è l’impact education la chiave per vincere le sfide della rivoluzione tecnologica
Oggi Cottino Social Impact Campus, primo centro in Europa dedicato all’impact education. Domani Cottino Learning Center, polo internazionale di economia a impatto sociale positivo per i leader e gli imprenditori del futuro. Nel cuore della Cittadella politecnica di Torino è nata una nuova struttura dedicata all’innovazione didattico-formativa e alla cultura social impact: è il progetto sviluppato da Fondazione Cottino e Politecnico per cambiare il modello formativo internazionale, all’insegna dello sviluppo sostenibile. Per il progetto la Fondazione Cottino ha stanziato 6,5 milioni di euro, di cui 4 dedicati alla costruzione del nuovo Learning Center. La “prima pietra” del nuovo polo è stata dunque idealmente posata nel giorno dell’inaugurazione del Campus, durante la conferenza internazionale “Impactwise – Una nuova catena del valore per l’impatto sociale”. [legacy-picture caption=”Mariana Mazzucato, economista, docente di Innovation and Public Value all University College di Londra” image=”07274b9a-4fe8-4595-af02-3fece12ed25f” align=”left”]
Per l’occazione tra gli ospiti c’era Mariana Mazzucato, economista, docente di Innovation and Public Value all’University College di Londra, direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose e autrice di The value of everything (Il valore di tutto) che ha spiegato come, «il capitalismo si è rotto. C’è stata una finanziarizzazione spaventosa dell’economia, il che significa sia che il settore finanziario è diventato più importante dell’economia reale, sia che l’economia reale è diventata finanziarizzata: con un gioco di parole, la finanza finanzia la finanza. Gli investimenti infatti si concentrano nei settori che in inglese si indicano con l’acronimo FIRE: Finance, Insurance, Real Estate (finanza, assicurazioni e immobiliare). Va poi anche detto che l’enfasi delle aziende, a livello globale, è più nel ricomprare le proprie azioni che nell’investire lo stesso denaro sul capitale umano, o per altri investimenti produttivi: soltanto le imprese del cosiddetto Fortune 500 hanno speso tre trilioni di dollari in shares buyback».
Ma se anche gli investimenti ci fossero, spiega l’economista «servirebbe una profonda trasformazione del modo in cui vengono erogati e gestiti. Prendiamo il settore dell’acciaio, che è in crisi seria sia in Italia che nel Regno Unito. Le aziende hanno affrontato la crisi semplicemente richiedendo fondi e altre forme di sostegno al governo, spesso ottenendole. Ma non è accettabile: i governi non devono distribuire denaro, devono creare le condizioni per la trasformazione del comparto in crisi». Ma di quali trasformazioni si parla? «Tra le nostre priorità deve naturalmente esserci il risolvere la questione del cambiamento climatico, per cui abbiamo soltanto 12 anni rimasti o saremo tutti sott’acqua, ma c’è anche con parimenti forza l’esigenza di risolvere la crisi del populismo: altrimenti rischiamo di avere un pianeta sostenibile, ma senza la giustizia sociale, la tolleranza, l’inclusività. L’esigenza di lottare per una società tollerante ed equa, basata sulla collaborazione e sulla cooperazione, in cui si rispettano le diversità, va di pari passo con l’importanza della definanziarizzazione dell’economia e con la lotta ai cambiamenti climatici. Le tre cose sono assolutamente collegate, perché lavorare sulle prime significa spingere per una crescita sostenibile, verde, inclusiva. Significa passare da un modello di estrazione del valore a uno di creazione del valore. Tutti parlano dei robot e di come ci stiano rubando il lavoro, ma non è vero. Il problema non è la tecnologia, è che le aziende non investono sui lavoratori: ci vorrebbe una sorta di contratto sociale obbligatorio che regoli i benefit di cui godono le aziende e quello che devono restituire al pubblico. Il posto in cui si vede questo meccanismo all’opera è la Silicon Valley, dove le società del tech che hanno approfittato massicciamente di investimenti pubblici, evadono le tasse penalizzando quindi i fondi pubblici per le scuole e ed altre infrastrutture critiche per i cittadini».
