Quando la tv parla di lavoro: il caso della trasmissione Il Posto Giusto


Il lavoro e le sue dinamiche. Le storie di chi cerca e chi offre un’occupazione. Gli strumenti per farsi largo in un mercato che spesso appare ingessato da burocrazia, truffe e mancanza di investimenti eppure è pieno di opportunità. Sono queste, in estrema sintesi, le linee guida del programma Il Posto Giusto, condotto dal giornalista Federico Ruffo e supportato dal ministero del Lavoro e da Anpal (Agenzia nazionale delle politiche attive). Classe 1979, Ruffo è conosciuto principalmente per il suo lavoro sul campo per trasmissioni d’inchiesta come Presa Diretta e Report, prima di approdare al timone della trasmissione di Rai 3 (in onda ogni domenica alle 13).

Federico, come nasce e che obiettivi ha il programma?
In realtà la trasmissione esisteva già ma si chiamava Occupati ed era uno dei programmi storici di Rai 3. Nel 2016 è nata l'esigenza di cambiare qualcosa: gli ascolti erano un po’ scesi e in generale si cercava un taglio diverso, un cambio di ritmo per affrontare la tematica del lavoro: una materia, devo dire, abbastanza noiosa da approcciare all’inizio. Fui contattato dall’allora direttrice di rete Daria Bignardi, ma non mi convinse subito. Penso di aver rifiutato il progetto tre volte perché non mi sembrava un tema nelle mie corde. Alla quarta proposta mi son buttato, volevamo vedere come andava insomma. E contrariamente a quello che credevo, si è rivelata una bella esperienza finora: ci hanno lasciato mano libera su come strutturare le varie puntate, dandomi anche la possibilità di continuare a portare avanti le mie inchieste.

In che modo si è strutturato nel tempo il rapporto con Anpal e con il ministero del Lavoro?
La fortuna è che si tratta di una convenzione molto chiara, con paletti ben precisi che lasciano a noi la linea editoriale. In questo contesto, Anpal si limita a informarci sulle misure di politica attiva che vengono periodicamente messe in campo e ci supporta sull’approfondimento, di settimana in settimana, di una di queste trovandoci contatti e storie da raccontare. Oltre a questa collaborazione periodica, ci incontriamo a inizio stagione, per capire se ci sono delle modifiche da fare come l’introduzione di nuove rubriche o il coinvolgimento di determinate figure; a inizio mese, per definire i dettagli delle quattro puntate che registreremo; e a fine stagione, per fare il bilancio su come è andata e se è il caso di apportare qualche altra modifica alla trasmissione.

In termini di ascolti, ti ritieni soddisfatto dei risultati raggiunti?
Diciamo che il grande problema è rappresentato dalla fascia in cui andiamo in onda: alle 13.00 siamo un po’ stritolati dai Tg o dai programmi di approfondimento come Linea Verde e L’Arca di Noè che hanno un pubblico molto segmentato e affezionato. Nonostante ciò e senza grandi rivoluzioni, ma cambiando il linguaggio con cui affrontiamo il tema del lavoro, abbiamo guadagnato più di un punto di share togliendoci anche qualche soddisfazione grazie ad alcune puntate particolarmente sentite ed efficaci. La cartina di tornasole, però, sono le repliche che a seconda del periodo dell’anno vanno in onda la domenica in seconda e terza serata quando possiamo misurarci con competitor diversi. Lì sappiamo quanto valiamo. In generale, comunque, non possiamo lamentarci: la platea della domenica mattina è enorme e il nostro 3%, a conti fatti, vale 400mila spettatori. E questo è il vero obiettivo del programma: raggiungere quante più persone interessate a capire come trovare il posto giusto.

