La sfida tra le Big Tech nel mercato delle intelligenze artificiali
Il 2023 sarà l’anno dell’Intelligenza Artificiale conversazionale (o chatbot). Si tratta di una tecnologia che ha fatto molta strada recentemente, con numerosi modelli e piattaforme, e che consente alle macchine di comprendere e rispondere agli input del linguaggio naturale.
Negli ultimi mesi, poi, c’è stato un vero e proprio boom di questo tipo di software trainati dal successo di Chat-Gpt, l’algoritmo sviluppato da Open Ai, che ha dato il via a una corsa al “riarmo neuronale”.
Chat-Gpt, acronimo di Generative Pretrained Transformer, è uno strumento di elaborazione del linguaggio naturale potente e versatile che utilizza algoritmi di apprendimento automatico per generare risposte simili a quelle umane all’interno di un discorso. Un risultato eccezionale, quello ottenuto dal centro di ricerca californiano (e che ha tra i suoi fondatori anche Elon Musk), tanto da aver ottenuto l’attenzione di Microsoft. Il colosso di Redmond, infatti, investirà 10 miliardi di dollari nella startup di intelligenza artificiale, dopo il miliardo versato nel 2019 e un altro round nel 2021.
L’ultimo arrivato in casa Open Ai è Chat-Gpt 4, definita come “l’ultima pietra miliare nello sforzo per migliorare il deep learning”, in grado di gestire facilmente testi molto ampi fino a 25.000 parole.
L’intelligenza artificiale e il lavoro
Ma non bisogna gridare al miracolo. Questi modelli linguistici, contrariamente a quanto può sembrare osservando quello che scrivono quando li interroghiamo, sono sistemi che riassemblano assieme in modo casuale sequenze di forme linguistiche che hanno osservato nei loro vasti database di addestramento, in base a informazioni probabilistiche su come si combinano, ma senza alcun riferimento al significato. Nient’altro che dei “pappagalli stocastici”, come sono state soprannominate in un autorevole paper pubblicato l’anno scorso da alcune ricercatrici dell’università di Washington.
Perciò, nonostante le grandi aspettative, è difficile che, almeno per ora, questo tipo di tecnologie possa sostituire in alcun modo il cervello umano. In questo senso chi teme un terremoto nell’ambito dei lavori creativi si sbaglia di grosso. È troppo presto per capire in che modo questa tecnologia innovativa finirà per condizionare la vita di illustratori, fotografi e altri creativi. Ad ogni modo, secondo le persone che hanno usato software in grado di generare immagini a partire da comandi testuali, queste tecnologie sono in grado di elevare la creatività umana anziché renderla obsoleta. Un po’ come la fotografia ha ampliato gli orizzonti artistici, l’intelligenza artificiale, in futuro, avrà un impatto amplificante anche sul mondo dell’arte.
Come spiega Kai-Fu Lee, ex presidente di Google Cina, nel libro “Ai 2041. Scenari dal futuro dell’intelligenza artificiale”, ci sono determinate attività che l’intelligenza artificiale non sarà in grado di compiere nemmeno tra una ventina di anni. “L’intelligenza artificiale non può creare, concettualizzare o pianificare strategicamente. Mentre è molto brava a ottimizzare un obiettivo limitato, non è in grado di scegliere i propri obiettivi o di pensare creativamente».
Lo stesso discorso vale per l’empatia: «L’intelligenza artificiale non può provare o interagire con sentimenti come la compassione. Di conseguenza, la AI non può fare in modo che un’altra persona si senta compresa e accudita».
Cosa significa tutto ciò per il futuro del lavoro? Nei lavori altamente sociali, ma ripetitivi, gli esseri umani e le intelligenze artificiali lavoreranno assieme. Nei lavori creativi ma asociali, la creatività umana sarà amplificata dagli strumenti di intelligenza artificiale. Per esempio, uno scienziato potrebbe usare strumenti di AI per accelerare la rapidità delle scoperte di farmaci. Infine, i lavori che richiedono sia creatività sia abilità sociali, come i ruoli esecutivi altamente strategici, sono proprio quelli in cui gli esseri umani spiccheranno.
Il mercato delle intelligenze
La battaglia delle intelligenze artificiali tra le Big Tech si sta svolgendo attualmente nel campo dei motori di ricerca, con Google che difende il proprio impero dall’assalto di Microsoft e Apple.
Le strategie adottate dalle tre aziende sono incentrate su un mercato del valore di circa 200 miliardi di dollari, attualmente dominato da Google, ma che sta per subire un’offensiva tecnologica.
Microsoft ha l’obiettivo di integrare questa tecnologia nel suo motore di ricerca, Bing, che al momento rappresenta solo una piccola fetta del mercato dei motori di ricerca, dominato al 84% da Google Search. Sul mobile il divario tra i due motori di ricerca è ancora più ampio, con il 96% di ricerche effettuate su Google e solo lo 0,5% su Bing. Questo risultato è dovuto principalmente al fatto che la ricerca di Google è preimpostata sugli smartphone Android e sugli iPhone, grazie ad un accordo tra Alphabet e Apple che genera entrate di circa 15 miliardi di dollari l’anno per Cupertino.
I margini di miglioramento, però, sono moltissimi, e chi svilupperà i migliori chatbot da implementare nei motori di ricerca avrà importanti benefici. In un futuro ottimale, le intelligenze artificiali dovrebbero essere in grado di sfruttare l’organizzazione della conoscenza sviluppata dai motori di ricerca per aumentare la propria competenza. Inoltre, assisteremo a una ridefinizione dell’interfaccia utente dei motori di ricerca, che si trasformerà in una conversazione in linguaggio naturale, in cui le risposte emergeranno dall’aggregazione di diverse fonti di conoscenza.
Recentemente l’Amministratore Delegato di Google, Sundar Pichai, ha annunciato in un post sul suo blog che sta per lanciare un nuovo servizio di intelligenza artificiale che si chiamerà Bard. E a breve saranno disponibili anche nuove funzionalità basate sull’intelligenza artificiale che saranno implementate nelle varie app della suite Workspace, dalla posta elettronica di Gmail ai Documenti. Una chiara risposta a Microsoft, che si è mosso per primo con OpenAi.
Google però si sta muovendo anche in un’altra direttrice. A inizio febbraio, il colosso delle ricerche web ha annunciato un investimento da 300 milioni di dollari in Anthropic, startup guidata dai fratelli italo-americani Dario e Daniela Amodei, entrambi fuoriusciti da OpenAi con l’intenzione di creare Claude, una versione concorrente e potenzialmente migliore di Chat-Gpt.
Ma c’è un nuovo giocatore in campo. Si tratta di Baidu, il “Google cinese”, che ha investito miliardi di dollari nella ricerca sull’intelligenza artificiale. A metà marzo, come previsto, Pechino ha lanciato il proprio chatbot basato su intelligenza artificiale noto come Ernie Bot, dove Ernie sta per “Enhanced Representation through Knowledge Integration”. È l’alternativa cinese a Chat-Gpt, frutto di anni di investimenti in ricerca e sviluppo nell’intelligenza artificiale e nel deep learning.