Con la nuova corsa allo spazio, i marziani siamo noi
Entro il 2050 l’umanità abiterà anche sulla Luna. E disporrà di una base su Marte, che i turisti potranno visitare con la facilità con cui si va a vedere un film (rigorosamente di fantascienza) o come si fa un giro in un centro commerciale, in un giorno piovoso.
Anche per questo, negli anni, gli esemplari di homo sapiens alle prese con l’ecosistema del Pianeta rosso daranno vita a una nuova specie, leggermente diversa dalla nostra, che dovremo essere pronti ad accogliere. A descrivere il futuro prossimo dell’umanità, tra progetti e un pizzico di immaginazione – ma lui la definisce “storia del futuro” -, ci ha pensato l’ingegner Tommaso Ghidini. E l’ha recentemente messo anche nero su bianco nel libro Homo Caelestis (Longanesi). Lo abbiamo incontrato prima di una sua conferenza a Milano, lui che oltre ad essere scrittore, è soprattutto ingegnere meccanico aerospaziale, a capo della direzione che si occupa di garantire l’integrità strutturale dell’intera gamma di programmi e missioni dell’agenzia spaziale europea (Esa).
Da circa vent’anni Ghidini, inoltre, è coinvolto nei più importanti programmi aerospaziali al mondo e, in questo libro, apre una riflessione sul rapporto profondo di attrazione e sfida che lega da sempre l’uomo e lo spazio. Rapporto che, già oggi ma soprattutto in futuro, si farà sempre più intenso e trasformerà l’homo sapiens sapiens in homo caelestis.
Chi è l’Homo Caelestis
Negli anni Sessanta, la rivalità tra Stati Uniti e Urss ha condotto l’umanità nello spazio, aggiungendo una “nuova dimensione” alla vita sulla Terra. L’ultima frontiera era aperta, il sistema solare sembrava a portata di mano. E di razzo. Prossima fermata: Marte. e poi chissà. E invece nulla. La corsa allo spazio aveva decretato il vincitore e si rivelò per quella che era: una gara d’orgoglio patriottico tra due superpotenze. Tra il 1969 e il 1972 dodici uomini – e non una donna – camminarono sulla Luna, poi più nessuno. Le agenzie spaziali, però, non sono state con le mani in mano tutto questo tempo. Siamo rimasti e siamo destinati a restate una società che sta troppo con i piedi per terra? Ghidini la risposta l’ha già data titolando il suo libro Homo Caelestis, ma ha voluto sottolinearla: «Penso che, anche nel Vecchio Continente, l’atteggiamento verso lo spazio stia cambiando. Lo spazio è vicinissimo e quello è il futuro, anche per la vita sulla Terra. Lo pensiamo anche in Italia: siamo il terzo contribuente dell’Agenzia spaziale europea, la European space agency – Esa, dietro solo a Germania e Francia. A Torino, per esempio, si sviluppano gran parte dei moduli della stazione spaziale internazionale in orbita attorno alla Terra, e da poco lì sono in lavorazione anche i moduli della futura stazione spaziale, che ruoterà attorno alla Luna e che sarà pronta tra il 2024 e il 2026».
La corsa allo spazio è ripartita, ma con nuove regole e diversi giocatori
C’è anche un altro aspetto che riguarda come sia cambiata la corsa allo spazio: rispetto agli anni Sessanta e Settanta, sono diminuiti i soldi a disposizione e sono cambiati gli obiettivi, ma l’umanità ha continuato a esplorare il sistema solare, con le sonde e con i robot, che costano meno degli esseri umani e permettono di vedere i corpi celesti più da vicino. Sfumati gli interessi della politica, a guadagnarci è stata la scienza. Ne è convito anche l’ingegner Ghidini: «A lavorare all’Esa ci si rende conto che si dedicano il proprio tempo e le proprie energie a qualcosa che può dare una possibilità in più all’umanità, non soltanto ai nostri figli e ai nostri nipoti, ma all’intera nostra specie. E quel pensiero resta sempre lì. È un senso di responsabilità, che però risulta lieve, non pesa. Anzi, stimola».
