La scommessa dell’Onu sull’economia sociale
Inutile nasconderselo. Il mondo del lavoro sta vivendo profondi cambiamenti. A guardare il fenomeno in corso si osserva un’accelerazione dei processi di automazione e digitalizzazione e una perdita di posti maggiore rispetto alla creazione di nuova occupazione. Sorge spontaneo chiedersi dove stia andando il mondo del lavoro, quale sarà il futuro dei lavoratori. A interrogarsi è anche l’Ilo (International Labour organization delle Nazioni Unite) che nel suo centro internazionale di formazione a Torino ha organizzato, dal 3 al 7 giugno, la decima edizione dell’Accademia Ess (Economia sociale e solidale) con un titolo che è di per sé un programma: “Economia sociale e solidale – Un’agenda incentrata sulla persona, che guarda al futuro del lavoro”.
Due working paper prodotti dall’Ilo affrontano la questione ragionando sul ruolo che la stessa economia sociale può giocare a livello globale. Il primo rapporto “Lavorare per un futuro più luminoso” (Work for a brighter future – qui in inglese) è realizzato dalla Global Commission on the future of work (commissione indipendente presieduta dall’ex primo ministro svedese Stefan Löfven e dall’ex presidente del Sud Africa Matamela Cyril Ramaphosa e composta da una trentina di personalità internazionali) mentre il secondo paper “Social and Solidariety Economy and the future of work” (qui il testo) è uno studio Ilo più incentrato su Europa e Italia. «Due documenti base che sono a disposizione di tutti direttamente sul nostro sito ssecollectivebrain.net», annuncia Roberto Di Meglio, Senior Specialist Local Development and Social and Solidariety Economy dell’Ilo.
In un periodo di transizione occorre puntare sulla formazione
Il report prodotto dalla commissione precisa Di Meglio «conferma quello che un po’ tutti possiamo avvertire ovvero che ci sono dei cambiamenti molto rapidi e profondi nel mondo del lavoro. I fattori che li generano, come per esempio, i progressi tecnologici, l’intelligenza artificiale, l’automazione la robotica, creeranno nuovi posti ma evidentemente ci sarà anche chi perderà il lavoro nella transizione. E il rapporto mette in risalto la necessità di promuovere investimenti nella formazione perché le competenze di oggi non saranno quelle di domani e ci sarà necessità di una grande capacità di muoversi in orizzontale. Ovviamente c’è il discorso della trasformazione verso un’economia più sostenibile e la necessità di formarsi e aggiornarsi in continuazione secondo la modalità longlife learning». Nel concreto quindi la commissione propone un programma incentrato sulle persone, dando loro un valore per evitare quel fenomeno che riduce il lavoro a una merce. «Per adesso almeno la maggior parte dei lavori non è svolta dai robot e finché sarà così bisogna fare uno sforzo per porre le persone e il lavoro al centro delle politiche economiche e sociali come delle pratiche commerciali», chiosa Di Meglio.
La persona al centro: le linee d’azione
Sono tre le linee d’azione suggerite a livello globale per porre la persona al centro dell’agenda per il lavoro futuro che prevedono un aumento degli investimenti: nelle capacità personali dei lavoratori; nelle istituzioni del lavoro e nel lavoro dignitoso e sostenibile. «Il lavoro dignitoso è la mission dell’Ilo: salari adeguati, protezione sociale, rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori. Purtroppo nel mondo che ci circonda non abbonda il lavoro dignitoso», osserva Di Meglio. «La cosa che mi preme sottolineare è che attraverso gli studi fatti abbiamo potuto constatare che le imprese sociali, le cooperative sociali sono forme di organizzazione che per le loro caratteristiche molto spesso rispettano e ottemperano a quelle norme che definiscono un lavoro come dignitoso».
I numeri del lavoro in trasformazione
[legacy-picture caption=”” image=”194fa68a-50a0-4fe0-a3e6-a5753b9c68f4″ align=””]Fonte: Work for a brighter future – ILO
L’economia sociale e solidale può quindi essere una risposta anche alla frammentazione del mercato del lavoro, ai 300 milioni di working poverty (stima dell’Ilo sui lavoratori che vivono in estrema povertà guadagnando meno di 1,90 $ al giorno) e ai 2 miliardi di “lavoratori informali” (fonte – Ilo – 2018). Ma ci sono anche, precisa Di Meglio, i lavori legati alle piattaforme come «il famoso Amazon Mechanical Turk, al suo interno ci sono 500mila persone che fanno lavoretti, dalle traduzioni ad altro, oppure i rider. In questo caso le forme dell’economia sociale e solidale possono essere una risposta flessibile che però allo stesso tempo può dare a chi lavora in queste attività delle garanzie di base che servono a rendere dignitoso il lavoro. Si stanno diffondendo occupazioni che non solo hanno salari bassi ma non hanno nessun tipo di protezione, di continuità e questo spinge in basso tutto il sistema e il mercato creando situazioni che se non vi si pone freno non possono che peggiorare».
Il contesto europeo dell’economia sociale e solidale
Nel contesto europeo l’economia sociale e solidale è una realtà importante, «secondo le stime della commissione stiamo parlando di oltre 13 milioni di persone occupate (Europa a 28) pari al 6,3% della popolazione che lavora, per non parlare dei 232 milioni di membri di cooperative di mutualità ed entità simili», ricorda Di Meglio. «La stessa commissione europea è molto attiva sul fronte della social economy perché si è visto che a fronte della crisi in Paesi quali la Spagna e l’Italia, dal 2008 in poi, mentre il settore privato ha perso numeri importanti di occupati il settore dell’economia sociale non ne ha persi e anzi, nel caso italiano ha creato lavoro nonostante la crisi. E questo dimostra come l’economia sociale e solidale ha delle caratteristiche economiche che permettono di guardare in avanti con maggiore ottimismo».
Un ruolo positivo l’Economia sociale e solidale lo svolge anche nel caso del gender gap: nelle imprese sociali vi è infatti un’alta presenza femminile, per esempio si parla del 70% in Belgio, 67% in Francia. In Italia il 61% degli occupati nelle cooperative sociali (non stagionali part-time) è donna contro il 47% delle altre imprese (fonte: Report Social and Solidarity economy and the future of work).
Workers buy-out, un esempio
Esempi che vedono la persona al centro dell’agenda del lavoro sono esperienze concrete come quella dei workers buy-out che spesso hanno la forma di una cooperativa tra lavoratori. «Stiamo parlando di imprese il cui obiettivo è soddisfare le necessità dei soci della cooperativa che si possono tradurre nel salario, nella scuola per i figli, in un aggiornamento professionale o anche realizzare qualcosa che ha a che fare con la comunità in cui l’azienda è inserita. Al di là di altre differenze siamo comunque di fronte a una dimensione imprenditoriale con investimenti, lavoro e capitale però nell’impresa sociale c’è una dimensione sociale, appunto, che deve essere esplicitamente riconosciuta e poi c’è una dimensione di governance con l’inclusione degli stakeholder mentre l’altro aspetto importante è una limitazione nella distribuzione dei profitti che devono essere reinvesti nel migliorare la dinamica dell’impresa» conclude Roberto Di Meglio che ricorda come per le sue caratteristiche l’economia sociale è quella in cui «il lavoro dignitoso è più probabile».