La diversità in azienda? Un’opportunità di business
Un migliore clima aziendale. Per il 95% delle aziende è questa la principale leva all’adozione di politiche di Diversity & Inclusion. La seconda esigenza da soddisfare è invece la promozione della diversità in tutti i livelli gerarchici (84%). A seguire si trovano la possibilità di sfruttare differenze di pensiero nei processi decisionali e la diminuzione dei costi associati al turnover. Obiettivi dichiarati rispettivamente dal 71 e dal 61% delle imprese.
A dirlo sono i dati di un’indagine condotta da Istud Business School e Wise Growth che ha coinvolto 55 aziende, tutte di grandi dimensioni (in media con 7.400 dipendenti) e di diversi settori industriali. Il 70% del campione è rappresentato da subsidiary di multinazionali straniere.
All'interno del panel si registrano alcune differenze, in particolare tra le multinazionale e le altre imprese. Per esempio la possibilità di aumentare la propria competitività è indicata dal 79% delle multinazionali, contro il 53% del dato generale. La diminuzione di ricorsi e contenziosi da parte dei dipendenti è un obiettivo solo per il 17% delle aziende che adottano politiche sulla diversità.
«Nella ricerca abbiamo cercato di andare oltre la mera rendicontazione per capire quali logiche e criteri guidino la scelta di specifiche pratiche di D&I e se le stesse fossero efficaci. La misurazione dei risultati ottenuti, però non è ancora entrata nella prassi generale» spiega Alessandra Lazazzara ricercatrice dell’Università di Milano e referente scientifico della ricerca. «La gestione della diversità in azienda è divenuta una necessità imprescindibile in un mondo sempre più complesso, globalizzato, interconnesso» commenta Marella Caramazza, direttore generale di Istud Business School. Aggiunge Maria Cristina Bombelli, founder e presidente Wise Growth: «I risultati di questa ricerca sono confortanti, molte sono le aziende che si occupano di Diversity & Inclusion, ma poche collegano le azioni sviluppate a concreti indicatori di verifica. Nel futuro sarà necessaria una puntuale analisi delle criticità organizzative e costruire delle risposte sulle singole realtà. Ogni azienda ha una propria cultura che va compresa e interpretata. In questo modo sarà possibile fare della Diversity & Inclusion un vero veicolo di innovazione sociale e imprenditoriale».
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La mappa delle pratiche
Ma come arrivare a un contesto inclusivo? La pratica più diffusa è relativa all’area flessibilità/smart working che è stata adottata dal 76% delle imprese campione; a seguire il networking finalizzato a fare knowledge sharing con altre realtà aziendali (58%), i programmi di empowerment (55%), quelli di mentoring (53%) e gli interventi di supporto alla maternità (53%).
Per quanto riguarda specificatamente i manager la formazione per sensibilizzare alle tematiche di Diversity & Inclusione è la pratica più diffusa (73%). Segue la creazione di modelli di leadership plurale (55%). Nel 42% delle imprese vengono utilizzate quote, target numerici o KPI (Key Performance Indicators) per accelerare il cambiamento. Solo nell’11% dei casi però alla formazione dei manager segue una valutazione formale rispetto al raggiungimento dell’obiettivo: ovvero creare un ambiente inclusivo.
[legacy-picture caption=”” image=”5f9ae17e-4d5f-432d-9d04-3f5c2cb4d6ad” align=””]Destinatari
Le azioni di D&I hanno come principale gruppo di interesse le donne. La differenza di genere, infatti, rappresenta il target numero uno per l’82% delle aziende (percentuale che sale al 93 nel caso delle multinazionali). A seguire (55%) i giovani under 30 e le persone con disabilità (53%). Nonostante il sostanziale invecchiamento della forza lavoro, poca attenzione è invece rivolta agli over 55 anni. Questo forse perché, osserva Lazazzara «il tema ha iniziato a far capolino solo dopo le recenti riforme pensionistiche».
[legacy-picture caption=”” image=”536b36b5-f18c-498f-be9d-6679c8eec2a8″ align=””]Organizzazione aziendale
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi legati alla gestione della diversità il 58% del campione prevede ruoli formali dedicati al Diversity Management, che fanno riferimento per lo più alla Direzione del personale. Il 44% delle imprese ha un diversity board/committee/council o un comitato pari opportunità mentre il 40% ha un budget dedicato al Diversity Management. Dall’indagine emerge un progressivo spostamento da una modalità gestionale accentrata nella funzione HR, ad una visione più trasversale.
Il Diversity Management sta varcando duque i confini della mera funzione risorse umane in un’ottica di decentramento. «Se all’inizio infatti l’incaricato delle HR ha avuto una funzione di traino nell’adozione di pratiche di D&I oggi l’approccio si è fatto più complesso. Possiamo dire che viviamo una fase di transizione perché non vi è più un solo responsabile dell’organizzazione, ma a questo punto ci aspettiamo che aumenti anche l’attenzione alla misurazione dell’efficacia rispetto agli obiettivi attraverso le Kpi. In questo modo si riesce a capire per esempio quanto è cresciuta la presenza femminile e il suo valore», chiosa la ricercatrice
Le sfide future
Le tre sfide più importanti relative al Diversity Management nei prossimi 5 anni sono:
- il tema età/ generazioni (valorizzare i giovani, Ingaggiare i senior, scambio intergenerazionale);
- strumenti di work and life balance (Smart working, genitorialità );
- le questioni di genere (raggiungimento dei vertici aziendali da parte delle donne, il cosidetto "soffitto di vetro", l'eliminazione del gender pay gap).
La ricerca suggerisce anche che per potenziare l’effetto della promozione della D&I è indispensabile la volontà del top management, cui si deve affiancare un coinvolgimento attivo dei manager di seconda linea attraverso una varietà d leve che affianchino alla formazione anche l’inserimento dell’inclusione del modello di leadership, nei Kpi e negli obiettivi di valutazione. «Le strategie da adottare sono plurali, non basta per esempio lo smart-working. Infatti, le aziende che sembrano più soddisfatte anche dal punto di vista della competitività del business sono quelle che sulle diverstià costruiscono la propria immagine e la propria reputazione» precisa la ricercatrice.
Infine il capitolo piccole e media imprese, che costituiscono la stragrande maggioranza delle aziende del made in Italy. Per loro la D&I è ancora un libro tutto da scoprire. È questa la nuova frontiera da conquistare, in particolare sul fronte del gender gap. in particolare per quanto riguarda l’empowerment femminile. Chiosa Lazazzara: «L’attenzione su questo tema a livello di opinione pubblica è molto forte: credo che ormai nessuna realtà produttiva possa evitare di farci i conti».