Per conoscere, ma anche per conquistare una maggior consapevolezza e presenza nello spazio, l’uomo ha bisogno di sviluppare una tecnologia all’altezza, ma a volte, quando si tratta di spazio, la tecnologia si muove a ritmi troppo veloci perché i sistemi legislativi e i finanziamenti statali possano stare al passo. C’è un parallelismo tra la nuova “corsa allo spazio” e la nascita e la diffusione di Internet: che ci siano “vuoti legislativi” è naturale. In più la penuria di fondi governativi ha portato a un’altra trasformazione, un caso da manuale di apertura al mercato: la Nasa e altre agenzie spaziali sono state costrette ad affidarsi sempre più ad aziende private per costruire moduli e razzi, e una generazione di imprenditori visionari (e megalomani) si è messa in testa di riportarci lassù, stavolta per restarci, e che per farlo bisogna assolutamente ridurre i costi e sfruttare le risorse che troveremo in loco.
La gara è ufficialmente ricominciata, ma sono cambiate le regole e con l’avvento di Cina, India e l’emergere di medie potenze in un mondo sempre più multipolare, anche i giocatori sono diversi. «Il pericolo esiste – spiega Ghidini – perché spingiamo tantissimo la tecnologia, e ci troviamo di fronte a innovazioni che toccano anche molti aspetti etici, oltre che di sicurezza. Su quest’ultima non transigiamo: abbiamo esseri umani a bordo, e se necessario sacrifichiamo il progresso rimandando le missioni, per non far correre rischi ai nostri astronauti».
Nella corsa allo spazio, la “questione etica” non è indifferente
Questo “rallentare la corsa” mettendo davanti a tutto la sicurezza è proprio quello che non è accaduto con lo sbarco sulla Luna, «per il quale ci si è assunti dei rischi che oggi noi non potremmo più giustificare. Le ferree regole di sicurezza che abbiamo oggi, però, sono state sviluppate anche in seguito a catastrofi terribili e memorabili: quella dello Space Shuttle Challenger, per esempio, ha cambiato completamente il modo di gestire la sicurezza delle missioni spaziali e ha avuto ricadute anche in molti altri settori industriali ad alto impatto sociale», chiosa Ghidini.
Questo sviluppo accelerato della tecnologia pone – oggi più che mai – dilemmi etici: «Ce ne sono moltissimi, a partire dall’energia nucleare. Usare un motore nucleare per andare su Marte ci permetterebbe di impiegare un quarto del tempo, e sarebbe importante esplorare questa possibilità da un punto di vista puramente tecnico e scientifico. Potremmo sperimentare le ricadute di questa tecnologia anche su applicazioni civili. Però all’Esa ci impegniamo anche nella dimensione etica e ci atteniamo alle direttive politiche dei governi dei nostri Stati membri. Perché ricerche avanzate sul nucleare possono diventare un rischio», spiega Ghidini. I vincoli etici della nuova corsa allo spazio non sono solo di natura tecnologia: «Pensiamo alla legislazione dello spazio. Quando vivremo su Marte, uno scenario in cui credo fortemente, dovremo tracciare dei confini. Si stima che una città in tutto autosufficiente dovrebbe avere circa un milione di abitanti. Se arrivassimo a questo sarebbe inevitabile ritenere che si possano esserci anche dei crimini. A stabilire le regole a quel punto sarà la politica dei governi attraverso trattati internazionali, o in questo caso “interplanetari”. Il diritto spaziale è una disciplina in rapido sviluppo. Oppure, ancora, pensiamo a tecnologie come la stampa 3D di organi umani: un giorno forse potremmo anche riuscire a creare un cervello umano». Potremo quindi plasmare anche l’anima? «Non credo, ma si tratta di aspetti che richiedono una regolamentazione precisa. Da scienziato ritengo che non sarebbe etico, nel senso profondo del termine, non sviluppare la tecnologia solo per paura di entrare in un discorso che impone domande a cui è difficile rispondere. Quel discorso va affrontato sui tavoli preposti a farlo».
