Quando la tecnologia diventa alleata del benessere psicologico
La salute mentale è una questione che riguarda tutti i lavoratori, a prescindere dal genere o dall’età. La cura e il supporto sono azioni che oggi, a due anni dallo scoppio della pandemia, sono considerate prioritarie non solo dai dipendenti, ma dalle stesse aziende.
Secondo quanto emerso dalla seconda edizione della ricerca global di The Adecco Group, “Resetting Normal: Defining the New Era of Work 2021”, il 32% delle persone intervistate aveva affermato che, in appena un anno di pandemia, il proprio benessere mentale era peggiorato. Un dato cui fa eco lo studio condotto per Mindwork da BVA Doxa sul benessere dei lavoratori (dirigenti, quadri e impiegati) e che rivela che l’80% dei partecipanti al sondaggio ha provato almeno un sintomo riconducibile alla sindrome da burnout, come sensazione di sfinimento, calo della produttività, cinismo rispetto al lavoro. Non sorprende, dunque, che i lavoratori si aspettino dalla propria azienda una maggiore attenzione al loro benessere e che chi è in cerca di una nuova occupazione scelga ambienti professionali sani, in grado di promuovere la salute mentale e di garantire un’adeguata sicurezza psicologica.
Ora, sebbene sempre più organizzazioni considerino questo aspetto preminente, sono ancora molte a non possedere una strategia a riguardo. A tal proposito il Global Wellbeing Survey 2021 ha rivelato che, mentre l’82% delle imprese intervistate considera fondamentale la tutela della salute mentale e del benessere fisico delle proprie persone, solo il 55% si dice preparata. Un’evidenza, questa, che si riscontra anche nel white paper del Gruppo Adecco: il 51% dei manager, infatti, ammette di riscontrare difficoltà nell’identificare quando il personale è soggetto a lavoro eccessivo o a burnout.
Diventa sempre più urgente, quindi, per ogni tipologia di azienda “stabilire processi, risorse, coaching e strumenti per promuovere l’apertura e per ascoltare le esigenze dei dipendenti al fine di aiutarli a sviluppare resilienza”. È necessario creare ambienti di lavoro flessibili, attenti ai bisogni dei singoli, in cui ci sia spazio per il dialogo e il confronto e in cui tutti si sentano a proprio agio.
La figura dello psicologo dovrebbe avere un ruolo di accompagnamento ai cambiamenti della vita personale, in ogni ambito, dalla scuola alla carriera.
Barbara Bertani, psicologa del lavoro e dell’organizzazione
Ma adottare nuove pratiche organizzative non basta, occorre lavorare su un mindset completamente diverso rispetto al passato e su competenze che supportino in modo proattivo il benessere psicologico degli individui. Le tecnologie, in questo, possono fornire un valido aiuto.
Con queste premesse nasce Mypsy, il progetto vincitore di Hack Your Talent, iniziativa portata da Adecco nelle università italiane che coinvolge studenti e studentesse nell’ideazione di soluzioni innovative per il futuro del lavoro. Mypsy è, come si legge nella presentazione ufficiale, “a new integrated biometric tool for organizational psychologists”, un’app che vuole aiutare tanto i terapeuti quanto i pazienti, partendo dalla raccolta e gestione di dati e informazioni. Davide Castro, studente del Politecnico di Milano, tra i membri del team che lo ha realizzato, lo ha presentato a PHYD in un dialogo – dal titolo “Hack Your Talent: tecnologie per il benessere psicologico” – con la dott.ssa Barbara Bertani, psicologa del lavoro e dell’organizzazione e Consigliera e Coordinatrice della commissione dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia.
Tutelare la trasformazione è la migliore forma di cura
Con Mypsy, gli studenti hanno immaginato un futuro lontano, un ipotetico 2050 in cui psicologi e pazienti potranno usufruire delle nuove tecnologie per migliorare la loro relazione. Ma oggi, in questa nuova normalità di cui riusciamo appena a scorgere la forma, come sta cambiando la figura dello psicologo e dello psicoterapeuta?
Per Bertani stiamo assistendo a una trasformazione epocale per una scienza così giovane. Nonostante sia ancora affiancata alla dimensione della patologia e sovrapposta erroneamente alla psichiatria, da più parti sta nascendo la consapevolezza che «questa figura dovrebbe avere un ruolo di accompagnamento ai cambiamenti della vita personale, in ogni ambito, dalla scuola alla carriera. Pensiamo, ad esempio, a cosa significa entrare in un’organizzazione, assumere un ruolo, relazionarsi con i colleghi, confrontarsi con l’autorità. Pensiamo a una promozione, a un licenziamento o a un pensionamento. In tutte queste fasi – e non stiamo parlando di sintomi o patologie, ma di momenti di cambiamento – lo psicologo può fornire un aiuto.»
Quello che moltissimi lavoratori e lavoratrici hanno sperimentato con il lockdown è stato un obbligo al cambiamento, la perdita di uno stato di benessere e sicurezza che nei mesi successivi li ha costretti a fare i conti con la faticosa ricerca di un nuovo equilibrio. Ogni trasformazione, anche la più inaspettata e repentina, va dunque tutelata e adeguatamente governata affinché si possa trarre da essa il meglio, e in questo lo psicologo ha un ruolo chiave, di ascolto e di sostegno, prima ancora che di cura.
La tecnologia, straordinaria opportunità
In questi due anni e mezzo il ruolo delle tecnologie e del digitale è stato cruciale in ogni aspetto delle nostre vite, soprattutto in quello professionale. Davide Castro delinea uno scenario in cui non solo la raccolta dei dati biometrici, come il battito cardiaco o il respiro, può aiutare i professionisti a individuare tempestivamente uno stato mentale alterato, ma in cui la realtà virtuale sarà parte integrante della terapia. Potrebbe accadere davvero?
Per Bertani è possibile, anche se sono molte le criticità legate all’applicazione del digitale nel campo delle scienze umane, tra tutte il rispetto della privacy, la richiesta di consenso e il rischio della volatilità di informazioni così sensibili:
Dobbiamo essere riconoscenti alla tecnologia, ma attenzione, davanti c’è sempre una persona e dobbiamo sempre leggere i suoi bisogni.
Occorre che di fronte all’uso sempre più pervasivo di sistemi informatici o di tool tecnologici anche gli psicologi si dotino di nuove competenze e abilità. Tra 20, 30 anni, immagina Castro, uno psicoterapeuta potrebbe lavorare accanto a un informatico. Come si troverebbe Bertani a dover gestire una collaborazione che oggi suona (ma solo apparentemente) così improbabile?
«Se guardo al nostro futuro in tutte le professioni, noto che si stanno sfilacciando, ma non in negativo. Vedo questa perdita di confini netti come una grossa opportunità, perché per crescere bisogna confrontarsi con l’altro, diverso da me. E mi auguro che questa integrazione avvenga prima di 50 anni.»
Per guardare il webinar e approfondire il tema, è sufficiente registrarsi sul sito di PHYD.