Il tempo dei contaminati
È passato il tempo della specializzazione. Oggi, come in epoca premoderna, la polimatia non è solo una possibilità, ma una necessità. Non facciamoci ingannare dal suono strano: polimatia, in greco, ha un significato al tempo stesso semplice e profondo. Significa, infatti, «imparare tante cose», da tanti ambiti diversi. Mischiando digitale e materiale in vista delle future transizioni.
Insegnare a imparare
Tanto è vero che stanno nascendo università interdisciplinari, ideate nel segno della contaminazione. La prima, nel 2017, è stata la London Interdisciplinary School, che ha un unico corso di laurea: il Bachelor in Art and Science. Un corso istituito con l’obiettivo di «insegnare a imparare».
L’idea di imparare (e insegnare) a risolvere i problemi complessi del mondo parte da questa concezione di ibridazione continua, tra saperi, discipline e culture.
Contaminarsi non significa solo unire le forze: significa includere, accogliere, aprirsi e mettersi in una disposizione favorevole all’ascolto
Ne è convinto l’esperto di comunicazione e tecnologie digitali Giulio Xhaet che nel suo #Contaminati (Hoepli, Milano 2020) spiega perché solo i lavoratori che sapranno contaminarsi, dedicandosi alla polimatia potranno sopravvivere alle nuove sfide.
Perché #contaminati (rigorosamente con l’hashtag)? Xhaet lo spiega partendo dal significato dalla parola. «Contaminare deriva dal verbo latino tangere, “toccare”. In senso originario, il “contaminato” è colui che si pone a contatto con qualcosa, che si mescola con elementi eterogenei».
Ibridarsi e contaminarsi
Un sinonimo di “contaminato” è “interdisciplinare” per cui, aggiunge, «parliamo di individui che si muovono tra discipline diverse. Traslando questa parola nel mondo del lavoro, emergono persone con caratteristiche fortemente in accordo con i nostri giorni».
Muoversi tra discipline, saperi e culture diverse è una capacità che sta acquisendo sempre più importanza rispetto al passato. I contaminati, per Xhaet, «sono la risposta a una vita professionale più lunga, intensa e incerta».
Sono anche la risposta umana «all’intelligenza artificiale che spopola nelle aziende». Le qualità di questi lavoratori contaminati, d’altronde, «sono sempre più richieste, perché solo loro, col loro mix di saperi, riescono a spingersi in luoghi inaccessibili agli algoritmi».
«Università e business school», racconta ancora Xhaet, «si sono dimostrate perlopiù inadeguate a formare persone» di questo tipo. Ma non è difficile trovare modelli educativi differenti, «che cercano di adattarsi alla crescente velocità, complessità e interconnessione del mondo».
Dove trovarli? In tutti quei contesti che sanno ibridare competenze umanistiche e scientifiche. Bisogna sapersi muovere, quasi “surfare”, tra questi due campi, per crearne un terzo. La qualità dell’umano contaminato, osserva l’Autore, è proprio questa capacità di muoversi rompendo muri. Per questa ragione, diversity, inclusione e contaminazione parlano lo stesso linguaggio.
Il link learning e la sfida dell’AI
Intrecciato a questi elementi ne troviamo un altro, fondamentale: è «l’intelligenza artificiale, che sta erodendo mansioni sinora svolte dagli esseri umani». «Chi – si chiede Xhaet – riuscirà a collaborare con le macchine senza farsi sostituire da chatbot e assistenti digitali?».
La rivoluzione dell’intelligenza artificiale, spiegava d’altronde già Yuval Noah Harari, «non sarà un singolo evento spartiacque a seguito del quale il mercato del lavoro si assesterà su un nuovo equilibrio. Sarà invece una cascata di eventi sempre più traumatici».
Per prepararsi e superare questa cascata servono nuove mappe. Serve quello che Xhaet definisce un «fil rouge che tenga insieme i pezzi del puzzle: la contaminazione».
Il “contaminato” si mescola con elementi eterogenei valorizzando la diversità
Solo una conoscenza umana, qualitativamente “ibridata”, può sfidare gli algoritmi non sul proprio terreno. Ma su un terreno dove proprio gli algoritmi si muovono a fatica: le connessioni, le intersezioni, le strade che si aprono improvvise grazie a un mix di intuizione, sensibilità e cultura.
Link learning è la parola chiave: «bisogna imparare a trovare link insospettati, maturando competenze a prova di futuro».
Come? Xhaet lo sintetizza in questo modo «danzando tra le culture, attingendo da mondi diversi». Senza diventare “tuttologi”, ma mostrando quella capacità di dialogo che sarà sempre più richiesta nel domani oramai prossimo che ci attende. Con tutte le sue sfide, le sue opportunità, le sue strade da scoprire.