L’Homo Caelestis può sbagliare?
Nel libro Homo Caelestis, Ghidini descrive anche il “lavoro sporco” che si fa per raggiungere i grandi traguardi, frontiere spaziali. In quello che a un primo sguardo sembra un paradosso, sono di fondamentale importanza i fallimenti nella strada verso i successi, così come l’importanza di reagire nel modo giusto quando questi fallimenti riguardano il nostro lavoro in una squadra infinitamente complessa, che ambisce a portare l’uomo su Marte: «L’errore più grande che di solito tutti facciamo di fronte a un fallimento è quello di voler necessariamente dare la colpa agli altri. Chi vive bene la sconfitta vive bene anche il successo. Nel mio team, la prima cosa che facciamo davanti ad un errore e un fallimento è chiederci ‘come possiamo fare meglio’: mettere in discussione se stessi è quello che innesca il vero cambiamento, la soluzione dell’errore e quindi la crescita. Bisogna fare un esame di coscienza onesto, ma non troppo colpevolizzante. Tutti, in fondo, affrontiamo quotidianamente piccoli o grandi fallimenti: eppure è difficilissimo darsene la colpa. E invece, di fronte a un fallimento, la differenza fra la sconfitta e il successo la fa l’atteggiamento che decidiamo di assumere. Anche quando l’obiettivo è portare gli astronauti su Marte».
Lo spazio è di tutti, delle persone con disabilità, ma anche dei multimiliardari
In chiusura torniamo a dove siamo partiti, al Pianeta rosso, a Marte. Oggi abbiamo davanti agli occhi uno straordinario esempio di astronauta in Samantha Cristoforetti (foto sopra, ndr), ma il primo piede su Marte non sarà il suo, bensì quello dei nostri nipoti, forse: «Per loro ho un solo messaggio. Se vuoi fare l’astronauta, ci devi credere. In questi mesi, tra l’altro, abbiamo lanciato la selezione per il prossimo equipaggio di astronauti europei, perché l’ultimo lo avevamo fatto nel 2009, e avevamo ricevuto 8mila domande per sei posizioni. È allora che sono stati selezionati lei e Luca Parmitano. Questa volta, invece, abbiamo già raggiunto 23mila domande: questo è un indice di quanto l’esplorazione spaziale sia tornata a essere sempre più parte delle nostre vite, una prospettiva nella quale sempre più giovani vedono il loro futuro. Ma selezioneremo solo 4 astronauti, al massimo 6», spiega Ghidini.
«Anche perché chi vuole svolgere questa attività deve attraversare una serie di prove fisiche, psicologiche e attitudinali, di studio e di capacità nel volo spaziale». In questa selezione c’è la volontà di ribadire che lo spazio è di tutti: «Per la prima volta nella nostra storia, stiamo selezionando il primo o la prima astronauta disabile. E con questo vogliamo anche comunicare un messaggio che trovo di straordinaria forza oltre che di speranza. Lo spazio è davvero di tutta l’umanità», conclude Ghidini.
Sullo sfondo di questa nuova avventura spaziale dell’homo caelestis resta un’ombra che i raggi cosmici – ma soprattutto la narrazione che facciamo qui sulla Terra – non illumina: colonizzare Marte non risolverà i nostri problemi sulla “vecchia” crosta terrestre. Da quelli quelli climatici fino a quelli geopolitici. Anzi, con la crescita delle agenzie spaziali cinese e indiana è partita una corsa all’acqua e alle materie prime di cui lo spazio, la Luna e soprattutto gli asteroidi, sono ricchi. E poi c’è il rischio (quanto calcolato?) della privatizzazione del cielo, spinta negli ultimi anni soprattutto dalla Nasa.