Nel tempo, il lavoro è cambiato. Alcune facoltà universitarie si sono affollate e, parallelamente, alcune occupazioni si sono svuotate di manodopera. Il grande dramma è che quelle professioni che, via via, avevano difficoltà a trovare addetti richiedevano specializzazioni diverse senza per questo potersi considerare inferiori

Federico Ruffo, conduttore de Il Posto Giusto

Dal tuo particolare osservatorio, come valuta il mismatch tra domanda e offerta che spesso occupa le pagine dei giornali con tanto di appelli di imprenditori che non riescono a trovare la forza lavoro necessaria al proprio business?
È una realtà che non va sottovalutata. Credo che nel tempo, come Paese, non siamo stati capaci di armonizzare le esigenze formative con quelle produttive. Mi spiego meglio: giustamente tutti quanti rivendichiamo un ruolo sociale più elevato, vogliamo studiare, laurearci e diventare avvocati, giornalisti, esperti di marketing. Nel tempo, però, il lavoro è cambiato. Alcune facoltà universitarie si sono affollate e, parallelamente, alcune occupazioni si sono svuotate di manodopera. Il grande dramma è che quelle professioni che, via via, avevano difficoltà a trovare addetti richiedevano specializzazioni diverse senza per questo potersi considerare inferiori: trovare oggi un energy manager, un saldatore specializzato o un tecnico del traffico non significa andarlo a trovare per strada. Ci sono dei percorsi formativi come gli Its che rappresentano un’alternativa altamente qualificante alle facoltà. Da quei luoghi escono professionalità che hanno già esperiena sul campo.

Come giudichi, quindi, il mercato del lavoro attuale?
Penso ci sia un forte scollamento fra le aspirazioni e la realtà delle cose. Per questo il messaggio che un imprenditore o un amministratore dovrebbe comunicare ai giovani che scelgono il percorso formativo superiore dovrebbe partire dalla consapevolezza delle esigenze del tessuto produttivo. E questo non deve suonare come un’offesa o una mancanza di rispetto verso le aspettative legittime di un ragazzo o di un genitore. Forse dobbiamo imparare che le alternative alle università classiche ci sono e possono portare a un lavoro dignitoso e richiesto. Prendiamo l’esempio della Germania: l’industria pesante viaggia e chi ci lavora non è uno sfruttato o sottopagato, ma un lavoratore con una professionalità ben precisa.

Dobbiamo imparare che le alternative alle università classiche ci sono e possono portare a un lavoro dignitoso e richiesto. Prendiamo l’esempio della Germania: l’industria pesante viaggia e chi ci lavora non è uno sfruttato o sottopagato, ma un lavoratore con una professionalità ben precisa

Federico Ruffo, conduttore de Il Posto Giusto

Forse quello che spaventa è la mancata consapevolezza da un punto di vista contrattuale e salariale relativamente a certe occupazioni. Come affrontate il tema in trasmissione?
Noi da questo punto di vista, e per come è strutturato il programma, ci limitiamo a spiegare come funzionano le nuove forme di contratto e quali tutetele portano. Cerchiamo di dare una piantina, una guida per orientarsi. In assoluto, però, la percezione dei contratti è qualcosa di aleatorio. Siamo passati attraverso un periodo in cui il lavoro è cambiato molto rapidamente e, forse, nessuno ci ha avvertito adeguatamente. Per cui, ora, quando si sente parlare di tirocinio gli interessati cominciano a tirarsi i capelli senza sapere che in realtà garantisce più diritti che doveri. Stessa cosa se si pensa di essere arrivati quando si firma un contratto a tempo indeterminato, senza rendersi conto che con l’abrogazione dell’articolo 18 la differenza con un contratto a tempo determinato si è assottigliata moltissimo.

E per chi volesse iniziare la carriere da giornalista?
La cosa più onesta da dire è che si tratta di una strada in salita per cui ci vuole una determinazione estrema e pure la possibilità di permettersi questo sforzo. Inoltre, la percezione che le persone hanno oggi della professione è davvero pessima e questo rappresenta un’ulteriore difficoltà a cui far fronte.

Di |2024-07-15T10:05:26+01:00Marzo 29th, 2019|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti
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