà più opportuno invece attivare un percorso, il terzo previsto da GOL, di «riqualificazione» (reskilling), in cui è necessaria una più robusta attività di formazione per avvicinare la persona in cerca di occupazione ai profili richiesti dal mercato. E nei casi di bisogni complessi, deve essere attivata la rete dei servizi territoriali, come già avviene per il reddito di cittadinanza. Per questo quarto gruppo, si attiva quindi un percorso di «lavoro ed inclusione».
Accanto a questi percorsi, l’ultimo è quello di «ricollocazione collettiva», che riguarderà situazioni in cui appare opportuno valutare i profili di occupabilità non singolarmente, ma per gruppi di lavoratori. Come nel caso di crisi aziendali che coinvolgono lavoratori ancora formalmente occupati, ma potenzialmente in transizione.
La sfida
«La sfida è certamente importante visto che cerca di dare valore alle politiche attive sul lavoro, un particolare su cui in Italia si discute dai tempi della riforma Biagi, cioè da circa vent’anni. Il punto però è che bisogna analizzare anche com’è cambiato il mondo del lavoro oggi», spiega Andrea Garnero, economista dell’Ocse attualmente in anno sabbatico di ricerca.
E il contesto infatti è fortemente mutato: «Da un lato abbiamo disoccupati che spesso sono tali per motivazioni personali o perché demotivati, dall’altro imprese che non usufruiscono dell’aiuto dei centri per l’impiego e magari fanno una selezione del personale in maniera informale. Un esempio sono i negozi che espongono nelle vetrine cartelli che indicano chi vogliono assumere».
Su queste basi, si comprende la scelta del governo di potenziare i centri per l’impiego, che passeranno da uno ogni 100mila abitanti a uno ogni 40 mila, con la contemporanea assunzione di personale addetto, visto che ad oggi sono appena 8mila i dipendenti a cui si aggiungono circa 2.500 navigator. Un numero molto basso, se confrontato per esempio con quello della Germania, dove i centri per l’impiego contano quasi 110 mila assunti.
Gli operatori dei centri per l’impiego «sono evidentemente troppo pochi, se si pensa che ad oggi molti dipendenti svolgono lavoro di ufficio e quindi non seguono direttamente i disoccupati che vengono a chiedere aiuto. Inoltre, spesso non sono nemmeno avvezzi alle nuove tecnologie e questo penalizza il processo di intermediazione», evidenzia Garnero.
Un aggiornamento è perciò necessario, visto che il programma prevede il rafforzamento dei servizi digitali oltre a un Piano Nuove Competenze, che vuole definire i livelli essenziali di formazione professionale da garantire in tutto il Paese. Un problema non da poco, vista la presenza di forti squilibri regionali in materia.
Da un lato abbiamo disoccupati che spesso sono tali per motivazioni personali o perché demotivati, dall’altro imprese che non usufruiscono dell’aiuto dei centri per l’impiego
Andrea Garnero, economista
Le criticità
La materia delle politiche attive e della formazione è di competenza concorrente delle Regioni, con forti differenze tra i territori. «Per questo credo che lo Stato abbia fatto bene a fissare dei paletti per ricevere i soldi, i milestone e target, in modo tale da provare a sviluppare il Piano in maniera uniforme in tutto il Paese, non dimenticando le specificità del territorio ovviamente presenti nei piani regionali», sottolinea Garnero.
Proprio i 20 piani delle Regioni sono uno dei momenti certamente più importanti del programma GOL, dato che la loro approvazione permetterà agli enti locali di ricevere già il 75 per cento delle risorse assegnate, mentre il restante 25 per cento giungerà al momento del rendiconto sull’utilizzo del denaro.
Una questione che lascia certamente aperto più di un dubbio. «A voler provocare, probabilmente, si potrebbe dire che sono anche troppi soldi. In passato spesso si diceva che determinate manovre costavano troppo, adesso il problema non è più il costo, ma le idee. Conta avere un progetto: ancora oggi molti capoluoghi regionali non sanno come aiutare i disoccupati. Per questo serve spendere soldi per migliorare il sistema, ma soprattutto serve farlo bene», evidenzia Garnero.
Conta avere un progetto: ancora oggi molti capoluoghi regionali non sanno come aiutare i disoccupati. Per questo serve spendere soldi per migliorare il sistema, ma soprattutto serve farlo bene
Cosa andrebbe migliorato
I servizi oggi sono estremamente differenti da Nord a Sud, ma anche tra le diverse province nella stessa Regione. «Sarebbe necessario uniformare il sistema e rendere i centri per l’impiego simili agli sportelli di una banca o di una filiale, con gli stessi servizi da Milano a Cosenza e giusto qualche differenza territoriale», sottolinea Garnero.
Ciò che serve oggi al mondo del lavoro è piuttosto chiaro. «È importante fare rete tra i diversi attori. Innanzitutto, serve capire cosa chiede il mercato: per questo vanno rilevati i bisogni delle imprese e magari alle volte anche anticipati. Se c’è bisogno di lavoratori stagionali in estate, ridursi a cercarli a giugno non le aiuta di certo», evidenzia l’economista. E «va ricordato come non ci siano più soltanto i centri per l’impiego: svolgono questo lavoro anche le università, le agenzie interprofessionali e moltissime agenzie private, con lo stesso compito di intermediare tra imprese e lavoratori».
Per questo la ricetta è chiara: «Serve creare una sorta di partenariato tra pubblico e privato. È importante però stimolare anche l’utilizzo dell’intermediazione. Se oggi le imprese non utilizzano i centri per l’impiego un motivo ci sarà, per questo va reso per loro conveniente utilizzarli, magari con qualche forma di incentivo».