Imprenditori stranieri, una risorsa da 100 miliardi di euro
Per non perdersi fra le ideologie, quando si parla di migranti si dovrebbero sempre tenere a mente i numeri corretti. E la complessità del loro calcolo in base alle diverse fasi dell’accoglienza. Solo così si scoprono dati e storie che raccontano l’altra faccia dell’integrazione. Come testimoniano le 590mila imprese straniere censite da Unioncamere alla fine del 2017, che rappresentano il 9,6% di attività presenti sul territorio nazionale. Nel corso dello scorso anno il loro numero si è incrementato di 19.197 unità, come risultato del saldo tra 57.657 aperture e 38.460 chiusure, corrispondente a un tasso di crescita del 3,4% (contro lo 0,75% fatto registrare dall'intera base imprenditoriale italiana). Cifre di un trend in crescita e che nel giro di un anno punta a superare quota 600mila imprese e rilanciare (si spera) l’economia italiana a partire dal pagamento delle imposte che, alla voce Irpef, hanno toccato quota 7,2 miliardi nel 2016.
Come dimostra un report di Intesa Sanpaolo, di fronte a una riduzione dello 0,9% delle attività economiche nel nostro Paese fatta segnare nel periodo 2011-15, è merito delle imprese straniere se il restringimento del parterre produttivo è stato contenuto. Di fatto, il risultato è «la sintesi di una contrazione del 2,9% delle imprese italiane e di un aumento del 21,3% delle imprese fondate da migranti». Si tratta, per la maggior parte, di imprese individuali (cresciute del 20% nella forbice temporale considerata) avviate con piccoli capitali. Le loro performance in termini di fatturato, addetti e valore aggiunto molto spesso superano quello delle imprese italiane, ma con margini unitari inferiori. Limiti a cui si fa fronte con una diversificazione dell’assetto societario (crescono sia le spa, che le cooperative: +44% e +31,6%) e con il ricorso all’attività di export grazie ai rapporti che gli imprenditori hanno con i propri paesi di origine. Quali? A Milano sono essenzialmente Cina ed Egitto, nel Lazio si tratta di Romania e Bangladesh, in Sardegna del Senegal, a Torino del Marocco. Sono queste infatti le principali zone di provenienza dei nuovi imprenditori.
Fra le attività con la maggiore concentrazione di imprese di stranieri, al primo posto ci sono le telecomunicazioni. Seguono la confezione di articoli di abbigliamento, mentre al terzo posto ci sono i lavori di costruzione specializzati.
Tra i loro volti, ci sono quelli dei vincitori dei Moneygram Awards, organizzati dall’omonima multinazionale che si occupa di trasferimento internazionale di denaro. A vincere il premio più ambito, quello di imprenditore immigrato dell’anno, è stata Marie Terese Mukamitsindo: originaria del Ruanda, titolare della cooperativa Karibu (con sede a Latina), dà lavoro a 120 persone e nel 2017 ha registrato un giro d’affari da 12 milioni di euro. Una piccola parte di quei 100 miliardi di euro di valore aggiunto che, secondo i dati della Fondazione Leone Moressa, rappresentano il contributo degli imprenditori stranieri al Pil nostrano (circa il 6,9%).
Tra gli altri premiati dei Moneygram Awards, ci sono Erion Kaso, 38 anni originario dell’Albania e residente a Padova, dove gestisce la “Gelateria Gianni”, rilevata dopo esserne stato dipendente; Lifang Dong, cinese di 41 anni che vive e lavora a Roma, dove è titolare dello studio legale “Dong&Partners”, specializzato nelle consulenze per aziende che operano tra Asia ed Europa; Lonut Giurgi, 29 anni, nato in Romania, da dove si è spostato per venire in Italia oltre 10 anni fa per aprire, nel 2016, Art Legno, specializzata nella progettazione e realizzazione di tetti e solai in legno.
Grande merito ce lo hanno le donne, che rappresentano il 32% dei vertici di queste attività.
In generale, fra le attività con la maggiore concentrazione di imprese di stranieri, al primo posto ci sono le telecomunicazioni (oltre un terzo del totale). Seguono la confezione di articoli di abbigliamento (30%), mentre al terzo posto ci sono i lavori di costruzione specializzati (21,2%). Se invece si analizza il numero assoluto di aziende, il primato spetta al commercio al dettaglio, con oltre 162mila attività, seguito dai lavori di costruzione specializzati (quasi 109mila) e dalle attività di ristorazione (44mila).
Infine, al di là della polemica che nell’ultimo periodo ha contrapposto alcune parti politiche all’Inps relativamente al contributo degli immigrati per la sostenibilità del sistema pensionistico, a testimoniare che la crescita dell’imprenditoria straniera in Italia è un fattore positivo ci pensa l’Osservatorio Nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti. Secondo i dati 2017, «in cinque anni l’area small business a titolarità immigrata è cresciuta del 65%. Se nel 2010 i conti correnti intestati a imprenditori stranieri erano pari a 74.237, nel 2015 sono risultati 122.494, evidenziando un tasso di crescita medio annuo del 10,5%». E grande merito ce lo hanno le donne, che rappresentano il 32% dei vertici di queste attività. Un contributo che, in un momento in cui l’Italia cerca di agganciare la ripresa europea, permette al nostro sistema Paese di non rimanere indietro. Pregiudizi esclusi.