L istruzione italiana nel confronto con l’Europa


Mancano pochi giorni alle elezioni europee del 26 maggio. E l’Italia porta alle urne alcuni degli elettori meno istruiti del vecchio continente. Dai laureati agli abbandoni scolastici, passando per i finanziamenti pubblici, l’Italia, a quanto pare, ha un serio problema di education. E Bruxelles, anche in questo frangente, non può fare almeno di bacchettarci.

A testimoniarlo sono i numeri della “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2018 Italia”, elaborato dalla Commissione europea. L’Italia spende meno degli altri Paesi Ue e ottiene risultati peggiori. Per questo, ma non solo, rischia di perdere un milione di studenti nei prossimi dieci anni: passando da 9 a 8 milioni totali (fonte Eurostat).

Il problema della dispersione scolastica in Italia è tra i temi più caldi su cui sono puntati i riflettori dell’Ue. Tra gli obiettivi del Piano strategico “Europe 2020”, c’è proprio quello di portare il tasso di abbandono scolastico al 10%. Nel 2016 il tasso medio Ue dell’abbandono prematuro di istruzione e formazione è stato pari al 10,7 %, vale a dire 0,3 punti percentuali in meno rispetto al 2015. Diciassette Stati membri hanno già raggiunto l'obiettivo principale della strategia Europa 2020. Altri due — Lettonia (10,0 %) e Germania (10,3 %) — ci sono molto vicini. L’Italia è ancora ben al di sopra della media: anzi, l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione è aumentata negli ultimi due anni attestandosi, nel 2018, al 14,5%.

Non a caso, il nostro Paese continua ad avere la maglia nera per numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: nel 2017 erano ul 25,7%, a fronte di una media europea del 14,3%. Una percentuale simile si registra a Cipro, dove i Neet sono il 22,7%, seguono poi Grecia (21,4%), Croazia (20,2%), Romania (19,3%) e Bulgaria (18,6%).

Le differenze rispetto al resto d’Europa si registrano anche in termini di competenze e livello di istruzione. In Italia, il 27,9% dei giovani 30-34enni possiede un titolo terziario. L’obiettivo nazionale previsto da Europa 2020 (26-27%) è stato così ampiamente raggiunto. Tuttavia, il livello rimane molto inferiore alla media europea e superiore soltanto a quello della Romania. Per le donne, la quota di 30-34enni laureate è del 34%, per gli uomini del 21,7%.

L’Italia rischia di perdere un milione di studenti nei prossimi dieci anni, passando da 9 a 8 milioni totali

Dagli anni Duemila in poi, la Commissione europea ha indicato gli obiettivi per lo sviluppo di un’istruzione e di una formazione di eccellenza, puntando soprattutto sulla diffusione di forme di apprendimento duale, capaci cioè di combinare l’apprendimento teorico con l’acquisizione di competenze pratiche sul posto di lavoro, evitando così lo skill mismatch diffuso in tutto il vecchio Continente.

In Italia, l’alternanza scuola lavoro è stata resa obbligatoria dalla riforma della “Buona Scuola” del 2015. In tutti i Paesi europei, con modalità differenti, esistono due modelli di formazione scuola–lavoro: uno è l’alternanza, l’altro l’apprendistato, che possono essere paralleli o complementari. Con esempi che hanno fatto scuola in tutto il continente, come quello tedesco dei Fachoberschulen, istituti ad indirizzo professionale di livello secondario superiore a tempo pieno, a cui i nostri Istituti tecnici superiori si ispirano, pur rimanendo ancora ben lontani in termini di quantità di iscritti. Nonostante l’80% dei diplomati in questi istituti trovi un lavoro a un anno dalla fine degli studi, gli iscritti sono solo circa 10mila contro gli oltre 900mila tedeschi.

Un orientamento al lavoro che sembra necessario, se è vero che secondo i dati Eurostat, nell’Unione europea ci sono 3,8 milioni di posti di lavoro vacanti. È il cosiddetto skill mismatch: il 20% dei posti mancanti in Ue si devono a problemi di competenze inadeguate presenti sul mercato. A questo proposito, la Commissione europea nel 2016 ha presentato una proposta di raccomandazione chiamata “Garanzia competenze – Skills Guarantee”, incoraggiando l’adeguamento delle competenze dei giovani e dei disoccupati.

L’Italia risulta al terzo posto in Europa per quantità di lavoratori con competenze inferiori rispetto alla mansione ricoperta e al settimo posto rispetto ai lavoratori con competenze superiori al ruolo ricoperto. Circa il 6% dei lavoratori italiani possiede competenze basse rispetto alle mansioni svolte, mentre il 21% è sotto qualificato. Malgrado i bassi livelli di competenze che caratterizzano il Paese, si osservano però numerosi casi in cui i lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione, cosa che riflette la bassa domanda di competenze in Italia. I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana. Inoltre, circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi.

L’Italia risulta al terzo posto in Europa per quantità di lavoratori con competenze inferiori rispetto alla mansione ricoperta e al settimo posto rispetto ai lavoratori con competenze superiori al ruolo ricoperto

Un grande impatto potrebbero avere le iniziative a favore del digitale, visto che le competenze mancanti riguardano soprattutto questo ambito. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), solo il 36% degli individui in Italia è in grado di utilizzare Internet in maniera complessa e diversificata. Un riflesso di ciò è che nel nostro Paese il 13,8% dei lavoratori è impiegato in occupazioni ad alto rischio di automazione e avrebbe bisogno di una formazione moderata (fino a un anno) per passare a occupazioni più sicure.

La soluzione, anche in questo caso, parte dall’istruzione. L'Italia – come emerge dallo studio Ocse Education at a Glance – spende mediamente meno degli altri Paesi per l'istruzione: in dollari Usa equivalenti per studente (il 28 per cento in meno dei paesi Osce) e in percentuale al Pil (3,9% del Pil, contro il 5% medio dei Paesi industrializzati e il 4,6% dell’Unione europea). Una spesa scarsa che si può fotografare anche negli stipendi dei nostri insegnanti: al massimo della carriera, il salario di un docente raggiunge tra il 79% (scuola primaria) e l’86% (scuola pre-primaria) della media Ocse a un analogo livello.

Di |2024-07-15T10:05:30+01:00Maggio 22nd, 2019|Formazione, futuro del lavoro, MF|0 Commenti