[legacy-picture caption=”Raghuram Rajan, docente di Finanza alla Booth School of Business dell Università di Chicago” image=”ba8af06c-de98-4113-96f7-dd4996af07f0″ align=”right”]Raghuram Rajan, docente di Finanza alla Booth School of Business dell’Università di Chicago, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale ed ex Governatore della Banca Centrale indiana, anche lui ospite all’evento sottolinea come «ci sono importanti preoccupazioni e non possiamo essere totalmente ottimisti e presumere che la tecnologia di per sè ci porti nella giusta direzione. Però credo che la questione, per esempio, rispetto all’Ai, non sia se ci saranno posti di lavoro al giusto salario, ma piuttosto se saranno o meno creativi. Sono convinto che l’alleanza tra uomini e macchine darà un valore aggiunto. Pensiamo ai servizi sanitari, dove le macchine possono essere impiegate nella diagnostica per immagini identificando i tumori e i casi incerti e i medici possono poi intervenire sulla base delle loro conoscenze e d esperienze. Se per esempio attualmente con la Tac possiamo fare 50 scansioni a settimana, applicando l’Ai potremmo arrivare a 500. In questo modo potremmo estendere i servizi sanitari e senza tagliare fuori i dottori. Quindi credo che il vero tema non sia la perdita dei posti di lavoro ma l’educazione e la formazione dei medici affinché siano in grado di offrire un valore aggiunto. Non solo.
Con la diffusione dell’Ai, questi servizi diventeranno più economici e accessibili, non solo ai ricchi o alla classe media ma anche ai poveri. E l’utilizzo di queste tecnologie nei paesi in via di sviluppo potrebbe diminuire le disuguaglianze, migliorare la qualità della vita, riducendo via via il numero di persone che fuggono».
Rajan enfatizza il ruolo del tessuto sociale, che negli ultimi decenni si è via via lacerato e che avrà bisogno di un paziente lavoro di rammendo. Ma le emergenze, dal clima ai conflitti, chiedono soluzioni rapide: «Il primo passo che può essere compiuto velocemente è la persuasione – risponde Rajan – L’elemento che muove le democrazie, come i mercati finanziari, è l’aspettativa: se la gente vede che il cambiamento sta avvenendo, avrà più fiducia, sarà più paziente. Ecco per esempio, se pensiamo alle città e alle persone che distano 25-50 miglia dal lavoro, una misura che può essere introdotta subito è il miglioramento della rete dei trasporti che può garantire ai lavoratori la certezza di arrivare in tempo e senza disagi. Ugualmente è fondamentale garantire ovunque e al più vasto numero di persone l’accesso alla banda larga cosicché non siano tagliate fuori e possano partecipare alla digital economy. Anche nella ben connessa Europa ci sono aree ancora escluse».
[legacy-picture caption=”Laura Orestano, ceo di Cottino Social Impact Campus” image=”2f465c19-3a95-4827-be78-944039c8206e” align=”left”]In ogni caso si parla di un processo inesorabile che dovrebbe poi portare a un equilibrio nuovo in cui lo stato riconosca maggiori poteri alle comunità (quello che per Rajan si chiama “localismo inclusivo”) e in cui i mercati cambino il proprio dogma, dalla massimizzazione dei profitti alla massimizzazione del valore dell’impresa (come sottolinea Masuccato “si torni a parlare di valore e non di prezzo”).
«Si tratta di comprendere come generare una cultura della sostenibilità integrale e quali conoscenze saranno utili» spiega Laura Orestano, ceo di Cottino Social Impact Campus alla conclusione di ImpactWise. «Per intraprendere un cambiamento culturale verso la value generation abbiamo bisogno di conoscenze aggiuntive, oltre quelle accademiche e quelle degli acceleratori e incubatori, guardando al mondo delle aziende, delle non profit e delle comunità».